Report a cura di Nicolò Cavallaro.

Che dire del Black Winter Fest 2017?

La prima affermazione che mi viene in mente è, sicuramente, “Bravo Colony“.

Il locale infatti quest’anno è stato capace di organizzare un festival gigante (considerata la situazione “Italia” ed il genere che trattava ): locale pieno, pubblico da mezza Europa (oltre che italiano), una scelta di band completamente azzeccata al pubblico stesso e un movimento che raramente ho visto negli ultimi anni. Dimostrazione, questa, che non si può fare solo una questione di “scena”, ma BISOGNA farne anche in campo qualitativo e capire cosa ha uno spessore per il pubblico tutto.

Il circolo Colony, quest’anno, ha pesantemente colpito nel segno.

Venendo alle band:  il festival è stato decisamente difficile ed io stesso ero lì per un paio di nomi (principalmente Necrowretch e Batushka) ed incuriosito da altri 2/3 nella rosa dei 10 (DIECI).

Mi scuso in anticipo con gli Shadowthrone, che per motivi di orari ho perso, augurando a questi che sia stata tra le migliori delle loro performance.

Il trittico Necrowretch, Sarkrista ed Hiems apre per noi la serata.

Le tre band non faticano a conquistare il pubblico in modo discreto, il sound è il canonico black metal, senza troppi fronzoli o altro.

Un paio di appunti sono rivolti ai Necrowretch stessi, non particolarmente valorizzati dai suoni (con mio grande dispiacere) ed in generale al fatto che purché gradevoli le band ancora non hanno quel sound e quella presa dal vivo da spacca ossa, che in serata si vedrà  largamente.

Al momento degli Impiety la questione suoni è tutt’altro che risolta, ma la band dimostra dalla prima nota una caratura diversa: un drumming potentissimo ed un livello di velocità  e tecnica davvero notevole. Il trio, nonostante il basso a volumi inesistenti e la conseguente mancanza di polpa, compensa con uno show all’insegna della violenza e potenza ed il continuo riempirsi del locale parla chiaro. Per quanto mi riguarda il gruppo tecnicamente piùpreparato di tutta la serata.

A seguire: Infernal War! I ragazzi non sono proprio una band che si può vedere tutti i fine settimana, ma mai mi sarei aspettato una tale capienza di pubblico per loro. Lo show è possente, un vero muro sonoro. Nei 30 minuti successivi all’inizio si è visto quello che davvero ci si aspetterebbe dal black metal: un feeling chiaro tra la musica e coloro che la suonano, aria pesante ed un sound che chiaramente ricorda un carro armato (o qualsivoglia arma da guerra).

Momento per me di grande attesa, quello della salita dei Batushka: inutile dire che tra l’essere in 8 (OTTO), gli altari, i teschi, le candele, le tende e quant’altro il palco diventa improvvisamente minuto. L’entrata della band è, anche in un contesto black metal, decisamente teatrale: una messa “anti-ortodossa” in tutto il suo splendore, con una mimica degna del rito, abbigliamento perfetto, volti invisibili e movimenti lenti e religiosi. Eseguono tutto Litourgiya, senza pause, con suoni densi e commoventi mentre la performance vocale e la sezione corale sono impeccabili. Sicuramente una band che ha spiegato chiaramente il motivo del suo immediato successo.

Dopo il set commovente dei polacchi, si torna alla vecchia scuola con Satanic Warmaster. Il motivo della loro storicità  è chiaro: la scuola è quella dei Mayhem di molti anni fa, black metal nudo e crudo, estremamente raw sia nei suoni che da un punto di vista visivo. Non la potenza ma il mood del quartetto la fa da padrona, conquistando il pubblico con la sua semplicità  ed estremo rispetto del sound “classico”.

Compaiono due manichini sul palco, la bandiera sul retro e in pochi secondi si alza uno striscione da in mezzo al pubblico: è finalmente il momento dei Carpathian Forest! Il quintetto, estremamente old school, trova terreno facile tra il pubblico del fest con il suo black’n’roll marcio e tossico. Non sono personalmente mai stato fan e la performance live è tutt’altro che impressionante (forse dovuto anche alla caratura delle band precedenti), ma al pubblico non si contesta ed era decisamente ciò che serviva per chi era vero fan del festival nella sua interezza.

Un successo per il Colony, un successo per l’Italia che dimostra che eventi che contano davvero si possono fare.

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