L’adagio recita che uno su mille ce la fa e gli Europe sono una di quelle band che può comodamente rientrare nella categoria. In dieci anni di storia, prima della separazione nel ’92, hanno venduto milioni di dischi e suonato in tutto il mondo, raccogliendo forse molto piùdall’inflazionato inno “The Final Countdown” che dal resto dell’ottima discografia, ma lasciando comunque un’eredità  tangibile nella storia della musica.

Si sa però che i tempi cambiano, le mode pure, e decidere di rifarsi vivi dopo piùdi dieci anni con un nuovo disco (era il 2004) non dà  garanzie di ritrovare immutato il favore del vasto pubblico cui si era abituati. Così infatti è stato: anche se a credito di un’indubbia notorietà , gli Europe hanno dovuto risalire la china poco a poco, album dopo album. Con ogni probabilità  non li vedremo piùriempire le arene ma eccoli oggi in tour di supporto al loro quinto LP post reunion. Un traguardo di una certa importanza. Cinque i lavori fino al ’92, cinque in questa seconda vita. E, se non tutto, molto è cambiato.

La coda all’esterno dell’Estragon è impressionante, tanto che temiamo di entrare a concerto già  iniziato. In realtà  il locale si riempirà  appena per metà  durante l’esibizione dei londinesi Dirty Thrills e all’80% con gli Europe.

L’opening act dà  prova di una certa solidità , regalando un’esecuzione pulita e abbastanza precisa. Il cantante Louis James non è uno specialista degli acuti (comunque piùche discreti) ma nel suo registro naturale ha una voce ricca e calda. Il quartetto sa come tenere il palco e, tra le piroette tarantolate del chitarrista Jack Fawdry e le mossette da rocker consumato del bassista Aaron Plows, non ci si annoia. Insomma, tutto in ordine. Quasi. Perché la proposta dei londinesi è un rock-blues i cui richiami agli Zeppelin (per fare solo l’esempio piùeclatante) sono talvolta così palesi da far storcere il naso. L’approccio vocale molto simile è una prima avvisaglia e un paio di riffs fotocopia qua, un altro là , tolgono ogni eventuale dubbio residuo. Alla scarsa originalità  si aggiunge il limite di suoni non sempre qualitativi: il basso risulta poco compresso, pieno a tratti, del tutto sgonfio in altri momenti, come si inabissasse; il crunch di Fawdry è privo di corpo, non spinto, molto fuzzy e in certe sezioni funziona bene, garantendo vetrosità  e un range dinamico eccellente. In altre, la scelta di non adoperare una chitarra di rinforzo o un suono piùpanciuto scarica i momenti di climax. Anche la microfonazione della batteria di Steve Corrigan sembra tutto sommato al risparmio (capita spesso ai gruppi d’apertura purtroppo), un sound modellato in gran parte dagli over-head e senza il giusto attacco sui singoli pezzi.

Nonostante queste considerazioni, i Dirty Thrills dimostrano la raggiunta maturità  per calcare palchi così importanti e il groove non manca. Un pubblico compiaciuto tributa loro una generosa dose di applausi e altrettanto faranno verbalmente gli Europe poco dopo, nel corso del loro show.

Alle 21:45 le luci si affievoliscono e sul breve intro di “War of Kings” gli headliners svedesi fanno il loro ingresso sul palco. L’apertura è affidata ai primi due brani della loro ultima fatica, scelta se si vuole piuttosto ovvia in tour di supporto al nuovo disco, meno scontata per una band che conterà  sempre, nel bene o nel male, su un pubblico ricco di nostalgici del primo periodo, che del nuovo corso si interessano forse poco o niente. Poco male: gli Europe avranno tuttora un outfit molto anni ottanta, la batteria in acrilico trasparente, gli occhiali da sole (non ricordo piùil colore degli occhi di Ian Haugland) ma il loro stile oggi non ha molto a che fare con i dischi che ne hanno decretato il successo piùdi vent’anni fa.

War of Kings” è una grintosa mid-tempo che scalda subito gli animi, seguita senza soluzione di continuità  da “Hole in my pocket”, dal medesimo album. Anche in questo caso il mix non sembra però eccellente. Il basso di Leven è molto riempitivo ma quasi mai definito, così la batteria che suona grossa ma abbastanza indietro. Le tastiere di Michaeli (impeccabile dal punto di vista esecutivo) di tanto in tanto finiscono sacrificate salvo poi rispuntare fin troppo frontali. Fortunatamente buona parte di queste criticità  andrà  smussandosi in fretta; già  dalla terza traccia “Superstitious”, primo dei classici della serata, due milioni di dischi venduti, possiamo goderci degli Europe precisi come orologi svizzeri e perfettamente affiatati.
Il frontman Joey Tempest sembra un po’ statico inizialmente, così come gli altri membri della band; serviranno quattro o cinque pezzi per mettersi davvero in moto. Oltre a ciò, non può sfuggire il suo calo di voce, gestito comunque in modo egregio: se è del tutto evidente quando parla con il pubblico, l’esperienza e un’enorme (nonché risaputa) tecnica gli consentono un’esibizione con pochi compromessi, perfettamente in linea con i suoi standard. Quanto a John Norum… beh, sul palco è una certezza e anche questa volta non sbaglia un colpo.
I classici si alternano ai pezzi piùrecenti in quella che sembra un’equa divisione. In realtà  il dettaglio non deve sfuggire: molto meno della metà  dei brani risale al “vecchio corso” e tante hit di enorme valore che ci si sarebbe potuti aspettare di sentire non trovano spazio (“More than meets the eye”, “Scream of Anger”, “Seven doors hotel”, “Open your heart”, solo per citarne alcune).  La rock band svedese, pur sapendo bene di non potersi esimere da quel tipo di tributo ai fan, spinge coraggiosamente il proprio materiale piùrecente, dimostrando di credere nel valore dell’attuale proposta. Proprio per questo registriamo con un po’ di amaro in bocca l’assenza di brani dai primi due dischi post reunion “Start from the Dark” e “Secret Society”: già  all’epoca critica e pubblico non si erano detti del tutto convinti di quelli che, in verità , risultano album molto interessanti e certamente forieri di una ricerca sonora tutta nuova per gli Europe.

Sia come sia, se classici come “Carrie” registrano una partecipazione corale da parte del publico, la selezione di novità  non sfigura affatto, garantendo una sapiente alternanza di atmosfere e coinvolgendo appieno gli spettatori, persino nei momenti piùheavy.
L’ultima parte del concerto è quella piùfocalizzata sui pezzi storici e vede Joey Tempest aggiungersi come chitarra di riempimento (divenendo anche autore di un simpatico siparietto in seguito alla rottura di una corda, nel bel mezzo di “Ready or not”). La formazione ne guadagna in spessore e il finale di concerto è come un crescendo inarrestabile, chiuso dall’ottima “Days of Rock’n’roll” tratta da “War of Kings”.
Il palco si oscura per qualche minuto prima dell’unico, ovvio e tanto atteso encore: su “The Final Countdown” cantano tutti, buona parte del pubblico salta assieme a Tempest, il quale non si risparmia vocalmente per rendere appieno il pezzo piùatteso della serata.

Sia per scelte sonore che per gusto estetico non ci si può aspettare che gli Europe siano completamente attuali. Quel che hanno però dimostrato è la loro immutata cifra tecnica e stilistica, nonché molta voglia di mettersi in gioco, anche a cinquant’anni passati e con un pregresso musicale pesante sul groppone.

Setlist:
War of Kings – Hole in My Pocket – Superstitious – Wasted Time – Last Look at Eden – Carrie – The Second Day – Firebox – Sign of the Times – Praise You – The Beast – Vasastan – Seventh Sign – Ready or Not – Nothin’ to Ya – Let the Good Times Rock – Rock the Night – Days of Rock ‘n’ Roll – Encore: The Final Countdown

2 Comments

  1. Avatar

    Io c’ero, organizzata spedizione da Chieti insieme ad altri 8 amici… concerto magnifico, un Joey Tempest trascinatore di una band che oramai suona a memoria, potente e ben oliata. Bellissimi i nuovi pezzi anche dal vivo, personalmente sono rimasto ammaliato dalla potenza live di Firebox… non li avrei mai immaginati a questi livelli e non vedo l’ora di rivederli nel prossimo tour italico…

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