di Niccolò Ludovici & Giacomo Corradi

All’evento organizzato dalla bolzanina Poison For Souls di Maurice Belotti  nella piacevole cornice di uno dei locali piùin voga e funzionali del bresciano, danno autentico spettacolo due band indiscusse leader del movimento stoner odierno, entrambe creature del geniale Mario Lalli: Fatso Jetson e Yawning Man.

Mario Lalli, californiano di cuore (e d.n.a.) aquilano (suo padre, cantante d’opera tutt’ora vivente, è nato in un paesino in provincia di L’Aquila 94 anni fa), è uno di quegli autentici “pezzi da 90”, uno di quei personaggi senza cui il movimento stoner/desert tock e una discografia legata ai succitati generi, non possono dirsi completi.

Certo meno popolare in termini di visibilità  presso il grande pubblico rispetto ad un Josh Homme o John Garcia (entrambi leader di quella spettacolare band che furono i Kyuss, e nel caso specifico di Homme, nume tutelare di una band di enorme successo quali i Queens Of The Stone Age), Lalli è tuttavia un autentico “svengali” nel proprio genere musicale, senza il quale, molto probabilmente, quel fantastico progetto denominato “The Desert Sessions” (sorta di ‘bibbia’ o, per dirla con un termine mutuato dal dizionario dei ‘Deadheads’, cioè i fans piùincalliti degli storici Grateful Dead, i ‘Dick’s Picks dello stoner rock’) non avrebbe mai visto la luce, o non avrebbe avuto addirittura ragione d’essere.

Alle 21:40 circa, aprono gli Yawning Man, storico gruppo strumentale desert rock, fautori di ‘soundscapes’, o ‘paesaggi sonori’, tanto evocativi quanto ammalianti, capitanati dal chitarrista Gary Arce. C’è Mario Lalli al basso, e ci tiene a farlo sapere. Bassista solo nominalmente “recalcitrante”, nel corso dell’esibizione degli Yawning Man, Lalli darà  sfoggio di creatività  e perizia strumentale al suo secondo strumento, disegnando delle fluide e coinvolgenti linee melodiche. Completa la line-up Bill Stinson, batterista ed onesto comprimario, dal tocco meno delicato rispetto al co-fondatore Alfredo Hernandez (Kyuss, Orquesta del Desierto, Chè).
Si comincia con “Dark Meet” (dallo split LP del 2013 proprio coi Fatso Jetson), e come un fiume in piena, ecco che note e atmosfere escono straripanti emotività  dalla chitarra di Arce e dal basso di Lalli, sino alla magia delle vorticose “Ground Swell”, “Sand Whip” e “Far Off Adventure”, tutte dall’album “Nomadic Pursuits” del 2010. Nell’ora scarsa di performance si arriva al ‘rush finale’ con gli attesissimi classici da “Rock Formations” (2005): misticismo ai massimi termini con la title-track e “Perpetual Oyster”.

Chiusura in bellezza con “Catamaran”, già  coverizzata dai Kyuss, manifesto fondamentale dell’abilità  del trio californiano.

Al termine di una brevissima pausa per riaccordare chitarre e percussioni, è il turno del ‘piatto forte’ della serata, i Fatso Jetson.

Orfano del cugino Larry al basso (impegni familiari), Mario decide di affidare il basso al figlio Dino, poco piùche ventenne, ma già  rodato dall’esperienza come seconda chitarra nel Legends of Desert tour del 2013; dietro le pelli il fedelissimo Tony Tornay, ‘carburato’ da almeno 4 bicchieri di buon vino rosso durante la serata.

L’ibrido dei Fatso coinvolge ogni sorta di sfaccettatura rock’n’roll, da momenti piùtradizionali, a sfuriate al limite del punk, collages di psichedelia, un pizzico di surf rock, tutto coadiuvato dalla classica attitudine stoner.

La set-list, ultra compatta, tralascia tanti bei pezzi (in particolare dal piùrecente e consigliatissimo “Archaic Volumes” del 2010), ma Mario è una macchina da guerra, abilissimo nel far ululare di piacere la sua storica Telecaster bianca e verde; il “godfather of the desert” mette subito in chiaro il ‘mood’ musicale con “Salt Chunk Mary’s” dall’album d’esordio del 1995 “Stinky Little Gods”, seguita a ruota dal super-classico “Magma” da “Toasted” (2001). Si rifiata con la trotterellante “Bored Stiff” (da “Power off Three”,1997) e la sgangherata “Died in California” (da “Cruel & Delicious”, 2002).

“I’ve got the shame” ancora da “Toasted” rimanda a sonorità  piùheavy e distorte, ma il meglio deve ancora venire con le iconiche strumentali da “Flames for All” (1999), manifesto piùpuro del talento di Mario e l’abilità  di coinvolgimento sonoro della sua creatura: prima l’ipnotica “Graffiti in Space” e la superba “The Untimely Death Of The Keyboard Player”.

Complessivamente, al di là  di scalette a tratti orfane di grandi classici, e di esibizioni piùbrevi del previsto per entrambe le band, un concerto comunque molto ben riuscito ”“complice anche l’ottima acustica della Latteria Molloy- che ripropone intatte popolarità  e credibilità  di queste due crature del genio di Mario Lalli presso i fans italiani, ai quali non era dato d’assistere da un lustro di una performance dell’imponente cantante/chitarrista di Palm Srpings, California, e dei suoi compagni di ventura.

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