Il Blues, idioma musicale prettamente nero. Il Blues, una musica che grida riscatto e resurrezione, angoscia e redenzione. Il Blues, roba inesportabile al di fuori dei confini del Nord America, il ‘sacro graal’ degli afroamericani.

Fare di quel genere musicale un misterioso ‘oggetto d’importazione’ e renderlo un qualcosa di anche solo vagamente compatibile con il clima freddo e piovoso della Gran Bretagna tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60, sembrava pura utopia. Un’ impresa da folli, e per pochi arditi.

E tra coloro che ebbero il coraggio di osare, figuravano i nomi di certi Alexis Korner (considerato l’altro grande padre del ‘British Blues’, precedette l’ascesa di Mayall di pochi anni), e un certo John Mayall.
Il gioco riuscì talmente bene, che negli anni a seguire, nomi del calibro di Cream, Fleetwood Mac, Free, Ten Years After e Savoy Brown (giusto per citare alcuni tra i piùnoti), consentirono al neonato British Blues di avere un vero e proprio ‘boom’ e di affermarsi ”“com’è peraltro lecito e doveroso che fosse- non come una pedissequa lettura o ‘rivisitazione’ dell’opera dei piùnoti e celebrati bluesmen neri d’oltreoceano, bensì come un genere dotato di una propria, precisa identità . Oltre che di una assai credibile dignità .

E se Mr. John Mayall, 81 anni suonati (ne compirà  82 il prossimo 29 novembre, essendo nato a Macclesfield, nel Cheshire, nel 1933), gira ancora per i palchi di mezzo mondo proponendo con intatta freschezza una musica che è ormai riuscita a trascendere i limiti del tempo per consacrarsi agli ‘annales maximi’ di tutta la musica leggera, presente, passata, e futura, un motivo, piaccia o no, dovrà  pur esserci.

Il bluesman alto e ossuto di un tempo appare un po’ ingobbito dallo scorrere impietoso degli anni, ma la verve di certo non gli manca. Lo s’intuisce da subito non appena mette le mani sulla sua tastiera oppure ‘spara’ a bruciapelo uno dei suoi celebri ‘riff’ d’armonica. Sono frecciate che colpiscono dritte al cuore, e regalano emozioni immense, come solo i grandi sanno fare.

Accompagnato da una band di prim’ordine, in cui spicca l’eccellente chitarra solista dell’ex-Black Oak Arkansas, Rocky Athas (gli altri sono Greg Rzab al basso e Jay Davenport alla batteria), Mayall seleziona al solito in maniera del tutto autarchica gli estratti dalla sua pressochè sterminata discografia (40 dischi in studio dal 1966 ad oggi, 6 ufficiali incisi dal vivo, senza contare le numerose antologie-nda) che andranno a comporre la scaletta di stasera. Impossibile accontentare tutti, ed infatti anche il nutrito e competente pubblico accorso all’Alcatraz in questo lunedì di fine ottobre sembra esserne ben cosciente. Nemmeno un parterre d’eccezione, in cui si scorgono,  tra gli altri, i volti di Fabio Treves, Pino Scotto, e Enzo Gentile, recente autore di uno dei migliori libri sul Genio di Seattle, Jimi Hendrix, che la storia recente ricordi, sembra voler avanzare alcun tipo di richiesta o pretesa. Solo tanti applausi, fintanto che qualcuno particolarmente ‘invasato’, o probabilmente ‘fulminato’ dallo spirito di Muddy Waters o John Lee Hooker sulla Route 66 esattamente come San Paolo su quella che porta a Damasco, grida “John, I love you!”.

La risposta del sempre sagace Mayall, humor sardonico da vero inglese del nord, non tarda ad arrivare: “He’s very determined!”, “questo fa sul serio!”. Si scoprirà  solo in seguito che lo stesso ‘fan sfegatato’ sarà  reo dell’acquisto di una maglietta proveniente da uno stand del merchandising non ufficiale all’esterno del locale, e chiederà  malauguratamente all’artista di autografargliela, gesto che Mayall rifiuterà  di compiere con una buona dose di riluttanza e con un cenno della mano piuttosto eloquente”…

Ampio spazio è dunque concesso alle cover (nel Blues è pratica peraltro piuttosto comune, quasi a simboleggiare una sorta di ‘fratellanza’ tra interpreti dello stesso genere-nda), con i capolavori ‘Early In The Morning” di Louis Jordan, “Help Me” di Sonny Boy Williamson, ma anche notevoli originali come ad esempio “Mother In Law Blues”, e soprattutto la splendida “Dirty Water”. Assolutamente encomiabile il lavoro di sostegno volto da tutta la band, sempre pronta ad assecondare le volontà  di un leader esigente come Mayall, il quale è sì noto per essere un gentleman in tutto e per tutto (provato anche dal fatto che a mezzanotte passata, in mise bermuda piùfelpa, un po’ da ‘turista britannico per caso in Italia’, si tratterrà  volentieri fuori dall’Alcatraz per firmare autografi a pressochè tutti i presenti rimasti ad aspettarlo-nda) ma anche per essere persona piuttosto umorale, caratteristica piùo meno comune a musicisti di genio e grandi leader di band, entrambi epiteti dei quali il nostro può senza alcun dubbio fregiarsi.

Di Athas ho già  detto a sufficienza, credo, ma Rzab e Davenport, pur meno noti dei vari Eric Clapton, Peter Green, Mick Taylor e Aynsley Dunbar (tutta gente che senza la preziosa mentorship di Mayall non sarebbe mai probabilmente arrivata dov’è oggi), sono musicisti di assoluta grandezza, il cui peso specifico nella creazione del ‘Mayall sound’, e conseguentemente, nella buona riuscita dell’esibizione di stasera, non può in alcun modo essere ignorato.

E se continueranno a essere una ‘spalla’ così solida a cui far riferimento, oppure saranno sostituiti da altri, altrettanto validi musicisti, quanto ancora potrà  rimanere attivo il Leone di Manchester? Quante ancora le motivazioni, i terreni musicalmente inesplorati, le nuove sfide da affrontare, per un musicista la cui quasi sessantennale carriera difficilmente può trovare aggettivi per essere raccontata?

Come si suol dire, ‘ai posteri l’ardua sentenza’. Fatto sta che stasera, c’era un solo vessillo a sventolare fuori dall’Alcatraz, in via Valtellina a Milano. E altro non poteva essere, se non lo ‘Union Jack’ britannico.
Lunga vita, dunque, al padre del British Blues, John Mayall. Lunga vita al Leone!

Setlist:
1. Nothing to Do With Love
2. Mother in Law Blues
3. Early in the Mornin’
4. Floodin’ in California
5. Help Me
6. Why Did You Go Last Night
7. Dirty Water
8. Big Town Playboy
9. Nature’s Disappearing
10. Drifting Blues
11. Mail Order Mystics

Encore
12. Hideaway

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