EarMusic ”“ Settembre 2017

Tre anni di distanza dall’uscita del fortunato “Tearing Down The Walls” e due anni senza suonare nemmeno un concerto: l’assenza dalle scene degli H.e.a.t cominciava a farsi sentire per i fans di quella che, a detta di molti, è la band piùinteressante ad essere stata partorita dalla scena melodic rock europea negli ultimi 10 anni.

Dopo il grande successo di critica e, soprattutto, di pubblico ottenuto con gli ultimi due lavori – successivi all’ingresso in formazione del cantante Erik Grönwall e con i quali il combo di Upplands Và¤sby era riuscito a modernizzare in maniera molto efficace le sonorità  classicamente AOR dei primi due lavori – l’improvviso ed inatteso abbandono del chitarrista Eric Rivers aveva messo in crisi i seguaci del gruppo, rivitalizzati dalla notizia (annunciata in diretta mondiale lo scorso ottobre in occasione dello show solista di Grönwall a Milano) che la casella vacante in formazione sarebbe stata riempita dal ritorno del “figliol prodigo” Dave Dalone, già  presente sui primi tre album del  gruppo e considerato da sempre l’anima piùmelodica della band.

Sistemata la line-up, i cinque svedesi sono ora finalmente pronti a tornare in pista con questo nuovo album intitolato “Into The Great Unknown”, prodotto ancora una volta da Tomas Lindell e registrato ai Karma Sound Studios di Bangkok, in Thailandia. Diciamolo subito: chi si attendeva un ritorno della band alle sonorità  dei primi dischi rimarrà  sicuramente deluso; come spiegato proprio da Dave Dalone, la band – durante la costruzione dell’album – si è paragonata a degli astronauti lanciati nello spazio per la prima volta, senza sapere come e se mai sarebbero ritornati indietro. Lungo la strada, i ragazzi si sono convinti che non avrebbe avuto senso continuare a fare sempre lo stesso album solo perché questo aveva avuto successo, sentendo la necessità  di sfruttare al massimo il potenziale delle nuove canzoni, anche se questo avrebbe significato andare oltre le regole non scritte di un determinato genere musicale ed avventurarsi in nuovi territori.

Anziché proseguire quindi sul sentiero sicuro già  tracciato coi loro precedenti lavori, gli H.ea.t hanno così deciso di evolvere ulteriormente il proprio sound, contaminandolo e provando a spingersi in maniera decisa “verso l’ignoto” (come recita il titolo dell’album), anche a costo di rischiare di deludere una parte del proprio seguito. Ed infatti non appena, con un certo azzardo, è stato pubblicato come primo lyric-video/singolo proprio uno dei brani più“discutibili” e cioè “Time On Our Side”, si sono subito scatenate le discussioni. E siamo certi che queste proseguiranno ancora per parecchi mesi dopo l’uscita dell’album.

Ma andiamo con ordine. “Bastards Of Society” apre l’album non discostandosi molto dalle sonorità  del precedente album: hard rock melodico al passo coi tempi, trascinante al punto giusto e con un coro destinato ad essere cantato a pieni polmoni durante i concerti del gruppo. Ma già  dalla successiva “Redifined” (qui il video) è evidente il nuovo corso della band: i suoni sintetici delle tastiere stendono il tappeto su cui si adagia un brano dall’andamento ricercato che ci ha ricordato alcune cose dei Muse e che, dopo alcuni ascolti, vi entrerà  fisso in testa: c’è da dire che, in linea generale, molti dei brani di quest’album non sono immediati come in passato, ma dopo alcuni ascolti sembrano destinati a insinuarsi sotto pelle in maniera subdola e strisciante. “Shit City” (titolo non proprio felice) è di nuovo hard rock melodico piuttosto tradizionale, ma gli H.e.a.t sembrano divertirsi a confonderci e la già  citata “Time On Our Side” è ricca di spiazzanti effetti elettronici che vanno a minare la comunque bella linea vocale del pezzo: le tastiere di Jona Tee la fanno da padrone, mentre la chitarra di Dave Dalone fatica ad emergere in un brano dove addirittura manca il tradizionale assolo della sei corde.

Best Of The Broken” associa strofe “synth pop” ad un coro invece molto tradizionale, sicuramente tra i piùtrascinanti dell’intero lavoro (anche qui però il solo di chitarra è sacrificato in favore della talkbox). A seguire arriva il vero capolavoro dell’album, costituito dall’epicità  della successiva “Eye Of The Storm”, emozionante power ballad in cui la voce di Erik Grönwall raggiunge vette inarrivabili per molti, in una serie di equilibrismi vocali che lo confermano come uno dei cantanti piùdotati della nuova generazione: uno dei brani dell’anno, senza alcun dubbio. Assolutamente da non perdere il drammatico video appena pubblicato proprio in questi giorni.

Con “Blind Leads The Blind” i ritmi salgono e si rimane nel rassicurante sentiero della tradizione di “Tearing Down the Walls”: il coro ultramelodico ed il bridge centrale sono da applausi e finalmente torna protagonista anche la chitarra di Dave con un breve ma sentito assolo. Il fantasma dei Queen piùorchestrali aleggia sulle note della successiva “We Rule”, mid tempo dagli arrangiamenti solenni, fulgido esempio di una band che dimostra di aver raggiunto la propria maturità  compositiva, mentre l’arena rock di “Do You Want It?”, impreziosito da inserti di tastiera che richiamano il flauto della tradizione folk scandinava, sarà  sicuramente uno dei brani che piùvedrà  partecipare il pubblico ai prossimi show del gruppo, grazie al suo coro irresistibile.

L’album si chiude con la title track, l’altro gioiello del disco: un epico viaggio nell’ignoto di oltre sette minuti, nel quale la band si confronta con sonorità  meno solari e piùcupe (si tratta sicuramente del brano piùheavy e prog dell’intera carriera del gruppo); brano decisamente affascinante, specialmente nell’indovinato finale in cui gli strumenti spariscono di scena per lasciar spazio alla sola voce di Grönwall che si accommiata dagli ascoltatori recitando le liriche “Leave Me Here Alone”, sulle note di una chitarra acustica e dei licks elettrici della sei corde di Dalone.

Questo “Into The Great Unknown” probabilmente non sarà  l’album piùbello della carriera degli H.e.a.t, ma sicuramente si tratta di quello piùsperimentale e coraggioso: con esso, il quintetto svedese ha provato ad evolversi, cercando di portare a suo modo il rock melodico nel terzo millennio.

Se questo tentativo sarà  baciato dal successo lo potrà  dire solo il tempo: noi apprezziamo il loro coraggio e li seguiamo in questa loro avventura. Ma in quanti vorranno unirsi a noi? Lo sapremo in occasione del tour europeo in cui la band si imbarcherà  a partire da fine ottobre e che farà  tappa al Legend Club di Milano il prossimo 5 novembre.

http://www.heatsweden.com

Tracklist:

  1. Bastard Of Society
  2. Redefined
  3. Shit City
  4. Time On Our Side
  5. Best Of The Broken
  6. Eye Of The Storm
  7. Blind Leads The Blind
  8. We Rule
  9. Do You Want It?
  10. Into The Great Unknown

Band:

Erik Grönwall ”“ voce

Dave Dalone ”“ chitarra

Jona Tee ”“ tastiere

Jimmy Jay ”“ basso

Crash ”“ batteria

 

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5 Comments

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    Vai Andre….bella recensione!!!…anche a mio parere l’album esce alla grande dopo alcuni ascolti!….e’ diverso ma bello ugualmente…palma d’oro alle songs eye of the storm e into the great unknown…alla fin dei conti molti pezzi sono buoni e vari dimostrando gia’ una notevole crescita compositiva….grandi HEAT!

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      Andrea Donati Reply

      Grazie mille Andy. Son contento che ti sia piaciuta la recensione. E che tu abbia anche apprezzato l’album, visto che sei uno senza peli sulla lingua e non ha problemi a dir sempre quello che pensa. Rock on!

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    angelorock Reply

    ottima recensione analisi perfetta del disco devo dire che in giro si sentivano voci molto deluse da questo ritorno ma poi ascoltando l’album per intero mi e piaciuto un sacco tanto che mi sono preso la stampa japan con una bonus ben tornati h.e.a.t

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