Road Songs/AOR Heaven – Luglio 2014

Ho sempre detestato il cosiddetto ‘hype’, battage pubblicitario, per prendere in prestito un termine dallo US English piùcolloquiale. Nella musica quanto nello sport. Soprattutto se si tratta di giovani atleti o di giovani musicisti, che si affacciano per la prima volta ad un palcoscenico importante, in grado di definire le loro sorti future: ‘lasciateli crescere, lasciateli sbagliare’, oppure ‘non pompateli’, lasciategli fare quel che sanno fare, senza riempirli di ‘pressioni’, sono le frasi che mi si sente ripetere piùfrequentemente, quando si tratta di carneadi a caccia di fama e successo. Ma trovo altrettanto detestabile quell’infernale macchinetta della ‘pubblicità  ad ogni costo’, o ‘spingi tanto, che poi vende bene’, direbbe qualche astuto discografico molto avvezzo ai grandi numeri (in senso di vendite, ovviamente) e poco incline ad apprezzare l’ Arte, quando si applicano i suoi meschini ingranaggi a musicisti di lungo corso, navigati professionisti che si ritrovano nel contesto di un ‘super gruppo’, o qualcosa di simile.

E’ questo il caso dei Mother Road, musicisti con un pedigree invidiabile, in particolare il cantante, Keith Slack, un passato con Baton Rouge, Steelhouse Lane, ma soprattutto, Michael Schenker Group, nonché il tedesco Chris Lyne, talento berlinese della sei corde, e un musicista, autore e produttore che non ha certo bisogno di presentazione né     all’interno, né tanto meno all’esterno dei patrii confini, Alessandro Del Vecchio. Per carità , non che si tratti di un brutto disco. Direi piuttosto il contrario. Ma pregno com’è di riferimenti al passato, a nomi peraltro altisonanti ed ingombranti, quali Deep Purple, Led Zeppelin, Free, Uriah Heep e Whitesnake (giusto per citarne alcuni), lascia l’ascoltatore – è il caso specifico del sottoscritto – a ripetersi ossessivamente la stessa domanda, ovvero ‘non vale la pena dare una sana spolverata ai vecchi vinili dei maestri e riascoltarsi quelli?’

The Sun Will Shine Again’ c’introduce a quest’opera prima dei Mother Road, con Keith Slack e Chris Lyne intenti a ripercorrere le orme dei Led Zeppelin, per poi lasciare spazio a suggestioni purpleiane.  Slack richiama alla memoria il miglior David Byron (Uriah Heep), quello dei primi anni ’70, per intenderci, nella successiva ‘Feather In Your Hat’, molto vicina allo stile della grande band inglese, soprattutto grazie alle sempre convincenti trame d’organo di Alessandro Del Vecchio, musicista pienamente a suo agio a questo strumento. E se ‘These Shoes’ e ‘Dangerous Highway’ (lodevole l’eulogia di Del Vecchio all’Hammond al compianto maestro Jon Lord nella seconda) ripercorrono le orme della ‘Purple Family’, a cavallo tra la band madre (Deep Purple) e i Whitesnake dell’epoca Moody/Marsden, i Mother Road dimostrano un po’ piùdi autonomia stilistica in ‘Poor Boy (Long Way Out)’, pur non priva di riferimenti ai grandi Mountain di Leslie West e Felix Pappalardi. L’ombra di ‘Gentleman Dave’ Coverdale si riaffaccia imponente in ‘Dirty Little Secret’, motivo per cui la successiva, ‘sudista’ ‘Blue Eyes’, sorprende un po’ con le sue atmosfere piùtipiche del Delta del Mississippi, che dei giganti del British Rock. Lo stesso dicasi per la successiva ‘Still Rainin’, forse il miglior pezzo dell’album, dove i nostri dimostrano (complice anche l’ ottima prova di Chris Lyne, onnipresente, peraltro, in tutte le 11 tracce che compongono questo debutto, con un sound discretamente personale e senza dubbio al passo con i tempi), mentre la chiusa elettro-acustica, soffusa all’inizio, quanto piùvibrante nella seconda parte, di ‘On My Way’ è un modo piùche dignitoso di concludere un album impreziosito dai dal peso dei nomi coinvolti, dalla loro indubbia perizia strumentale, ed è un bel modo di ritrovare la voce di Keith Slack, sempre affascinante e a tratti “fumosa” come all’epoca di “Shake Your Soul” dei Baton Rouge (1990), ma non è certo un’opera che verrà  ricordata per la sua originalità .

Il voto assegnato, è pertanto da considerarsi ‘bugiardo’. ‘Bugiardo’ perché, gli amanti del piùtradizionale hard rock degli anni ’70, che non chiedono nulla di meglio di un sano disco di hard rock intriso di blues nella migliore tradizione settantiana, troveranno qui di che appagare la loro ‘fame’ di sonorità  ‘vecchia scuola’. Viceversa, ‘Drive’, risulterà  meno appetibile a coloro i quali richiedono alla scena attuale una costante evoluzione sonora, e un sound meno conservatore e volto alla rilettura (lo ripeto nel caso non risultasse chiaro: le performance collettive ed individuali, nel disco in questione sono comunque costantemente di alto, o altissimo, livello) dei grandi classici del passato.

Tracklist:

1. The Sun Will Shine Again
2. Feather In Your Hat
3. Drive Me Crazy
4. Out Of My Mind
5. These Shoes
6. Dangerous Highway
7. Poor Boy (Long Way Out)
8. Dirty Little Secret
9. Blue Eyes
10. Still Rainin
11. On My Way

Band:

Keith  Slack – voce
Chris Lyne – chitarra
Zacky Tsoukas – batteria
Frank Binke – basso
Alessandro Del Vecchio – hammond & piano

 

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