Negli anni li hanno accusati di qualsiasi cosa: di dare messaggi diseducativi, di abusare di alcol, di essere degli attaccabrighe e di fomentare presunte o reali rivalità  tra band… – memorabile la rissa tra Vince Neil e Izzy Stradlin (chitarrista dei Guns N’ Roses) agli MTV Video Music Awards dell’89… ma piùdi tutto, in tempi non sospetti, li hanno definiti una band ormai “alla frutta”, completamente incapace di esibirsi ad alti livelli e di portare a casa uno show memorabile.

Ebbene, nonostante alcuni indiscutibili e purtroppo documentati “cedimenti” delle esibizioni piùrecenti, dopo il concerto di ieri sera a Milano, davanti ad un forum vicino all’ implosione e ad un pubblico in visibilio, possiamo testimoniare l’esatto contrario. I Crüe ci hanno salutato in grande stile, regalandoci uno spettacolo infuocato e coinvolgente di ottimo livello, riproponendo tutto il loro miglior repertorio e condendo il menù con una sapiente spruzzatina di aspra malinconia. Sapere che questo possa essere (davvero?) l’ultimo tour prima della fine ci ha fatti sentire tutti di colpo un pò orfani di un’epoca che noi trentenni non abbiamo potuto davvero goderci appieno, ma che abbiamo sentito sulla nostra pelle come l’ago di un tatuatore, e che ha influenzato massicciamente il nostro personale universo musicale e la nostra passione per il dannatissimo rock’n’roll.

La serata vede come “antipasto” i Saint Asonia, supergruppo statunitense formato nel 2015 da Adam Gontier, dopo l’abbandono dei Three Days Grace. Propongono un mix di hard-rock e grunge che non lascia propriamente il segno, tanto che la maggior parte del pubblico sembra distratto per l’intera durata della loro brevissima esibizione; certo anche l’orario non aiuta: le tribune sono ancora semi-deserte e nel parterre non si fa che chiacchierare maniacalmente di Alice e dei Crüe e di quanto tutti sperino che sia un ultimo atto spettacolare.

12235484_909525689138858_1322259880_oIl brusio viene risucchiato da un silenzio improvviso quando appare sul palco il fondale di Alice Cooper: sull’immenso telo che copre la scenografia e l’imponente impianto luci già  pronte per i Crüe spiccano i due inconfondibili occhi di Alice stilizzati in bianco e nero in un disegno monumentale. E’ l’ora: inizia il vero spettacolo, e tratteniamo quasi il respiro. Il protagonista viene preceduto dai suoi musicisti, e vale la pena menzionare le (ben tre) chitarre, di cui una davvero notevole, la bionda e grintosissima Nita Strauss, che ha recentemente rimpiazzato Orianthi. Nita si è fatta conoscere per aver militato con il nomignolo “Mega Murray” nel tributo tutto al femminile degli Iron Maiden- The Iron Maidens e sul palco è una vera furia, un cocktail di sex appeal, bravura e grinta, andate a dare un’occhiata.) Alice compare sul fondale come una visione: la scaletta è devastante da subito e ogni pezzo comprende i consueti numeri ad alto impatto scenico come la stampella su “I’m Eighteen” e la spada infilzata in una pila di dollari personalizzati con la faccia di Cooper che vengono fatti svolazzare sulle teste del pubblico con aria di superiorità  mentre risuona “Billion Dollar Babies”. Inaspettato e a tratti fin troppo inquietante il pitone (vero!) che Alice porta in scena mentre canta “Go to Hell”, grottesca ma d’effetto la gigantesca creatura traballante “FrankenAlice” che solca il palco a grandi passi durante “Feed My Frankestein” ed estremamente teatrale la bravissima attrice che impersona l’ infermiera crudele che si fa beffe di lui mentre canta legato da una camicia di forza. “Poison” è ovviamente il pezzo piùsentito dal pubblico, viene cantato e ballato dalla transenna alle ultime file delle tribune; ed ecco apparire sul palco un’inquietante trabiccolo che ha tutta l’aria di essere una ghigliottina….ebbene sì. Cooper di lì a poco viene brutalmente decapitato sulle note di “Ballad Of Dwight Fry” / “Killer” per chiudere lo show con la sua testa mozzata (assolutamente realistica) che ciondola dalle mani di una comparsa mentre risuona”I Love The Dead” cantata dal bassista Chuck Garric. Siamo alle ultime battute, e con “Schools out” è il momento della festa finale tra bolle di sapone, palloncini colorati extra large che volano sul pubblico e la cover di “Another Brick in the wall”. Cooper ci ha scaldati a dovere, una performance esagerata e di altissimo livello, siamo pronti per la portata principale.

Ed eccoci al momento piùatteso: le luci si spengono,e parte “So long farewell” di Rodgers & Hammerstein. La canzone, che di rock ha ben poco, dice:

So long, farewell,auch wiedersehen, good night
I hate to go and leave this pretty sight

…ed è così, anticipando un nostalgico addio, che inizia lo scoppiettante ultimo show Italiano dei leggendari Crüe, con le tribune che si levano all’unisono come una coreografia da stadio, la magia che si propaga dal palco e l’ingresso in scena della band.

Ci godiamo l’apertura a pochi metri dalla postazione di Nikki che come sempre provoca l’innalzamento della temperatura e delle grida isteriche dell’intera rappresentanza femminile dei rockers presenti.  Sentire le primissime note di “Girls Girls Girls” ci catapulta di colpo indietro nel tempo, ed è subito delirio.

Motley Crue    

Vince è inaspettatamente in forma, e i pezzi si susseguono tra lampi di fuoco e bassi sputafiamme, passando per “Wild side”, “Primal Scream”, “Same ol’situation”, “Smokin in the boys room”, “Looks that kills” con una carica costante e il supporto di due bravissime performers/vocalists strizzate in sexy hot pants che coreografano quasi ogni canzone. Insomma un inno ai bei tempi andati, con tutti i loro maggiori e piùiconici successi, in un battesimo dell’immortalità  che difficilmente chi c’era sarà  in grado di dimenticare. I fuochi d’artificio e il maestoso impianto luci che fanno vibrare il palco non sono nulla se paragonati all’incredibile momento del drum-solo di Tommy Lee. Dal palco la piattaforma della batteria prende a sollevarsi scorrendo lentamente proiettata verso il cielo come un razzo pronto al decollo: i binari di una pittoresca rollercoaster che attraversa il parterre dall’alto per tutta la lunghezza la guidano fino al soffitto e la magia ha inizio. Tommy è saldamente imbragato, e sembra non subire la forza di gravità  mentre si diverte con la sua piattaforma spaziale sulle note di pezzi dance/pop e compie evoluzioni a 360 sospeso a qualche decina di metri d’altezza sopra le nostre teste per quasi dieci lunghissimi minuti. Il pubblico è in delirio; un pò meno esaltante, forse anche a causa della “potenza di fuoco” nettamente inferiore il  momento immediatamente successivo del solo di chitarra di Mick Mars, ma poco male, perchè si riparte subito con “Saints of Los Angeles”, “Live Wire”, “Dr. Feelgood” e la potentissima “Kickstart my heart”, mentre due pedane laterali sollevano Vince e Nikki sulla folla e danno l’ultimo saluto ai loro fans italiani tra fuochi d’artificio, coriandoli, stelle filanti, fiamme e fumo a non finire. Sembra davvero la conclusione; come dice la canzone “So long, farewell,auch wiedersehen, good night”…e invece ecco che qualche minuto dopo le luci si riaccendono e l’intera folla si gira verso il fondo del parterre, dalla parte opposta del palco: una piattaforma con un pianoforte è comparsa dal nulla e la band ci si porta in cima per regalarci il momento piùemozionante e nostalgico della serata:la struggente “Home sweet home”. La cantano proprio tutti, generazioni diverse, città  lontanissime e perfetti sconosciuti, come succede sempre con la buona musica, ma soprattutto con il rocknroll…che sia davvero l’ultimo lo speriamo con tutto il cuore, perchè quando una cosa lascia un gusto così buono in bocca, è sempre meglio non aggiungere altro, se non ciò che serve per non dimenticare.

RIP Mötley Crüe.

Foto di Andrea Donati

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