A distanza di diversi anni dalla sua ultima calata in terra italica (al Tradate Iron Fest nel 2005), torna a farci visita il platinato chitarrista tedesco Axel Rudi Pell, che, dopo aver iniziato la sua carriera nel lontano 1980 con gli Steeler ed a seguito dello scioglimento della band avvenuto otto anni dopo, ha intrapreso da allora una fortunata ed inarrestabile carriera solista, costellata dalla pubblicazione di una ventina di album e da una serie di collaborazioni con artisti del calibro di Jeff Scott Soto, Jörg Michael e Mike Terrana. Oggi il guitar hero di Bochum si fa accompagnare da una formazione affiatata e di tutto rispetto, nella quale spiccano la fantastica ugola di Johnny Gioeli (con lui sin dal 1998 e cantante anche negli Hardline) e la presenza dietro le pelli del massiccio Bobby Rondinelli (ex Rainbow, Black Sabbath e Blue à–yster Cult).

Quest’unica data italiana del tour di supporto al suo ultimo album “Game Of Sins”, uscito nei primi mesi del 2016 per SPV/ Steamhammer (qui la recensione), è particolarmente attesa dai suoi fans, alcuni dei quali cominciano sin dal primo mattino a presentarsi davanti all’ingresso del Phenomenon, con la speranza (realizzata) di riuscire a strappare una foto insieme allo schivo Axel.

Sul palco dell’accogliente locale di Fontaneto D’agogna, caratterizzato da un’ottima acustica e visibilità , si presenta puntuale alle ore 21 la band di supporto dei Lords Of Black, giunti alla notorietà  all’inizio di quest’anno dopo aver pubblicato per Frontiers il loro secondo album “II” (qui la recensione). Il quartetto spagnolo rappresenta per noi un particolare motivo d’interesse grazie soprattutto alla presenza dietro al microfono di un certo Ronnie Romero: scelto da Ritchie Blackmore in persona per ricoprire il ruolo di vocalist nell’ultima incarnazione dei Rainbow, il cantante di origine cilena ci aveva particolarmente impressionato lo scorso giugno nella data d’esordio di Loreley ed oggi sul suo avambraccio sinistro spicca, a memoria imperitura dell’evento, un tatuaggio che riporta le lyrics di “Catch The Rainbow”. Capelli corti, pizzetto e abbigliamento total black, Ronnie ha un look che può ricordare un giovane prete, ma non appena comincia a cantare conquista immediatamente tutti grazie alla potenza e all’estensione della sua ugola straordinaria che rappresenta il vero punto di forza della band iberica. Una band che per il resto purtroppo non riesce a convincerci pienamente: il loro sound, riconducibile al classic metal ottantiano a-la Dio (“Ghost Of You”) con alcuni brani che rimandano al power di matrice teutonica (l’iniziale “Merciless”), è abbastanza ordinario e, nonostante alcuni ottime schegge di heavy metal tradizionale come “Nothing Left To Fear” e “Everything You’re Not”, comincia a stancarci in fretta. Il pubblico, non molto reattivo per la verità , si scalda nel finale grazie ad una “Cry No More” dedicata a Phil Lynott e soprattutto alla cover della Sabbathiana “Neon Knights”, durante la quale chiudendo gli occhi potremmo quasi pensare che dietro al microfono sia tornato tra noi l’immenso Ronnie James Dio (peccato però che alla chitarra il pur bravo Tony Hernando non sia Tony Iommi e l’assolo risulti un po’ troppo raffazzonato). Abbiamo l’impressione che Ronnie Romero sia destinato a spiccare il volo verso lidi piùimportanti e che questi Lords Of Black tra un po’ cominceranno a stargli un po’ stretti. Rivedibili.

SETLIST LORDS OF BLACK: Intro: Malevolently Beautiful ”“ Merciless ”“ Nothing Left To Fear ”“ Everything You’re Not ”“ New World’s Comin’ ”“ Ghost Of You ”“ Lords Of Black ”“ Cry No More ”“ Shadows Of War ”“ Neon Knights (Black Sabbath cover)

086

Dopo un veloce cambio palco, sulle note da Oktoberfest dell’intro fanno il loro ingresso in scena prima il corpulento Bobby Rondinelli al drumkit e, a seguire, il resto dei musicisti che accompagnano Axel Rudi Pell, il quale si presenta imbracciando la sua immancabile Fender Stratocaster color crema che non può che richiamare alla mente la sua influenza principale, ossia Sua Maestà  Ritchie Blackmore (siamo pronti a scommettere che Axel sia cresciuto col poster del chitarrista di Deep Purple e Rainbow appeso in cameretta). Ultimo a salire on stage lo strepitoso Johnny Gioeli che dà  il via allo show con la trascinante “Fire”, opener del nuovo album: è serata di grandi voci ed il buon Giovanni Giuseppe Baptista Gioeli non vuole certo essere da meno di chi lo ha appena preceduto on stage, accompagnato da una band che mette subito in mostra un ottimo affiatamento e soprattutto da un Pell che comincia subito a sciorinare assoli di gran classe dalla sua sei corde. Ma è il buon Johnny ad incantarci particolarmente questa sera: dotato di un’impressionante presenza scenica e carico come una molla (vuoi perché si sta esibendo in quella che, date le sue origini, considera la sua seconda patria, vuoi perché tra il pubblico c’è anche il suo amico e collega negli Hardline, Alessandro Del Vecchio), il nostro riesce con disinvoltura a districarsi ottimamente anche sui brani dell’era Soto come la seguente “Fool Fool”; questa, insieme all’intrigante “Nasty Reputation” (ripescata dagli esordi con Rob Rock alla voce) e alla possente “Strong As A Rock”, fatta apposta per far partecipare il pubblico, costituisce una tripletta di rara efficacia, in grado di innalzare ulteriormente la temperatura, prima che il magnetico e sognante lento “Oceans Of Time” calmi momentaneamente le acque: qui, accanto ad una prestazione vocale davvero appassionata da parte di Gioeli, Axel Rudi Pell sale definitivamente in cattedra regalandoci emozioni incredibili con la sua Stratocaster. Si rimane su territori tranquilli con “The Clown Is Dead”, introdotta dalle note del piano dell’abile tastierista Ferdy Doernberg, sulle quali gli interventi chitarristici di Axel riescono a dipingere scenari in grado di farci sognare ad occhi aperti. Mostruoso ancora una volta Gioeli, il quale conclude il brano citando “Stairway To Heaven”, che diventa “Stairway To Italy”: applausi!

Si pigia nuovamente sull’acceleratore con la Rainbowiana “Burning Chains”, prima che arrivi il turno della title track dell’ultimo album “Game Of Sins”, dalle sonorità  molto vicine ai Dio di “The Last In Line”, col simpatico e preciso bassista Volker Krawczak a cadenzare il tempo. Tra un assolo di batteria del leggendario Rondinelli (per la verità  piuttosto noioso, mancando della spettacolarità  del suo predecessore Mike Terrana) ed una serie di battute sull’ipotesi di maritarsi in una prossima vita con ragazze italiane dai seni piùo meno grossi, si arriva all’epico viaggio nella terra di “Mystica”, accolta dal pubblico con un boato. Una dedica appassionata di Gioeli che ringrazia tutti dal profondo del cuore per il fatto di continuare a supportare il rock’n’roll dà  il la all’intensa “The Line”, sulla quale la chitarra di Pell è delicatissima nelle strofe per poi incendiarsi coi riff Sabbathiani del ritornello e con l’ennesimo assolo da antologia.

Le note tirate di “Edge Of The World”, nel finale della quale viene citata anche la storica “Call Her Princess”, chiudono lo show, prima che il gruppo venga richiamato sul palco per gli encores di rito: il consueto medley “The Masquerade Ball/Casbah”, dalle atmosfere medio-orientali, riesce nell’intento di far partecipare ai cori tutta la sala, prima che l’anthemica “Rock The Nation” faccia calare definitivamente il sipario su un concerto davvero intenso e coinvolgente.

E’ innegabile che Axel Rudi Pell non inventi nulla di nuovo, ma vederlo suonare con una passione, una tecnica ed una classe non comuni è davvero emozionante: speriamo solo di non dover attendere ancora altri dieci anni per rivederlo qui in Italia.

SETLIST AXEL RUDI PELL: Intro: Lenta Fortuna ”“ Fire ”“ Fool Fool ”“ Nasty Reputation ”“ Strong As A Rock ”“ Oceans Of Time ”“ The Clown Is Dead ”“ Burning Chains ”“ Keyboard Solo ”“ Game Of Sins ”“ Drum Solo ”“ Mystica ”“ The Line ”“ Edge Of The World (including “Call Her Princess” snippet) ”“ The Masquerade Ball/ Casbah ”“ Rock The Nation

160 237 206 249

 

Avatar
Author

All you need to know about me is that I was born and raised on Rock 'n' Roll. We'd better let the music do the talking, as Joe Perry used to say...

Write A Comment