L’ultima volta che i Black Stone Cherry si erano esibiti in Italia era il lontano 10 Settembre 2019 nel contesto del Pala Alpitour di Torino in supporto al tour di Alice Cooper. L’ultima volta che la band suonò invece all’Alcatraz di Milano, nella stessa configurazione del palco piccolo, era il 27 Novembre 2018, ormai quasi 4 anni fa… lasciatecelo dire, ci eravate veramente mancati! Nel frattempo, la band del Kentucky ha pubblicato nel 2020 il loro settimo album studio dal titolo “The Human Condition” (leggi qui la nostra recensione), uno dei migliori album della carriera dei Black Stone Cherry. Ad accompagnarli in questo tour troviamo la band The Georgia Thunderbolts, un connubio perfetto a rappresentare il fiore all’occhiello dell’attuale scena Southern Rock.
In un Alcatraz spaventosamente quasi vuoto per l’inizio del set dei Georgia Thunderbolts (ci saranno state appena più di 100 persone…) la giovane band di TJ Lyle sale sul pacco è da’ il via alla serata sulle note di un hard rock in stile country molto deciso ed accattivante. I Georgia Thunderbolts sono infatti una band molto recente fondata nel 2015 che ha pubblicato ad oggi soltanto un EP, il loro primo album studio “Can We Get A Witness” e il loro ultimo singolo uscito quest’anno “Livin’ In Muddy Water”. Si percepisce quindi una gran voglia di fare e di mettersi in mostra per una band che ha decisamente talento de vendere e che giustamente vuole sfruttare nel migliore dei modi questa chance di poter andare in tour con una band che è un’icona di questo genere come i Black Stone Cherry. Come attratto dal loro sound estremamente trascinante e coinvolgente, il pubblico comincia ad arrivare con la sala che comincia a riempirsi considerevolmente durante la loro performance, dimostrandosi estremamente partecipe e facendo vedere tutto l’apprezzamento per una band che ha suonato in modo davvero impeccabile. Chi ama i Black Stone Cherry non può infatti non apprezzare i Georgia Thunderbolts, ancorati anche loro al genere southern rock se non addirittura in modo ancor più pronunciato. Il loro stile potrebbe essere infatti definito come meno moderno rispetto a quello dei Black Stone Cherry ma più somigliante alle tendenze puramente country rock dei Blackberry Smoke, per fare un esempio, enfatizzando ancor di più la componente hard rock e quindi spingendo maggiormente su riff di chitarra estremamente catchy. Bellissimo l’assolo di armonica del cantante TJ Lyle all’inizio di “Take It Slow” così come la ballad dai ritmi più lenti e malinconici “Looking For An Old Friend”. Oltre ad essere uno stile musicale, il southern rock rappresenta davvero uno stile di vita, e i Georgia Thunderbolts lo esprimono in modo davvero autentico, sia per il look che per l’atteggiamento sul palco, mostrando orgogliosamente quanto quest’aspetto sia importante per loro. Set di assoluta qualità ed estremamente piacevole.
Setlist
Can I Get A Witness
Be Good To Yourself
Half Glass Woman
Take It Slow
Spirit Of A Workin’ Man
Looking For An Old Friend
Livin’ In Muddy Water
It’s Alright
Lend A Hand
L’Alcatraz (ripetiamo, in configurazione palco piccolo) è ormai quasi pieno e giunge quindi il momento dei Black Stone Cherry. Certo, pensare che nel 2014 ebbi la fortuna di vederli alla Wembley Arena di Londra (oggi OVO Arena) in mezzo a 12 500 spettatori fa un certo effetto vederli in un contesto estremamente più ridotto… detto questo, l’atmosfera di una sala di queste dimensioni rimarrà sempre suggestiva, a maggior ragione se il pubblico presente si dimostra estremamente partecipe come stasera. Salgono sul palco Chris, Ben, John e Steve in un gran boato e danno inizio al loro set sulle note di uno dei pezzi diventato ormai un gran classico dei Black Stone Cherry, “Me and Mary Jane” dall’album “Magic Mountain”. Contrariamente ai Georgia Thunderbolts, possiamo dire che il suono che la band di Edmonton ha sviluppato negli anni abbia una tendenza molto più hard rock moderno, con vari riff che sono senza alcun dubbio ispirati anche a tendenze heavy metal. Tutto questo mantenendo una composizione che ha il merito di essere sempre molto orecchiabile, con ritornelli facili da memorizzare fin dal primo ascolto e che ti rimangono quindi inevitabilmente impressi, permettendo quindi ad ogni fan di poter praticamente cantare insieme alla band su ogni singolo pezzo della scaletta. Il chitarrista Ben Wells e il bassista Steve Jewell sono due veri tornado sul palco, macinando praticamente chilometri muovendosi di continuo ed alternandosi le posizioni ai lati del palco in modo sistematico. Chris Robertson sfodera il solito look da bravo ragazzo con l’immancabile cappellino e l’atteggiamento di chi vuole dare tutto per il suo pubblico, sempre con gran carisma e soprattutto una voce calda, solida ed avvolgente dal timbro assolutamente unico.
La scaletta ricopre tutti i 7 album della band con il sempre inevitabile focus sull’album capolavoro “The Devil & The Deep Blue Sea”. L’unica osservazione critica che si può fare a mio avviso sulla scelta dei pezzi suonati dalla band stasera è il fatto di aver selezionato soltanto due pezzi dall’ultimo album “The Human Condition”, ovvero “Again” e “Ringin’ In My Head”. Dato la qualità assoluta di quest’album, nonché l’ultimo pubblicato, mi aspettavo maggior spazio per i brani che lo contengono… soprattutto che era la prima volta che potevano quindi essere portati sul palco. “In Love With The Pain” e “The Chain” meritavano davvero di essere suonate dal vivo… peccato. Omesso questo dettaglio, la performance dei Black Stone Cherry è ovviamente sempre di assoluto rilievo, con la band che da il 100% sul palco dimostrando di divertirsi e di apprezzare moltissimo l’affetto del pubblico. La versione live di “Cheaper To Drink Alone” si trasforma quindi i un esibizione lunghissima accompagnata da assoli strumentali di ogni membro della band con Chris a presentare ognuno di loro. Per dimostrare quanto il pubblico si faccia trascinare da questo set coinvolgente, al centro della sala parte addirittura un mosh pit sulle note di “Devil’s Queen”… che per quanto sia effettivamente uno dei pezzi più heavy della band, non si penserebbe mai di vedere un vero mosh pit ad un concerto dei Black Stone Cherry… in ogni caso, un chiaro ulteriore segno di apprezzamento. Parte l’assolo di batteria di John Fred Young, con i membri a lasciare a quel punto il palco interamente a lui, ed è talmente tanta l’energia del suo assolo che John rompe una bacchetta frammentandola letteralmente in mille pezzi… pazzesco! Il trittico di superhits “In My Blood”, “White Trash Millionaire” e “Blame It On The Boom Boom” viene cantato all’unisono da tutto il pubblico che è ormai in visibilio, con Chris che, anche con un tocco di emozione, ringrazia i fan italiani per tutto l’affetto. Dopo un esplosiva “Lonely Train” in cui riparte un ulteriore mosh pit, la band ritorna dietro le quinte per prepararsi per il bis, acclamato con grande entusiasmo da tutta la folla. Chris risale sul palco in solitaria togliendosi il cappello e ringraziando a varie riprese ancora una volta il pubblico per il calore che ha riservato per tutta la serata alla sua band. Giunge quindi il momento dell’ultimo pezzo di serata che diventerà, in tutta onestà, forse uno dei momenti più emozionanti a cui abbia mai assistito a un concerto… perché il testo di questo brano, combinato al momento storico che il mondo sta vivendo e all’atmosfera di grande fratellanza che si era creata tra la band e il suo pubblico, prende tutta un’altra dimensione… “Peace Is Free”, cantata in duetto da Chris e TJ Lyle, è letteralmente da pelle d’oca!
“Can’t the whole world love one another,
Throw down your weapon and fix all the hunger?
Don’t you bring your sadness down on me
When peace is free!”
Concludo quindi con la citazione dell’ultima strofa di questo brano, mostrando quanto possano significare poche parole di una canzone inserite all’interno di una melodia strappalacrime in un contesto particolare come quello che stiamo vivendo attualmente. Grazie ai Black Stone Cherry per una grande serata di rock, di felicità, di speranza e di fratellanza.
Setlist
Me And Mary Jane
Burnin’
Again
Blind Man
Like I Roll
Cheaper to Drink Alone
Hell and High Water
Soulcreek
Devil’s Queen
Ringin’ In My Head
In My Blood
White Trash Millionaire
Blame It On The Boom Boom
Lonely Train
Encore
Peace Is Free
Si ringrazia Vertigo Hard Sounds
Sfoglia la Gallery a cura di Piero Paravidino
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