Quelli che… la vecchiaia ti fa furbo.

Questa volta ce l’hanno messa tutta per far perdere agli spettatori almeno uno show, quello dei Cadaveria. Vuoi a causa di qualche rigido permesso comunale, vuoi per politica interna del locale o per esigenze degli artisti internazionali, l’orario d’inizio è stato fissato per le 20:15. Non so in quanti avessero preso sul serio la “minaccia”, di sicuro il New Age era ben lungi dall’essere stipato quando i Cadaveria hanno attaccato a suonare, spaccando il minuto.

La band dell’ormai storica Signora delle Ombre si è esibita nelle seguenti condizioni: una cinquantina di persone sotto palco, già  pronte a partecipare all’evento; altri fortunati riusciti ad arrivare in tempo (evidentemente abitando a tre chilometri dal locale o avendo cenato alle sei) che ancora dovevano sbrigare saluti di rito, mettere le mani su una birra… insomma, acclimatarsi; volume moderato, ché tanto si sa, sono gli headliners a dover fare la parte del leone; azzoppati dall’assenza di Frank Booth alla chitarra; davanti a tre (sic!) batterie, una per band, che hanno sensibilmente ridotto la profondità  del palco, già  non enorme. Qui finiscono però le brutte notizie.

I nostri hanno esperienza da vendere e si vede. Cadaveria, vocalmente in forma, regala un’ottima performance, il comparto ritmico tiene bene, Dick Laurent, unica chitarra, fa tutto quel che può e la porta a casa. Insomma, bella prova di carattere in circa mezzora.

Da subito si fa notare anche il lavoro dei fonici, con suoni già  soddisfacenti e quanto piùpossibile puliti.

Durante il non troppo veloce cambio palco una delle tre batterie finalmente se ne va, senza che però i sei componenti dei Ne Obliviscaris ne guadagnino troppo in mobilità . Primo tour mondiale e prima data assoluta in Italia per questa formazione australiana che sta crescendo da anni con una certa continuità . Alcune maglie tra il pubblico, poco a poco piùabbondante, rivelano la presenza di piùdi qualche estimatore della band progressive metal.

Volume e pressione sonora sono sensibilmente piùimportanti durante la loro esibizione e il prezzo, almeno nei primi dieci minuti, è davvero alto. Complici anche le tessiture delle chitarre, mosse, variegate, spesso ad accordi aperti, suoni saturi ma non sempre a fuoco, un basso nasale che dà  l’impressione di uscire dal mix solo in determinati frangenti e, ultimo ma non meno importante, un pur cazzutissimo doppio pedale sopra a ogni cosa, molto della loro musica si perde nel magma sonoro.

Intendiamoci, la caratura tecnica è davvero notevole: quasi sovrapponibili al disco le vocals pulite, le gustose parti di violino. Ottima la coesione della band e davvero godibili alcuni momenti piùdistesi, dove anche gli elementi piùsacrificati (il sopracitato basso di Cygnus per esempio) hanno modo di dimostrare tutto il loro gusto e le loro capacità . Tuttavia è solo da “Pyrrhic”, pezzo contenuto nella loro ultima fatica “Citadel”, che si può cominciare a parlare di vera fruibilità  per chi volesse anche ascoltare il contenuto musicale, oltre che farsi trascinare dall’impatto dell’ensemble.

Pur avendo davvero ben figurato, i Ne Obliviscaris hanno ancora ottimi margini di crescita, soprattutto nella gestione del palco, laddove solo Tim Charles (violino, clean vocals) sembra cercare davvero un contatto con il pubblico. Resta ferma l’impressione generale: tener d’occhio questi ragazzi perché se ne vedranno delle belle.

Setlist:
1. Devour Me, Colossus (Part I): Blackholes – 2. Pyrrhic – 3. And Plague Flowers the Kaleidoscope

È la volta dei Cradle of Filth che, confesso, attendevo senza grosse aspettative. L’ultima volta che li vidi era il lontano 2008 per il tour di “Godspeed on the devil’s thunder”, su un palco che già  i Gorgoroth prima di loro avevano imbandito con gente crocifissa per davvero (quasi); allora i COF avevano portato ogni sorta di ninnolo orrifico, persino la brutta copia di un Eddie gigante che faceva scintille col flessibile. Il cantato di Dani quasi imbarazzante, un mucchio di sbrodoli per gli strumentisti e un filotto di album un po’ sottotono da proporre dal vivo, avevano lasciato la sola consolazione di uno spettacolo divertente e poco altro.

A sette anni di distanza l’immaginario non è cambiato: uno scheletro crocifisso a fondo palco, un po’ di corna di capro qui e là . Sono sempre i COF, mi ripeto.

Finalmente i musicisti salgono sul palco, l’intro di “Humana Inspired to Nightmare” si consuma e la band propone “Heaven torn asunder” dall’ormai vintage “Dusk and Her Embrace”. Il pubblico la riconosce e parte subito ben disposto. Inizialmente si nota qualche imprecisione strumentale. Dani si palesa ma durante il primo brano approfitta di ogni occasione utile per conferire con il backliner. Si può dunque ipotizzare qualche problema tecnico.

Tutto si sistema molto in fretta e appare subito chiaro che la situazione non è quella del 2008. I suoni stavolta ci sono: rocciosi eppure, anche nella furia della musica, precisi, distinguibili. Non si perde mai il riferimento tonale, le note si sgranano pulite. Si vede che in fondo Richard Shaw non è Paul Allender travestito (e tra la chitarra, le movenze e il trucco giuro che ce la mette tutta per convincercene)… qualcosa è cambiato, mi dico. Anche la novella tastierista e vocalist Lindsay Schoolcraft sa il fatto suo. E sì, anche Dani, superato l’abbrivio, ha un approccio vocale piùche buono, restando inteso che quanto fa su disco sarebbe impossibile riprodurre del tutto in live.

Qualcosa è cambiato ed è che i Cradle of Filth sono tutti nuovi. Ben tre membri sono entrati in formazione appena l’anno scorso, il bassista nel 2012; solo Skaroupka accompagna Dani Filth dal 2006.

I volumi rimangono molto sostenuti ma il bilanciamento stavolta è perfetto e questo non è poco, soprattutto in un genere estremo. I Cradle sembrano sacrificare un pochino di punta sulla batteria rispetto ai Ne Obliviscaris ma la scelta paga tutta. Furbata numero uno.

La seconda furbata è presto detta: i COF saltano senza remore tutta la discografia da Damnation and a Day (peccato) in poi, fatta unica eccezione per la sempreverde Nymphetamine (Fix), abbondando con vecchi classici intervallati dai migliori brani del loro ultimo disco “Hammer of the Witches”. Se si considera quanto quella parte della loro produzione abbia suscitato reazioni contrastanti di critica e pubblico, si può certo definire la scelta piùche azzeccata.

In conclusione, i Cradle of Filth hanno condotto con decisione una serata già  ottima a degna conclusione, chiudendo con le splendide “Her Ghost in the Fog” e “The forest whispers my name” e accattivandosi il favore di quanti (il sottoscritto incluso) si aspettavano forse risultati meno eclatanti.

Setlist:
1. Humana Inspired to Nightmare (intro) – 2. Heaven Torn Asunder – 3. Cruelty Brought Three Orchids – 4. Blackest Magick in Practice – 5.    Lord Abortion – 6. Right Wing of the Garden Triptych – 7. Malice Through the Looking Glass
Encore: 10. Walpurgis Eve (intro) – 11. Yours Immortally… – 12. Nymphetamine (Fix) – 13. The Twisted Nails of Faith – 14. Her Ghost in the Fog – 15. The Forest Whispers my name – 16. Blooding the Hounds of Hell (outro)

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