Il Segno del Comando – Tra esoterismo, rock progressivo e teatro dell’occulto

Nati sotto l’insegna del mistero, Il Segno del Comando è un progetto affascinante ed unico nella scena musicale italiana.

Il nome, preso in prestito dall’omonimo sceneggiato RAI del 1971, rielaborato e pubblicato poi come romanzo da Giuseppe D’Agata nel 1987, è già una dichiarazione d’intenti: atmosfere oscure, suggestioni letterarie, richiami all’esoterismo e un sound che fonde rock progressivo, dark wave, metal e musica colta.

Attivi fin dagli anni ’90, la band si è costruita nel tempo un culto silenzioso ma solido, alimentato da dischi complessi, visionari e teatrali.

Ho avuto il piacere di assistere al loro live del 12 aprile 2025 all’ArciTom di Mantova e sono rimasto entusiasta per la loro esibizione.

Successivamente, Diego Banchero, anima della band, mi ha dato la disponibilità per scambiare qualche parola, in modo da poter approfondire il loro mondo sonoro e simbolico, tra passato e progetti futuri.

Ecco cosa ci ha raccontato:

Il vostro nome richiama un celebre sceneggiato RAI degli anni ’70, che poi divenne romanzo grazie a Giuseppe D’Agata: cosa vi ha ispirati a sceglierlo e quanto ha influenzato il vostro immaginario musicale?

Diego: siamo sempre stati molto legati all’immaginario della nostra infanzia che è fatto di fotogrammi in bianco e nero, di musiche coinvolgenti delle colonne sonore e di un modo di fare arte tutto italiano.

Negli anni in cui siamo partiti, suonare rock progressivo e ispirarsi a qualcosa che non provenisse da oltreoceano o da oltremanica, era considerato da sfigati. Anche sulla scelta di utilizzare la lingua italiana per le liriche delle canzoni c’erano moltissime persone che storcevano il naso.

Nei media mainstream si iniziava a dare spazio a forme d’arte di qualità infima, censurando in maniera graduale le cose più pregevoli. Tuttavia, eravamo consapevoli, avendone avuta esperienza diretta, che solo qualche decennio prima l’Italia avesse scritto ottime pagine dal punto di vista artistico e culturale.

Oltre ad amare il metal, il dark wave e molti altri generi musicali, eravamo rimasti legati a band come Goblin, Jacula, Antonius Rex e Balletto di Bronzo, che avevano coniugato atmosfere horror e noir con il rock progressivo.

Così abbiamo deciso di andare in direzione contraria alle tendenze dominanti e abbiamo dato vita ad un progetto che si ispirasse fortemente ai canoni stilistici della tradizione del nostro paese, utilizzando la nostra lingua per scrivere i testi.

Ritenevamo che, l’Italia, in ambito musicale, letterario e cinematografico, non avesse granché da invidiare a quelle dei paesi dell’area anglofona, che comunque avevano prodotto pagine che per noi erano state fondamentali e che non abbiamo mai rinnegato.

Gli sceneggiati Rai degli anni ’70 erano un pezzo forte del bagaglio culturale sopra descritto. Ad aprirne la serie è stato appunto Il Segno del Comando, che resta uno dei più belli in assoluto di quell’epoca della nostra televisione. Per tutti questi motivi decidemmo di ispirarci a quell’opera.

Il processo di impoverimento progettato dai circuiti mainstream è arrivato in ogni caso fino ai giorni nostri, ma noi siamo stati tra coloro che si sono impegnati in un’azione di resistenza culturale.

Purtroppo nel ‘95 non si trovavano facilmente i filmanti del serial originale e noi ci basammo quasi esclusivamente sul romanzo di Giuseppe D’Agata per scrivere l’album di esordio.

Come nasce un brano de Il Segno del Comando? Partite prima dalla musica, dal testo o da un concetto narrativo?

Diego: in genere tutto parte da un concetto narrativo e successivamente si compone la musica, alla stessa maniera in cui si procederebbe per realizzare la colonna sonora di un film. Quando il giusto contenitore atmosferico/emozionale è pronto si scrive il testo.

Le vostre liriche sono spesso dense di riferimenti esoterici e letterari. Quali autori o correnti vi influenzano maggiormente?

Diego: siamo perlopiù interessati ad un tipo di autori che affrontano argomenti relativi alla crescita spirituale. Compiamo studi che sono soprattutto orientati nell’ambito di quel vasto filone esoterico-sapienziale che viene denominato Tradizione Primordiale. Gli autori che hanno trattato queste tematiche sono tanti. Uno su tutti, molto caro a Il Segno del Comando, è sicuramente lo scrittore austriaco Gustav Meyrink.

Non disdegniamo neppure, se necessario, di creare opere letterarie all’interno del nostro piccolo gruppo di studi e ricerche per usarle direttamente come riferimento per i nostri dischi, come è avvenuto per l’album “L’Incanto dello Zero”, basato sul romanzo “Lo Zero Incantatore” di Cristian Raimondi, scritto con lo scopo di raccogliere una serie di contenuti che era nostra intenzione trattare.

In un panorama musicale sempre più veloce e digitale, come si colloca la vostra proposta così ricercata e teatrale?

Diego: di sicuro apparteniamo ad una nicchia che si è integrata solo parzialmente con il web. Riusciamo per fortuna a restare legati alle produzioni fisiche e al contatto diretto con il pubblico. Siamo parte di un piccolo mondo che resiste ai radicali cambiamenti che la rete ha imposto ad ogni livello.

Ogni vostro album sembra un viaggio narrativo. C’è un filo conduttore o un concept particolare dietro l’ultimo lavoro?

Diego: l’ultimo lavoro pubblicato è un concept album dedicato al romanzo dal titolo “Il Domenicano Bianco” di Gustav Meyrink, che chiude una trilogia su questo autore al quale avevamo già dedicato due precedenti album: “Der Golem” (2002) e “Il Volto Verde” (2014).

Fino ad oggi tutti gli LP de Il Segno del Comando hanno avuto la caratteristica di essere concept album.

Avete collaborato con molti musicisti della scena prog, dark e metal italiana. C’è una collaborazione che vi piacerebbe realizzare in futuro?

Diego: in realtà ce ne sono parecchie e riguardano sia artisti italiani sia artisti stranieri, ma è difficile elencarle. Un nome con cui stavamo per organizzare un’ospitata è quello di Antonio Bartoccetti (Jacula, Antonius Rex), ma purtroppo non abbiamo fatto in tempo.

Il vostro sound, come abbiamo detto, unisce progressive rock, dark wave e metal, ma anche atmosfere cinematografiche. Come riuscite a mantenere questo equilibrio senza snaturarvi?

Diego: tutto viene piuttosto naturale. Forse le influenze che hai citato sono ben radicate e trovano una maniera per armonizzarsi senza dare vita a qualcosa di poco organico. Suono e ho suonato molti generi musicali, ma il sound de Il Segno del Comando è quello che mi viene maggiormente spontaneo.

Il teatro, il cinema e la letteratura sono fondamentali nella vostra arte. Avete mai pensato di portare i vostri brani in scena in forma di spettacolo teatrale? O di realizzare un cortometraggio come supporto visivo alla vostramusica?

Diego: ci abbiamo pensato molte volte, ma non siamo mai riusciti a trovare un film maker o un drammaturgo interessati ad una collaborazione. Purtroppo questi restano, almeno per il momento, sogni irrealizzati.

Come vedete l’evoluzione della scena dark-prog italiana e internazionale? C’è spazio per nuove realtà come la vostra oggi?

Diego: la scena dark-prog è a mio avviso piuttosto vitale. Ai tempi in cui Il Segno del Comando ha iniziato il suo percorso le band che si cimentavano in questo approccio stilistico erano molte meno. Purtroppo, a fronte di un incremento dell’offerta, si registra una sempre maggiore contrazione della domanda. Oltre ad un calo degli acquisti c’è anche una progressiva penuria di spazi e risorse utili a garantire un percorso dignitoso alle band, soprattutto a quelle che restano confinate in una dimensione underground.

Abbiamo parlato di molti generi che influenzano il vostro sound, ma credo ne sia stato tralasciato uno, che a mio parere, è fondamentale per permettervi di dar libero sfogo alla vostra creatività e all’improvvisazione. Io vedo anche una buona dose di jazz nella vostre esibizioni, sbaglio? Vi riconoscete in questo?

Diego: hai pienamente centrato l’obiettivo. Io personalmente ho una formazione jazz e questa influenza è molto importante per il Segno del Comando. Sia alcuni nostri stilemi compositivi, sia un utilizzo abituale dell’improvvisazione solistica, derivano da questo modo di intendere la musica. L’influenza della musica afroamericana nel nostro sound è raramente ricordata, ma è a mio avviso centrale.

D’altronde non va dimenticato che un certo sound italiano, che ha caratterizzato molto anche il modo di far colonna sonora negli anni ’70, era a sua volta molto influenzato dal jazz, che veniva reinterpretato alla maniera nostrana producendo risultati originali. Da questi fenomeni contaminativi abbiamo attinto molto del nostro modo di intendere la musica.

Negli anni i membri della band sono cambiati. Tu, Diego, sei rimasto l’unico fondatore. Cosa ti ha spinto maggiormente a continuare il percorso?

Diego: come già ho accennato prima, il sound de Il Segno del Comando è qualcosa che mi viene in maniera molto spontanea. Zittire questo tipo di urgenza espressiva sarebbe stato come reprimere un senso di libertà che mi rende molto felice e soddisfatto. Ciclicamente ho il piacere di mettermi alla prova in altri tipi di contesti, sia come compositore, sia come bassista, ma Il Segno del Comando resta il mio canale comunicativo più intimo.

E come hai scelto i tuoi nuovi compagni di viaggio?

Diego: ho scelto i miei musicisti sulla base di caratteristiche personologiche precise. Dovevano innanzitutto essere in grado di integrarsi nella line up e di lavorare per il progetto anziché per il proprio ego. In passato ho avuto esperienze pessime e i primi progetti che ho portato avanti hanno risentito in maniera massiccia di dinamiche velenose che hanno prodotto inevitabili fallimenti. Mi sono riproposto che, in primis, fosse necessario evitare di collaborare con persone distruttive, egocentriche ed incapaci di prendersi la propria parte di responsabilità.

Alla fine ho creato una squadra straordinaria che è cresciuta in maniera armonica, nella quale ognuno ha potuto dare il massimo della propria potenzialità. I livelli che abbiamo raggiunto, sia individualmente che come insieme, sono andati al di là di ogni mia aspettativa iniziale.

Mi racconti un aneddoto?

Diego: il giorno 27 marzo del 2019 ho portato una signora, che nel frattempo è diventata mia moglie, ad un concerto di John Mayall al teatro Politeama Genovese. Lei, a fine concerto, ha iniziato a parlare, dandola quasi per scontata, della possibilità che potessi a breve suonare con Il Segno del Comando in quella sala che penso sia la più importante e capiente della città. Ho cercato, con tanta umiltà e pazienza, di spiegarle che per una band come la nostra sarebbe stato improbabile riuscire ad esibirsi in quel luogo.

A novembre dello stesso anno ricevo una telefonata da un bravissimo giornalista radiofonico che vive a Roma (Max Prog Polis), il quale mi informa di aver dato il mio numero di telefono alla manager del Banco (Lorella Brambilla), perché Il Segno del Comando era stato scelto per aprire il loro concerto al Politeama. In quella data fantastica, svoltasi il 5 febbraio del 2020, è nato anche un bellissimo rapporto di amicizia che ancora ci lega alla famosa band romana.

Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro de Il Segno del Comando? Nuovi progetti in arrivo?

Diego: abbiamo in programma diversi lavori tra i quali un disco live, uno split ormai concluso con la band genovese Expiatoria e uno split con un gruppo con cui alcuni di noi hanno collaborato in passato che si chiama Il Ballo delle Castagne. Ci sono altri progetti che vorremmo realizzare, ma sui quali stiamo ancora ragionando. Appena possibile inizieremo anche a lavorare su un prossimo full lenght, ma non prima di aver concluso i lavori appena menzionati.

Ovviamente cercheremo di suonare il più possibile dal vivo.

Ti ringrazio molto per la tua disponibilità. I nostri lettori saranno entusiasti di leggere le tue parole sul nostro magazine. Ti lascio lo spazio per concludere la chiacchierata come meglio credi.

Diego: faccio un appello a tutti gli amanti della musica: cercate di vincere la fatica, giustificata e sacrosanta, e andate il più possibile ai concerti. Sia i gruppi che gli organizzatori che ancora resistono hanno molto bisogno della presenza di pubblico.

Comments are closed.