2023 – Dirt Records
Alcune band impiegano molto tempo a costruirsi un pubblico e connettersi con i fan, ma per i Dirty Honey questo processo è durato molto meno. Sin dall’inizio, con il primo EP omonimo nel 2019, il quartetto di Los Angeles ha ricevuto critiche entusiastiche e standing ovation ovunque. Da quel debutto di grande impatto, hanno aperto i concerti per The Who, Guns N’ Roses e Black Crowes, tra gli altri, il che ha solo alimentato ulteriormente la notorietà della band californiana.
Tuttavia, questo può rivelarsi spesso un’arma a doppio taglio. Se non c’è qualità in quello che si propone, ci si può bruciare rapidamente. A volte, confermarsi con il secondo album è più difficile che esplodere con il primo; le aspettative possono farti soccombere, e se non hai quel tocco speciale, è difficile rimanere sulla cresta dell’onda.
Ho avuto la fortuna di ascoltare in anteprima il loro nuovo lavoro, “Can’t Find the Brakes”, e dopo aver raccolto con calma i miei pensieri, posso confermare che i DH su quest’onda ci stanno surfando alla grande.
Marc, John e Justin, insieme al “nuovo” batterista Jaydon Bean, sono tornati in Australia, precisamente a Byron Bay, dove avevano già registrato il primo EP. Probabilmente avrebbero registrato anche il primo album completo nello stesso luogo se non ci fosse stato di mezzo il Covid. Hanno lavorato nuovamente con Nick DiDia (noto per aver lavorato con Rage Against The Machine, Bruce Springsteen, Pearl Jam, Stone Temple Pilots), ponendo difatti il timbro su uno sposalizio decisamente vincente.
Iniziamo con la copertina dell’album, dipinta a mano dal famoso artista di graffiti di Los Angeles, Kelly “RISK” Gravel, il primo artista degli ultimi 400 anni ad essere invitato a dipingere nello studio di Michelangelo. “Fino ad ora, non c’è stata una band proveniente da Los Angeles che mi abbia entusiasmato davvero”, ha detto RISK, “ma i Dirty Honey ci sono riusciti. La loro musica è una vibrante combinazione di caos organizzato, e ho voluto che l’arte riflettesse proprio questo”.
Ora passiamo alle dieci tracce di quest’album. Alcune canzoni non sono nuove per i fan che hanno partecipato al loro lungo tour estivo in Europa e America, dato che la band ha già rilasciato tre singoli e suonato diverse delle tracce del disco durante i concerti.
L’album inizia subito con Don’t Put Out The Fire, un ritmo subdolo che sembra rubato ad Angus Young e soci, capace di farsi strada sottopelle e tormentare l’ascoltatore. Segue l’aggressiva Won’t Take Me Alive, anche il primo singolo estratto dall’album, che ricorda i primi Aerosmith. È una delle canzoni più rock mai scritte dalla band, come dichiarato dal chitarrista John Notto. Trascina l’ascoltatore in un vortice di energia che non può fare a meno di far venire voglia di saltare e ballare.
A differenza di altre band, i Dirty Honey non cercano di emulare i grandi del passato, ma si concentrano sul catturare lo spirito e il groove. Sono una versione moderna della massima essenza del rock ‘n’ roll e ne sono una versione valida.
Proseguendo, passiamo a Dirty Mind, un groove lento dall’anima bluesy, seguita dalla bellissima Roam, un’immersione nelle emozioni e nelle vibrazioni dark. Questa canzone, un malinconico crescendo, da sola vale probabilmente l’ascolto e certifica il salto di qualità della band sia nelle lyrics che negli arrangiamenti.
Poi c’è la contagiosa Get a Little High, con un riff spaccone e un ritornello che afferra l’ascoltatore come sabbie mobili.
I Dirty Honey sono maestri nel giocare con le diverse sfumature musicali, come dimostrato dal terzo singolo dell’album, Coming Home (Ballad Of The Shire), un’acustica ballad che tira fuori una nuova versione di John Notto. È un duetto chitarra e voce, con l’incursione saltuaria del basso di Smolian. Una ballad non scontata, una rarità in questi tempi.
Con il brano che dà il titolo all’album, Can’t Find The Brakes, i Dirty Honey tornano nel loro elemento, il brano ha un ritmo incalzante che evidenzia l’ottima sezione ritmica, il basso di Justin Smolian e la batteria già ben integrata di Jaydon Bean travolgono l’ascoltatore, preparando il terreno all’ottima Satisfied, dove Notto si lascia andare a un assolo degno dei maestri delle sei corde a cui si ispira, e Labelle canta un refrain incisivo che si fissa nella mente.
La festaiola Ride On ci fa immergere nuovamente nel groove degli anni ’70 con il suo riff Southern Rock. Mentre You Make It All Right riporta a una sensazione di calma, è un’altra ballad dall’andamento lento e commovente su cui Marc sfoggia tutte le sue qualità vocali.
Prima di chiudere, c’è ancora tempo per l’ultimo brano, Rebel Son, un altro tipico riff cadenzato alla Notto, che ci accompagna verso una conclusione degna del resto dell’album.
In conclusione, posso dire che “Can’t Find The Brakes” è tutto ciò che potreste desiderare se amate il bluesy hard rock. Gli ingredienti sono sempre gli stessi, un po’ di Aerosmith, The Black Crowes, Led Zeppelin, AC/DC e una spruzzata di rock degli anni ’70 e ’80. Il risultato è anch’esso una conferma della bontà della band, un album più maturo, con una cadenza più bluesy e cupa, ma con alcuni sonori colpi di hard rock potente.
Non c’è bisogno che sia io a scoprire il talento di questi ragazzi. Hanno una sezione ritmica solida, con Jaydon Bean che si è subito amalgamato perfettamente con il basso di Justin Smolian. Il chitarrista John Notto è una reminiscenza di un’altra era e riesce a riempire lo spazio sonoro da solo. Nel corso degli anni, si è affermato come uno dei chitarristi più validi in circolazione. Tutto questo, accompagnato dalle eccezionali doti vocali e da frontman di Marc Labelle, un cantante di rara qualità, come ne nascono pochi, che può spaziare dal rock scatenato al blues e alle ballate malinconiche senza perdere il passo.
In breve, questa band rappresenta il presente e il futuro del rock. Nella mia mente, li vedo come un’ancora alla quale aggrapparsi nella deriva che sta prendendo il panorama musicale a livello internazionale. Sono una potente risposta a chi considera il rock come una specie in via di estinzione.
Lasciamoli crescere e avanzare, osserviamoli con curiosità, sperando che questi ragazzi non riescano mai a trovare i freni.
“Can’t Find The Brakes” track listing:
01. Don’t Put Out The Fire
02. Won’t Take Me Alive
03. Dirty Mind
04. Roam
05. Get A Little High
06. Coming Home (Ballad Of The Shire)
07. Can’t Find The Brakes
08. Satisfied
09. Ride On
10. You Make It All Right
11. Rebel Son
Band
Marc LaBelle – lead vocals
John Notto – guitar
Justin Smolian – bass guitar
Jaydon Bean – drums
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