2024 – Island
In questo 2024 che si appresta ormai a spegnere le candeline del suo primo quarto, le buone notizie da oltre manica non accennano a diminuire. Certamente, anche in anni recenti, Inghilterra ed Irlanda non si sono mai dimostrate avare nel regalarci nuovi talenti. Il loro continua ad essere un pozzo che non vuole proprio imparare la parola siccità. Eppure, sgomberando subito il tavolo da qualsiasi intento nostalgico, sembra quasi di essere tornati al frizzante fervore di metà anni ’90 e ciò senza neppure il bisogno di andare a riesumare le spoglie mortali del Britpop. Questa mutante “new wave della new wave della new wave della new wave” non inquadra nessun punto preciso di un passato che viene romanticamente idealizzato, ma non spasmodicamente inseguito. I suoi esponenti, infatti, non sembrano avere un debole per i flashback a base di materiale d’epoca, ed alla comodità narrativa del citazionismo tout court preferiscono i rischi di un piano sequenza che prova a riempire lo schermo con un trionfo di memorabilia musicali , offerto al pubblico secondo modalità che, lucidamente, decidono di non rispettare la sequenza logica degli eventi rappresentati. Altro che “Montaggio Analitico”.
L’arrivo degli English Teacher è stato adeguatamente anticipato da un Ep (Polyawkward del 2022) e da una manciata di singoli inaspettatamente maturi e provocatoriamente mai compiacenti, tra i quali spicca la spigolosa bellezza di quella The World’s Biggest Paving Slab che ora, insieme ad altre 12 tracce votate ad un eclettismo sfacciato, ma mai egoriferito, contribuisce a rafforzare l’impatto di quello che è già, di diritto, uno degli esordi più interessanti dell’anno.
Meno alt prog degli Squid, più “pop” (il lettore è gentilmente pregato di notare la presenza delle virgolette) dei Black Country, New Road ed infinitamente più propensa (ma, effettivamente, ci voleva poco) alla melodia rispetto ai Dry Cleaning, la formazione di Leeds è una variante, asciutta e concisa, dei Radiohead in versione “light” che, con genuino piglio post punk ed insolenza art rock, prima destruttura e poi fonde insieme i repertori degli Smiths e dei primi Artic Monkeys.
Il duttile carisma della voce di Lily Fontaine è perfettamente a proprio agio, sia nei momenti melodici che in quelli più spoken. This Could Be Texas, sin dal titolo, prova a sovvertire il senso dell’orientamento musicale dell’ascoltatore, ma il tentativo è vano. Nonostante la varietà degli ingredienti utilizzati, il soddisfacente risultato, non c’è ombra di dubbio, è inequivocabilmente British.
7.8/10
Tracklist
1 Albatross
2 The World’s Biggest Paving Slab
3 Broken Biscuitss
4 I’m Not Crying You’re Crying
5 Mastermind Specialism
6 This Could Be Texas
7 Not Everyone Gets to go to Space
8 R&B
9 Nearly Daffodils
10 Best Tears of Your Life
11 Blister My Paint
12 Sideboob
13 Albert Road
Musicisti
Nicholas Eden – basso (tutte le tracce), pianoforte (traccia 13)
Lily Fontaine – voce, sintetizzatore (tutte le tracce); pianoforte (tracce 2, 12, 13)
Douglas Frost – batteria, percussioni, sintetizzatore (tutte le tracce); pianoforte (1, 3–13)
Lewis Whiting – chitarra (tutte le tracce), percussioni (tracce 1, 3–13); programmazione , sintetizzatore (7); pianoforte (13)
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