2024 – XL Recordings
Come gli ultimi Idles (ma a partire però da presupposti parecchio differenti ed approdando a risultati altrettanto distanti) i Fontaines D.C. del 2024 saltano il fosso delle aspettative dei fan, atterrando in piedi, riconoscibili eppure completamente rinnovati e contemporanei come mai era accaduto prima. Lo smalto della scrittura è ancora lì, perfettamente intatto, mentre rispetto al panorama circostante, ogni oggetto sembra aver trovato ora una nuova collocazione, finendo così per scovare posizioni apprezzabilmente distanti da quelle occupate prima di questo improvviso giro a 360 gradi.
Se la band di Joe Talbot opta per una sterzata la cui brusca irruenza deve più di qualcosa all’incoscienza audace dei Radiohead, Grian Chatten e compagni virano affidandosi invece alla costellazione del pop wave e, pur aspirando (in modo legittimamente spregiudicato) ad intercettare un pubblico più trasversale, riescono a scongiurare gli elevati rischi di accidentale autocombustione, da sempre insiti in operazioni affini. Tutto questo basta a chiarire subito che l’arrivo di Romance, quarto album della band irlandese ora trapiantata a Londra, non è il frutto prevedibile di una routine propensa ad adattarsi ai desideri del pubblico.
Osservandolo da vicino, con motivata attenzione, è impossibile non notare come la sua immediatezza, al netto di un’estetica tangibilmente rinnovata, non sia poi così spiritualmente distante da quella catturata da Chatten in Chaos For The Fly, il suo esordio solista dello scorso anno. Il fascino notturno dei precedenti lavori della band non va completamente perduto, ma qualche goccia di buio finisce per essere barattata con una tavolozza di acquarelli che vengono però utilizzati con la parsimonia cromatica di chi vuole fare entrare giusto qualche filo in più di luce nel soggiorno, senza arrivare ad abbattere le pareti. Impossibile non notare poi che le influenze della band mai avessero assunto sembianze così esplicitamente riconoscibili.
La title track, programmaticamente posta in apertura, non perde tempo ed esplicita subito il desiderio di attingere ad un vocabolario più vasto, trovando così quel coraggio necessario a farla suonare come un’immaginaria cover dei Depeche Mode, passata per le mani dei Killing Joke e finita nella tracklist di Adore degli Smashing Pumpkins. Lo spirito di Corgan, sintonizzato sulle frequenze di Tonight Tonight, si riaffaccia anche nelle infettive trame di Motorcicle Boy, alla quale occorrono appena pochi secondi per contagiare irreversibilmente l’ascoltatore. Dark Kink nasconde un tatuaggio dei Nirvana che salta fuori durante il breve assolo di chitarra, palese omaggio a quello di Smells Like Teen Spirit. Il bello è che, come accade all’alunno che ha completamente assimilato la lezione del maestro, tutto suona perfettamente ed organicamente Fontaines D.C.
Su Starbuster, primo singolo estratto e già pubblicato ad aprile, si allunga l’ombra, niente affatto fuori tema, dei primi Kasabian. La successiva Here’s The Thing ha le sembianze di un brano shoegaze al quale è stato negato il reverbero d’ordinanza, mentre Bug è un finissimo esempio di aggiornamento del vocabolario Britpop. Sundowner è invece una sognante altalena che sfiora le nuvole del Dream Pop. La conclusione è affidata alla solare esuberanza di Favourite, un instant classic a tradimento che scomoda addirittura Marr e Morrissey. E’ inevitabile che, una volta scesi dalla giostra, la testa continui a girare per qualche minuto, persa tra echi dei Felt, ombre dei Comsat Angels e vaghi deja vu di Robert Smith. Romance ci regala la copertina meno ispirata dell’anno ma, muovendosi con la navigata sicurezza dei migliori Artic Monkeys, riesce a farsi perdonare grazie ad una tracklist capace di entrare direttamente sotto pelle, con brani mai propensi a chiudere le innumerevoli porte che vengono attraversate.
Chi parla di voglia di mainstream, con snobismo degno del Giovan Maria Catala Belmonte di Sordi (“caro il mio malconcio” cit.), dimostra solo di aver contratto, con intensità ormai incurabile, la “sindrome di erano meglio quando li ascoltavo solo io”. Chi grida invece al miracolo o all’avverarsi di una profezia messianica, è forse rimasto impigliato nelle maglie di un hype che, per quanto giustificato, non ha fornito le prove di una sua compiuta incarnazione.
Come spesso accade, le risposte vanno cercate a metà strada, tra il fanatismo edonista e l’indignazione a priori. Pur dimostrandosi perfettamente capace di gestire il proprio bulimico appetito, la band appare, a tratti, troppo occupata a contemplare il proprio talento, sfiorando, con la temerarietà strafottente di chi ama gli sport estremi, i confini del narcisismo.
L’ottima produzione di James Ford (tanto per cambiare) non sbaglia un colpo, dando così perfetta coesione ad un progetto che, affidato a mani meno capaci, avrebbe magari assunto le fattezze di un incompiuto Frankenstein, costretto ad accontentarsi dell’ultimo, debole fulmine della nottata.
All’orizzonte affiorano così margini di crescita, sino ad oggi inediti, capaci di incontrare un nuovo catalogo di potenzialità, tutte verosimilmente raggiungibili ma l’album finisce anche per rivelare la propria incantevole natura interlocutoria, preludio (voglio auspicarlo) di una più coesa realizzazione degli eterogenei stimoli che hanno contribuito a dargli forma. Ormai se ne riparla al prossimo giro ma “Si…può…fare!”(cit.)
7.2/10
Tracklist
1. Romance
2. Starburster
3. Here’s The Thing
4. Desire
5. In The Modern World
6. Bug
7. Motorcycle Boy
8. Sundowner
9. Horseness is the Whatness
10. Death Kink
11. Favourite
Band
Grian Chatten – voce (eccetto traccia 8), piano, chitarra (tracce 5, 7, 10, 11)
Conor Deegan III – basso, (tracce 1, 2) voce e testo (traccia 8) cori (tracce 1, 4, 6)
Carlos O’Connell – chitarra, mellotron (tracce 1, 2, 5, 8, 9) cori (tracce 4, 7, 11), 1, 2, 4, 5, 8, 9, 10), testo (9)
Conor Curley – chitarra; basso (traccia 1), cori (tracce 1–8, 10–11), co-voce principale (5)
Tom Coll – batteria, percussioni, chitarra (traccia 9)
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