Sono estremamente di parte e qualsiasi gruppo abbia tenuto banco tra il 67 e il 78 mi attira di piùdi quanto un container di miele rovesciato a Yellowstone attiri i grizzly, per cui l’unico modo di distrarmi dalla performance degli Iron Butterfly potrebbe (dico potrebbe) essere un proiettile calibro 357 bello caldo dritto nel cervelletto. Il sito è il solito Whisky A Go Go e mi accorgo di essere un habitué  dal fatto che i ragazzi della security mi salutano con un sorriso e un bel “welcome back bro”, cose che scaldano il cuore.

Vediamo di capire cosa è rimasto del gruppo californiano da 50 milioni di dischi venduti che vede la sua nascita nel 1967 con il disco che segna una profonda spaccatura e, probabilmente, l’embrione dell’hard rock: In Na Gadda Da Vida. Il gruppo è stato decimato per motivi anagrafici, troviamo alle percussioni un solo membro fondatore, Ron Bushi, alla batteria Ray Weston, scozzese proveniente badate bene dai Wishbone Ash, alla chitarra Eric Barnett che da oltre 20 anni suona con Bushi e da almeno 40 è in tour, alle tastiere (vintage) Phil Parlapiano e al basso Dave Meros.

Altra giornata no riguardante i gruppi di spalla, bisogna dirlo: Melissa K sale sul palco e non può non attirare l’attenzione, ma se  da una parte la beltà  e la presenza scenica non bastano per fare buona musica dall’altra è vero che tira piùun pelo di cantante che un carro di chitarre, per cui si prende anche gli applausi. Con i Crazy Mary va pure peggio in quanto alla cantante manca anche il dono estetico.

Intro e Iron Butterfly Theme mi rassicurano su come andrà  la serata, 5 maturi ometti sul palco che sono come aria fresca nel deserto; si parte con 3 canzoni cantate dal piu’ giovane, il tastierista Parlapiano che senza infamia e senza lode traghetta verso il crescendo che tra poco infiammerà  la sala, infatti quando il chitarrista Barnett prende possesso del microfono si cambia decisamente registro, la parola d’ordine è CLASSE. Voce calda, matura, esperta che ci regala Flowers and Beads, Filled with Fear come fossero sue, non bastasse si cambia d’abito e da “chitarrista di sfondo” diventa “virtuoso dal tocco di velluto” che sciorina soli e riff da spellarsi le mani per gli applausi. Di crescendo vero e proprio si tratta e l’apice secondo me si raggiunge con Stone Believer, stupenda canzone eseguita in modo irripetibile. Ovviamente starete aspettando il parossismo, ossia In A Gadda Da Vida che viene introdotta accolta dalle grida (anche mie) del pubblico; eh cosa dire, 20 minuti buoni di musica, soli di percussione, di chitarra, fumo, luci strobo e tutto il circo necessario per rendere l’idea del concetto di “Garden Of Eden” degli anni 60, il tutto tenuto in piedi da quel cavaliere della quattro corde che è Dave Meros, un uomo fatto di roccia da far invidia a Ben Grimm. Ce ne sarebbe d’avanzo, ma i nostri eroi si sentono in dovere di proporre un bis e con Easy Rider poco mancava ci scappasse la lacrimuccia.

Pubblico bello, giovanissime in pantaloni di velluto rosso che saltano come ranocchie e maturi stempiati che 47 anni fa ballavano coi pantaloni di velluto rosso e saltavano come ranocchie con la stessa identica canzone, passato e presente uniti in armonia e amore per la musica vera, il tutto stavolta condito da una regia audio perfetta.

 

 

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