Promemoria per me: mai, e poi mai, andare al Pigneto di fine settimana con la macchina. Trovare parcheggio in quel quartiere è peggio del chiedere soldi ad un genovese.

Vi starete chiedendo cosa può mai importarvene, ma il motivo per cui ho perso MustRow in apertura è proprio questo. Me ne scuso, cercherò di recuperare appena ne avrò modo.

Beh, chi non conosce Joe Bastianich? Imprenditore di successo nell’ambito della ristorazione, ha raggiunto la notorietà  in Italia grazie alla partecipazione come giudice a diverse edizioni di Masterchef Italia (e anche a qualche divertente difetto di pronuncia della lingua italiana, forse voluto, oltre ad un sarcasmo pungente).

Vederlo in veste di musicista però è tutt’altra storia, e ammetto di non sapere proprio cosa aspettarmi. Il suo disco “Aka Joe“, registrato a Los Angeles, è uscito per la Decca Records (etichetta di proprietà  della Universal Music) il 20 settembre, e la data a Largo Venue è l’occasione per presentare dal vivo l’album al pubblico romano.

Lo spettacolo s’intitola “New York Stories“: Joe infatti, oltre a cantare e suonare la chitarra ritmica, tra una canzone e l’altra parla di sé, della sua storia familiare e personale e dei suoi affetti (specialmente quello per sua nonna, a cui è molto legato e alla quale ha scritto una canzone). Sullo sfondo, dei video accompagnano il tutto.

Molto interessanti i racconti e i ricordi riguardanti l’atmosfera newyorkese alla fine degli anni Settanta: in strada il punk si mescolava al nascente hip hop. L’amore di Joe per questa città  è talmente viscerale da venir rimarcato continuamente.

Ovviamente, in questa interazione con l’audience in sala, non può mancare il suo proverbiale sarcasmo: battute su quale sia il piatto di pasta rappresentativo di Roma o sull’imminenza del derby calcistico, ad esempio.

Voglio assolutamente ricordare questa:

“… quindi voi romani impegnate il vostro tempo nel mangiare pasta e nel tifare calcio! So che dovete combattere anche con i mezzi pubblici… mah!! Che città !!” (92 MINUTI DI APPLAUSI, cit.).

Veniamo alla musica, ora: tecnicamente i cinque ragazzi della sua band sono bravi, nulla da dire; mi ha impressionato soprattutto la corista, bianca di carnagione ma con una voce nerissima. Il sound si muove tra stili e coordinate tipicamente statunitensi: rock “radiofonico”, pop, country, rock blues e funky. Nulla di originale quindi, ma molto piacevole all’ascolto.

La pronuncia morbida di Bastianich rende il suo cantato gradevole all’orecchio, anche se ovviamente non ci troviamo di fronte a Ronnie James Dio (per rimanere in tema di italo – americani). Il concerto si chiude con le cover di “Purple Rain” di Prince e “Stayin Alive” dei Bee Gees.
Un’ora e 35 davvero piacevoli, posso affermare senza problemi di essermi divertito. Alla fine, è questo che conta in un live.

Per concludere, lasciate anche a me un momento pungente e una riflessione: se non fosse stato un personaggio famoso, non sarebbe comunque mai riuscito a pubblicare per una major. Questo mi sembra abbastanza evidente.

Da parte di Bastianich, però, l’operazione mi sembra sincera: in questo momento della sua vita, sembra davvero aver bisogno della musica per esprimersi. E questo va ben oltre le bieche, e calcolate, logiche di mercato.

 

Si ringrazia Barley Arts

Avatar
Author

Write A Comment