In questa fredda sera di febbraio il Live Music Club ospita un evento personalmente molto atteso: dopo aver posticipato a quest’anno la data inizialmente prevista per febbraio 2022 e la mancata partecipazione al festival “Luppolo in Rock” nell’estate dello stesso anno, finalmente i Katatonia arrivano in Italia! E lo fanno in grandissimo stile: come co-headliner di un altro gruppo parecchio apprezzato e conosciuto, gli islandesi Sólstafir, e accompagnati dalle note morbide dei SOM; tutti e tre insieme per l’unica data in Italia del tour in Europa e Regno Unito chiamato “The Twilight Burials 2023”.

Aprono questa serata dal sapore malinconico i SOM, quintetto statunitense assolutamente da non sottovalutare: un’ottima esecuzione strumentale con suoni puliti e precisi e una voce melodica e quasi eterea. Il genere non è immediatamente identificabile, si avvicinano ad un moderno shoegaze strizzando l’occhio alle sonorità degli Alcest, alternando parti musicali in stile post-metal più grintose, fino a riff decisamente più malinconici e atmosferici. La voce armoniosa e sognante si amalgama alle note degli strumenti e conferisce alla composizione una vena addirittura pop; un contrasto che risulta niente male, particolare, originale e che nel complesso funziona molto bene. Un gruppo apprezzabile a mio parere molto più dal vivo che ascoltato sulle varie piattaforme musicali, dove risultano un poco piatti e sottotono. Il live mette invece bene in evidenza il livello di questa band ed il loro potenziale espressivo, portando all’orecchio particolari stilistici, vocali e melodici che purtroppo in parte si perdono in mezzo al muro di chitarre nelle tracce registrate.

Terminata l’interessante esibizione dei SOM è il turno del primo gruppo headliner, che non ha di certo bisogno di alcuna presentazione: i Sólstafir sono già abbastanza conosciuti ed apprezzati!
Il Live Club, ora abbastanza pieno, li accoglie con un enorme applauso e un boato di voci; il palco è molto semplice: solo un telo nero con il logo come sfondo. Essenziale.
L’intro avviene con la lunga “Nattmal” tratto da uno degli album melodicamente più magnifici e opprimenti che abbiano creato: “Ottà” (2014). Melodie dense e pesanti, ma tecnicamente volute e ricercate, con le chitarre che si intrecciano in riff depressi e atmosferici, per poi esplodere in sinfonie graffianti.
Si susseguono brani tratti da quasi tutti gli album della loro carriera, da “Köld” (2009) che alterna la vena introspettiva del post-grunge alla tecnica strumentale del post-rock e il quale omonimo album segna il passaggio della band dalle radici black metal ad una nuova dimensione musicale e stilistica, a “Fjara” (2011), ballad tratta dal successivo “Svartir Sandar”, che porta avanti a testa altissima l’evoluzione nella complessità e nell’espressività degli islandesi, distanziandosi ancora di più dalle origini per immergersi in un mondo stravolto, emozionale, cupo e interiore. Caratteristiche queste ultime veicolate egregiamente anche dalla voce di Aðalbjörn Tryggvason, particolare, a tratti imperfetta, ma dalla timbrica praticamente unica e molto affascinante. Degno di nota anche il suo carisma e il suo coinvolgimento sul palco e con il pubblico: sulle note dell’affascinante “Rökkur” (2020), che riporta melodie ambient alla maniera dei conterranei Sigur Rós, scende dallo stage e, sempre cantando, passeggia in bilico sulla transenna stringendo le mani del pubblico positivamente stupito in prima fila, arrivando sul lato più esterno del palco per scattarsi foto con i fan direttamente dai loro telefoni. Mossa apprezzatissima!
Sul finale due pezzi enormi, “Ótta” (2014) e l’adrenalinica “Goddess of the Ages” (2009), e i Sólstafir lasciano il palco tra gli applausi, a chiusura di un’ora di concerto di ottima qualità.;

Setlist Sólstafir

Náttmál (2014)
Köld (2009)
Melrakkablús (2011)
Bloodsoaked Velvet (2005)
Rökkur (2020)
Fjara (2011)
Ótta (2014)
Goddess of the Ages (2009)

Dopo un cambio palco abbastanza veloce il Live Club si riempie più di prima per assistere al grande ritorno dei Katatonia in Italia. L’ultimo concerto fu nel 2016, all’Alcatraz, per il tour di presentazione del capolavoro stilistico che è stato “The Fall Of Heart”, e successivamente tra pandemia e cancellazioni (come detto in premessa) non abbiamo più avuto l’onore di ospitarli su uno dei nostri palchi. Ma l’attesa è finalmente finita e la soddisfazione di presenziare a questo evento si percepisce dal calore unanime che il pubblico riserva alla band svedese quando fa il suo ingresso on stage. Senza molti convenevoli, non troppo graditi, si parte: il primo pezzo è “Austerity” tratto direttamente dall’ultimo attesissimo album, fresco di uscita a fine gennaio, dal titolo “Sky Void Of Stars”. Un inizio non eccellente a causa di problemi tecnici, dove i suoni non erano equalizzati al meglio, la voce risultava troppo bassa e le chitarre quasi inesistenti sotto una batteria eccessiva. Sistemato rapidamente il disguido, la prima traccia prosegue fluida, seguita da un secondo pezzo tratto dallo stesso. Le opinioni sull’ultimo disco sono giunte contrastanti, tra chi fatica a ritrovarsi nei nuovi pezzi e accusa la band di aver ceduto alla “commerciabilità” della musica e chi inneggia ad una nuova e altrettanto potente evoluzione nell’analisi introspettiva che porta come conseguenza un nuovo modo di produrre: alla luce dei cinque pezzi portati al Live Club si può dire che nonostante sia evidente un mutamento nello stile e nella melodia è innegabile che siano sempre loro, sempre gli stessi ambasciatori del doom metal; c’è un cambiamento, si, ma che suona realmente di progresso, ed è altrettanto evidente come non sia mutata affatto la capacità di trasmettere quel senso di opprimente pesantezza dell’essere, del vivere, dell’esistere. La voce di Jonas Renkse era ed è tuttora vettore principale di sentimenti bui, malinconici e di abbandono e gli strumenti la accompagnano, la sostengono e le danno ulteriore forza, spingendola più nel profondo dell’ascoltatore; chitarre e tastiere si intrecciano con sonorità a tratti cupe e lente, decadenti, e a tratti più alte ed aggressive, che donano a molte delle loro composizioni un illusorio ed effimero senso di catarsi. La cassa della batteria rende pesante anche respirare.;È un concerto per cui vale davvero la pena esserci, anche (e soprattutto) per i brani scelti dagli album precedenti: dalle perfette “Deliberation” (2006) e “My Twin” (2006), con la quale tutto il pubblico canta, tratte dall’album di svolta “The Great Cold Distance”, passando per “Forsaker” (2009) da “Night is The New Day”, con riff graffianti in contrasto con la malinconica melodia centrale, fino alla meravigliosa quanto greve “Old Heart Falls” (2016), che ad ogni nota, ad ogni parola, riesce a penetrare sotto la pelle ed arriva nel profondo a lacerare l’anima.

Per un breve momento lasciano il palco, per poi tornarvi e chiudere il concerto con due pezzi enormi: “July” (2006), maestosità armonica dai ritmi taglienti, ed “Evidence” (2003), la più ‘vecchia’ dei pezzi scelti, da “Viva Emptiness”, inno al vuoto interiore e all’impotenza irreversibile e disperata. Il gran finale. Pesante quanto meraviglioso. Ancora una volta i Katatonia si riconfermano giganti indiscussi del loro genere, strumentalmente maestri nel trasmettere determinati sentimenti, di sofferenza, vuoto e impotenza. Non si può dire null’altro se non che si spera di rivederli presto nuovamente in Italia; senza far passare troppo tempo stavolta, magari solo quel che basta per ricomporre alla bell’e meglio i pezzi di esistenzialismo nei quali siamo stati tutti disgregati con questo concerto…

Setlist Katatonia

Austerity (2023)
Colossal Shade (2023)
Lethean (2012)
Deliberation (2006)
Birds (2023)
Behind the Blood (2020)
Forsaker (2009)
Opaline (2023)
Buildings (2012)
My Twin (2006)
Atrium (2023)
Old Heart Falls (2016)
Untrodden (2020)

Encore:
July (2006)
Evidence (2003)

Si ringrazia Vertigo Hard Sounds
Foto di Moira Carola – sfoglia la gallery qui!

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