Prima di recensire l’album numero 13 della band capitanata dal carismatico leader Jonathan Davis, bisogna tornare indietro ad un evento dolorosissimo che segnerà  in modo indelebile la sua vita privata innanzitutto e in seconda battuta , tutte le tematiche e le atmosfere di questo ottimo album.

Il 18 Agosto 2018, le agenzie di stampa mondiali comunicano la morte di Deven Davis , moglie del cantante. Inizialmente le cause del suo decesso rimangono oscure, ma dopo due mesi dopo l’autopsia venne rivelato che l’ex pornostar è morta a causa di una potente overdose a base di un mix di cocaina, eroina, clonazepam, topiramate e fluoxetina.

Proprio in quel drammatico giorno d’Agosto sarebbe divenuta esecutiva una sentenza del tribunale che avrebbe affidato in maniera unitaria la custodia dei figli a Jonathan e il divieto di vederli da parte di Deven. La coppia si era separata di fatto già  nel 2016, dopo anni di un travagliato rapporto segnato anche da violenze domestiche di Deven verso la sua famiglia.

Jonathan cade in depressione dopo la morte della moglie e soltanto la musica gli da’ la forza di andare avanti e alcuni mesi dopo ritorna a suonare dal vivo con i Korn e i suoi compagni di band e nel primo concerto dopo il tragico evento non riesce a trattenere le incessanti lacrime che scendono mentre ricorda la canzone preferita dalla moglie.

“The Nothing” è sicuramente l’album piu’ personale di Davies e la band marcia compatta insieme al suo frontman per tributare degnamente l’ex moglie.

Il titolo è un omaggio ad un film con il quale tutti noi ‘”…anta’  siamo cresciuti, vale a dire “La storia infinita”.

La band non stravolge troppo il loro sound con questo lavoro ma contemporaneamente riesce ad ottenere maggiormente un sound piùcorposo rispetto al recente passato.

Il disco inizia in modo straziante con le cornamusa spettrali di “The end begins” e con Jonathan che urla “Perché mi hai lasciato?” (“Why did you leave me?”) e scoppia a piangere disperatamente nel finale.
La ritmatissima “Cold” è un tripudio di cambi di tempo, con le chitarre di Munky ed Head che nel tipico modo “chirurgico”(come amo definirlo – sembrano bisturi pronti ad inciderti inesorabilmente l’animo) e con il cantato a volte rap e a volte growl di Jonathan che domina il tutto.

Il produttore Nick Raskulinecz, riesce a tirare fuori il meglio da ognuno dei quattro componenti della band e direi che “You’ll never find me” è l’esempio piùlampante con vari rimandi all’era storica di “Follow the Jeader”.

Ogni singolo aspetto del disco è stato curato in modo minuzioso dalla band e in particolar modo da Jonathan. La copertina del lavoro è davvero molto simbolica e rappresenta un manichino sul punto di precipitare ma che rimane imbrigliato ed oscilla nel vuoto grazie ad una rete che però si può spezzare da un momento all’altro.

Tanti riff ti entrano pericolosamente in corpo e non ti abbandonano per un bel pezzo. Un esempio lampante è “Idionsycrasy”- traccia numero 5-  con la band che viaggia davvero compatta e con un ritornello davvero energico e col basso di Fieldy che qua e là  impreziosisce il tutto come una pennellata di Giotto. Jonathan è davvero il Padrone di questa canzone e riesce a passare indenne e credibile attraverso vari registri vocali.

La band non ha certamente perso energia e cattiveria a distanza di molti anni dal loro opener “1994” uscito ormai da 25 anni. Sicuramente potremo testimoniare ancora la loro potenza anche in chiave live nel 2020 con il concerto all’ “I-Days Festival” a Milano il prossimo 12 Giugno, dove sapranno ancora entusiasmare i loro seguaci insieme ai System of a Down.

“Finally Free” è un tributo ancora a Deven Davis e alla sua lotta per liberarsi dalle dipendenze. Lei non ce l’ha fatta ed ora è “Finalmente libera”. Una canzone a tratti rabbiosa, a tratti eterea ,piena di affetto e di dolore nello stesso tempo.

L’attuale singolo “Can you hear me” è secondo me un piccolo gioiello. Un midtempo, con la voce narrante di Davies che introduce subito ad un refrain pieno di pathos e con la precisissima batteria di Ray Luzier che domina il tutto. La band è certamente una delle poche al mondo che vanta davvero cinque virtuosi nel loro relativo ruolo. Munky ed Head continuano a non perdere colpi nonostante una carriera lunghissima e Ray Luzier non fa rimpiangere proprio David Silveria, uscito dalla band nel Dicembre 2016.

L’esempio della loro compattezza e della voglia ancora di suonare con l’entusiasmo di una band che ogni volta non dà  nulla per scontato è rappresentata dalla magnifica “This Loss”, quasi una cantilena claustrofobica che ti spazza via con l’intensità  di un vento potente.

Il livello di emozioni che sa trasmettere questo pezzo di quasi 5 minuti è sicuramente regolato sul livello “rosso acceso” (che nella mia scala ideale di emozioni rasenta quasi la perfezione assoluta).

Jonathan non è stato certamente una persona che ha avuto la vita facile. Con un padre che lo violentava ed un’adolescenza non certo facile e a riguardo di Bakersfield, città  dove è nato ha sempre detto che “non poteva altro che drogarsi, bere e fare sesso”, visto il contesto.

I testi dei Korn non sono mai stato sinonimo di allegria, spensieratezza e voglia di vivere ma in questo caso sono i piùpersonali che Jonathan abbia mai scritto. Non è da tutti, riuscire a mettere a nudo il proprio dolore per la perdita della madre dei suoi figli in musica. Il disco non è sicuramente un disco che richiede troppi ascolti per essere apprezzato, ma ogni volta che decidi di dargli una chance ascoltandolo, non delude mai. Anzi, si apprezzano sempre di piùle sfumature di una band che non rinnega la sua matrice nu metal ma che vuole anche andare avanti ed evidenziare l’aspetto piùoscuro del loro sound .

La degna chiusura di questo ottimo disco è affidata alle note di “Surrender to failure”, che in meno di 2.30 minuti, ti trasporta quasi in un’altra dimensione.

Un disco che sicuramente saprà  dare anche un po’ di forza a tutti gli amanti della band che hanno subito recentemente un gravissimo lutto.

I Korn sono tornati e rendiamo grazia ai Korn!!!

www.kornofficial.com

Roarunner Records – Settembre 2019

Trackilist:
1.The End Begins
2. Cold
3. You’ll Never Find Me
4. The Darkness Is Revealing
5. Idiosyncrasy
6. The Seduction of Indulgence
7. Finally Free
8. Can You Hear Me
9. The Ringmaster
10. Gravity of
11. H@rd3r
12. This Loss
13. Surrender to Failure

Band:
Jonathan Davis ”“ voce, strumentazione
James “Munky” Shaffer ”“ chitarra
Brian “Head” Welch ”“ chitarra
Reggie “Fieldy” Arvizu ”“ basso
Ray Luzier ”“ batteria

Mauro Brebbia
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