Lo sgombero del Leoncavallo: quando la politica cancella la memoria collettiva… 

Milano, 21 agosto 2025 – È accaduto tutto in poche ore. In mattinata, senza scontri e senza clamore, le forze dell’ordine hanno eseguito lo sgombero dello spazio autogestito Leoncavallo, in via Watteau.

È la fine, almeno simbolicamente, di un’epoca lunga cinquant’anni. Ma se la politica oggi chiude un portone, le strade di Milano potrebbero aprire molte finestre.

Un blitz annunciato, ma mai davvero immaginato, quello avvenuto oggi, in una giornata d’estate, che ha visto il nostro Paese arricchirsi di legalità a discapito di cultura, aggregazione e solidarietà.

Il prefetto Matteo Piantedosi aveva promesso alla Destra un atto forte, visibile, simbolico: cancellare il Leoncavallo.

La decisione è arrivata come una sentenza già scritta.

Nessuna sorpresa, quindi, per chi seguiva le tensioni legali con la proprietà – la società immobiliare L’Orologio s.r.l. – ed i continui rinvii del provvedimento di sfratto, oltre 130 in trent’anni. Ma tra chi quel luogo lo viveva, la ferita è reale, è profonda.

Il Governo ha parlato di legalità ristabilita, si è gonfiato il petto, non ha intrapreso soluzioni che potessero risolvere la situazione con il dialogo, ha deciso di mettere un punto alla questione, agendo in maniera drastica, definitiva. Con un colpo di spugna ha pensato di pulire la sua immagine e di cancellare un simbolo per la collettività.

Matteo Salvini ha tuonato con un forte commento politico:

Decenni di illegalità tollerata… ora finalmente si cambia. La legge è uguale per tutti: afuera!

Gli attivisti e una parte della città rispondono:

Hanno sfrattato un pezzo di storia!

Fondato nel 1975 in via Leoncavallo, il centro sociale si era progressivamente affermato come un importante presìdio culturale e politico alternativo. Dal 1994 la sua sede era in via Watteau, dove ha vissuto i suoi anni più intensi.

Prima dello sgombero, le Mamme del Leoncavallo avevano presentato al Comune una “manifestazione di interesse” per ottenere in concessione un nuovo spazio in via San Dionigi (zona Corvetto) con l’intento di garantire la continuità delle attività.

Si era inoltre avviata una raccolta fondi denominata “Cassa di Resistenza” per sostenere le spese di trasferimento e mantenimento delle attività.

Il luogo ha ospitato oltre 12.000 eventi negli ultimi dieci anni e coinvolto decine di migliaia di persone, includendo concerti, dibattiti, mercatini solidali ed iniziative politiche.

Non era solo un centro sociale: era un laboratorio culturale ed artistico, un luogo dove si creavano opportunità, dove si promuoveva la solidarietà, dove l’aggregazione era importante e le attività erano accessibili.

Il Leoncavallo non era semplicemente un edificio occupato. Era uno spazio vivo, pulsante, attraversato da generazioni che lì hanno trovato idee, musica, arte e comunità. In un Paese dove spesso la cultura indipendente viene relegata ai margini, il Leoncavallo è stato un faro per molti.

Sul suo palco sono passati artisti che poi avrebbero fatto la storia della musica italiana: dai primi anni dei 99 Posse ai live infuocati degli Assalti Frontali, passando per Caparezza, Punkreas, Subsonica, Frankie hi-nrg, Africa Unite e tanti altri. Ma anche performer internazionali, DJ underground, jazzisti, poeti e artisti visuali.

Più che un palco, era una cassa di risonanza delle controculture. Un luogo dove si poteva vedere un concerto, partecipare ad un laboratorio teatrale, ascoltare una conferenza sulla Palestina e, nel mentre, mangiare a prezzi popolari nella mensa autogestita. La cultura, lì, era accessibile, libera, comunitaria.

Nel linguaggio della politica, “sgombero” è spesso sinonimo di “normalizzazione”. Ma ciò che il potere teme non è la struttura, bensì il suo significato.

Il Leoncavallo è (o era) uno dei più longevi simboli di autogestione d’Europa, capace di mettere in crisi il racconto dominante sulla legalità, il decoro e l’utilità sociale degli spazi occupati.

Chiudere il Leoncavallo non è solo un gesto amministrativo. È un messaggio: i luoghi che sfuggono al controllo devono essere eliminati. I simboli fanno paura. La storia, ancora di più.

Ora, non voglio dire che certe situazioni non creino problemi. Comprendo che le Istituzioni debbano risolverli. Non metto in dubbio l’importanza della legalità, dei diritti dei proprietari, di quelli che le loro attività le svolgono nella piena regolarità e non vedono di buon occhio queste realtà. Ognuno ha la sua visione, i suoi diritti, le sue ragioni. Mi chiedo, però, se il dialogo e l’impegno nel preservare l’interesse della collettività non sia di primaria importanza per chi dovrebbe avere a cuore il cittadino. Un simbolo di cultura, aggregazione, solidarietà, libertà di espressione, non riesco a vederlo come un nemico di uno Stato che dovrebbe essere dalla parte dei suoi cittadini. Le situazioni spinose, scomode, ma che allo stesso tempo custodiscono valori importanti, è normale risoverle con la repressione?

La risposta allo sgombero non si è fatta attendere. Gli attivisti hanno indetto un presidio e un’assemblea pubblica per oggi, giovedì 21 agosto alle ore 18:00, proprio davanti all’ex sede di via Watteau.

Di seguito quanto comunicato:

La polizia sgombera il Leoncavallo. Ora decide Milano!

È il primo passo per immaginare il futuro dopo lo sgombero. Non è solo una difesa del passato, ma la riaffermazione di un diritto collettivo a decidere cosa farne degli spazi della città. La memoria si può sfrattare da un edificio, ma non si cancella dalle coscienze.

Il Leoncavallo, così com’era, non esiste più. Ma l’energia, i legami, la cultura che ha generato non svaniranno con un atto giudiziario. Forse è il momento di reinventarsi. Forse la vera sfida sarà proprio questa: dimostrare che un’idea non muore nemmeno quando la sua casa viene abbattuta.

Milano, oggi più che mai, è chiamata a scegliere: vuole essere una città che si affida solo al mercato e alla polizia, o una città che valorizza la partecipazione, l’autogestione, la cultura dal basso?

L’appuntamento è in strada. Alle 18.00. Via Watteau. Ora decide Milano.

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