32.01 o scritto in lettere trentadue minuti e un secondo.
Questa è la durata del disco più atteso dell’anno o perlomeno quello che, già al momento dell’annuncio lo scorso 5 settembre, ha automaticamente diviso in due i fan di una delle più importanti band degli ultimi trent’anni.

Stiamo parlando ovviamente di “From Zero”, nuovo lavoro in studio dei Linkin Park, che segna il loro ritorno discografico sulle scene a distanza di sette anni dalla pubblicazione di “One More Light”.

La band è stata segnata, poco tempo dopo la pubblicazione di questo album, dalla morte improvvisa del cantante Chester Bennington, trovato morto suicida nella sua casa di Palos Verdes il 20 luglio 2017.
Ovviamente i piani di tour futuri furono tutti immediatamente sospesi e, in questi anni, si è assistito soltanto a riedizioni di qualche loro album del passato, impreziosito da qualche pezzo lasciato incompleto e rielaborato in studio con la voce inimitabile di Chester.

Nel 2018, anche lo storico batterista della band, Rob Bourdon, abbandonò la band, che sembrava ormai essere archiviata da Shinoda & Co..
Mike Shinoda, il chitarrista Brad Delson, il bassista Dave “Phoenix” Farrell e Joe Hahn, DJ con piatti e addetto alle campionature, non si sono mai persi di vista.

In tutti questi anni, sono rimasti amici e il ritorno della band non era nei loro piani originariamente. Si sono sentite ogni tipo di voce riguardo la persona che eventualmente sarebbe entrata nella band nel ruolo di cantante. Le voci più insistenti parlavano già da tempo di una scelta orientata verso una cantante femminile.
Si erano fatti, tra le altre cose, i nomi di Alanis Morissette e Lzzy Hale. Anche il cantante dei Sum 41, Deryck Whibley, è stato associato alla band mesi addietro. La smentita del buon Whibley arrivò quasi subito.

Un annuncio apparso improvvisamente sul web verso la fine di agosto mise in subbuglio i numerosissimi fan della band e, in generale, il music business.
Un countdown cominciò a scandire le ore che mancavano a tale comunicazione, ma quando si arrivò al fatidico zero, ripartì e ci fu un secondo countdown che, con vari indizi, indicò nella data del 5 settembre la fatidica data di questo annuncio.
Già da tempo, il cantante degli Orgy, Jay Gordon, aveva “spoilerato” in un’intervista radiofonica che aveva sentito dire che la band stava lavorando con una cantante donna. Gordon non è un nome qualunque, ma una persona che è sempre stata vicina ed amica della band.

Il 5 settembre, alla fine di questo estenuante countdown, è stato annunciato che Emily Armstrong dei Dead Sara sarebbe stata la nuova cantante e che sarebbe uscito un nuovo album della band, intitolato “From Zero”. Una performance live ai Red Studios Hollywood, la stessa sera di questo clamoroso annuncio, ha presentato al mondo intero, collegato in streaming, i Linkin Park 2024.
È seguito anche un mini-tour di sei date che ha toccato vari continenti.

La decisione di ritornare con una cantante femminile ha conquistato molti, ma attirato anche gli strali di tante persone incapaci di accettare la decisione legittima di Mike Shinoda e della rimanente parte della band di continuare. Molti hanno criticato il fatto che Emily è una seguace (come i genitori) di Scientology.
Onestamente non mi è mai importato il credo o non credo di una persona. Quindi, le parole di uno dei figli di Chester, che ogni due per tre si è prodotto in dichiarazioni farneticanti verso la band, salvo poi puntualizzare che è stato travisato nelle parole, non mi hanno fatto effetto. Così pure quelle della mamma di Chester, che si è sentita tradita da Shinoda, che considerava un figlio.
L’ex moglie di Bennington si è sposata nel frattempo e ha avuto parole davvero belle verso Emily Armstrong.

Onestamente non sapevo quasi chi fosse, ma già dal primo singolo estratto da questo “From Zero”, capii che mai scelta fu più azzeccata. Emily sa tenere il palco davvero bene, non cerca stupidi paragoni con Bennington, ha la sua personalità e, in comune con lui, ha il plus di avere una voce molto versatile: cattiva in alcuni tratti, molto melodica in altri.

La scelta del titolo è stata naturale e logica.

Shinoda ha dichiarato:

“Prima dei LINKIN PARK, il nome della nostra prima band era Xero. Il titolo dell’album si riferisce sia a questo umile inizio che al viaggio che stiamo intraprendendo. Dal punto di vista sonoro ed emotivo, si tratta di passato, presente e futuro: abbracciando il nostro suono caratteristico, ma nuovo e pieno di vita. È stato realizzato con un profondo apprezzamento per i nostri nuovi e storici compagni di band, per i nostri amici, per la nostra famiglia e per i nostri fan. Siamo orgogliosi di ciò che i LINKIN PARK sono diventati nel corso degli anni e siamo entusiasti del viaggio che ci attende”.

La band ha altre new entries: il batterista Colin Brittain, che è anche un produttore di notevole livello, e il chitarrista live Alex Feder. Lo storico chitarrista Brad Delson rimarrà nella band, ma non si esibirà più dal vivo con loro, visto che non regge più assolutamente il ritmo e lo stress di un lungo tour. Rimarrà dietro le quinte ed avrà il suo potere decisionale che rimarrà intatto.

“From Zero” è stato preceduto da quattro singoli ed è un lavoro che, ovviamente, ci restituisce la band di Los Angeles in una chiave diversa.
Il passato rimarrà nelle canzoni che si potranno rivedere o risentire su qualsiasi formato o, magari, si potranno avere ancora piacevoli ricordi delle loro esibizioni live. Il presente e futuro di questa storica band si può supportare con convinzione o, semplicemente, si può passare oltre. Gettare la cosiddetta “merda” addosso per partito preso, e senza volere analizzare o meglio ascoltare, è sbagliato.

“From Zero” si apre con una brevissima intro di ventitré secondi, fatta di rumori e distorsioni, nelle quali irrompe la voce di Emily che annuncia quasi riverente le parole “From Zero”.
Un disco certamente diverso dal passato, ma con chiari riferimenti all’era “Hybrid Theory” e “Meteora”. Ho percepito davvero poco degli ultimi anni della produzione con Chester e Rob.
Non ci sono ovviamente pezzi tipicamente forgiati sulla voce di Chester, tipo “Crawling”, “Castle of Glass” o “One More Light”, ma ci sono pezzi in cui le voci di Emily e Mike sembrano fatte l’una per l’altra.

Come la birra con l’estate, come il gol decisivo della tua squadra del cuore quando vai allo stadio, come tutte le cose che sembrano fatte per completarsi. Pezzi ritmatissimi, come “Cut the Bridge”, ti fanno saltellare senza ritegno; pezzi come “Heavy Is the Crown”, ti fanno cantare a squarciagola e aumentano all’unisono la voglia di rivederli dal vivo.

La data italiana è prevista per il prossimo 24 giugno 2025 a Milano, all’Ippodromo SNAI “La Maura”, nel cartellone dell’I-Days Festival.
Ci sono anche pezzi dove Mike ed Emily cantano da soli, senza la voce dell’altro come contrasto.
“Over Each Other” è un pezzo falsamente romantico nel suo incedere e con la voce di Emily Armstrong, molto melodica. Molto efficace è anche il lavoro di Brittain alla batteria.

Il pezzo più cattivo dell’album è certamente “Casualty”. Un brano che contiene al suo interno svariati cambi di tempo e che, a un certo punto, diventa praticamente thrash, facendoti iniziare a pogare senza ritegno. Si ricalma per un attimo soltanto e partono i loop di Hahn. Sicuramente un pezzo che, in concerto, scatenerà i vari “surfatori sulle teste”.

Echi vicini alla dub emergono prepotenti, invece, in “Overflow”, quasi eterea in alcuni tratti, che poi scatena la voce di Shinoda, capace di passare dal rap al cantato melodico in un battibaleno. Le chitarre di Brad fanno un ottimo lavoro di distorsione e accompagnano Emily, che canta molto melodicamente in questo pezzo.

Potrei parlare di tutti i pezzi, ma cito “Two Faced”, che ha la caratteristica di essere un brano che magari hai sentito già in tante tonalità e modi simili da gente tipo Korn, Limp Bizkit o Disturbed, ma nel tipico stile Linkin Park 2024. Verso 2:15, c’è un passaggio che è caratteristico della potenza incredibile che questa lineup sa scatenare.

Il gioiello del lavoro è posto — probabilmente non a caso — come pezzo finale.
Sto parlando di “Good Things Go”, un brano molto d’atmosfera, ritmato e quasi rappato a un certo punto. Un bel cocktail di emozioni che, visto che il disco dura davvero poco, ti fa venire la voglia di ascoltarlo ancora, e poi ancora.

In sostanza, un disco assai riuscito che ci riconsegna una band in perfetta forma.

Formazione:

  • Mike Shinoda – voce, chitarra ritmica, tastiera, campionatore
  • Brad Delson – chitarra solista, cori, sintetizzatore occasionale
  • Phoenix – basso, cori, chitarra e sintetizzatore occasionali
  • Joe Hahn – giradischi, campionatore, programmazione, sintetizzatore, cori
  • Emily Armstrong – voce, chitarra occasionale
  • Colin Brittain – batteria, chitarra, cori

Tracklist:

  1. From Zero (Intro)
  2. The Emptiness Machine
  3. Cut the Bridge
  4. Heavy is the Crown
  5. Over Each Other
  6. Casualty
  7. Overflow
  8. Two Faced
  9. Stained
  10. IGYEH
  11. Good Things Go
Mauro Brebbia
Author

Comments are closed.