40 canzoni in 40 città, l’ultimo tour dei NOFX

E’ giunto il momento per una delle più iconiche band punk rock di andare in pensione dopo 40 anni di onorato servizio, nei centri sociali come nelle arene, in ogni dannato angolo di questo pianeta.

Ho avuto il piacere di assistere al loro show numerose volte e anche di lavorarci da aiuto fonico in una data nel torinese 25 anni fa circa, quindi non potevo glissare l’ultimo tour in carriera per I quattro cabarettisti del punk allegrone e sguaiato vede i natali nella soleggiata California. 

L’anniversario scelto è quello dei 40 anni di carriera festeggiati con un megatour di 40 date mondiali con 40 canzoni in ogni show; sicuramente passeranno anche dalle vostre parti (ovunque voi siate), quindi non ci sono scuse, armatevi di scarponi, preparatevi a mosh pit estremi e alle battute esilaranti dei quattro saltimbanchi coi capelli blu e dimenticatevi le buone maniere per un giorno.

Il tour è anch’esso denominato “Punk in drublic”, come l’omonimo album, per la presenza di numerosi stand di birra artigianale offerta (attenzione) e un ricco plateau di band che dal mezzogiorno di sabato vi accompagneranno fino a notte (o così credevo).

Quindi lascio i 35 gradi all’ombra di Orange County per fiondarmi sulla Interstate 5 south in direzione San Diego, la location è nientemeno che il Waterfront Park, bel fronte oceano ricco di locali e turisti con bellissima vista sulla baia, cosa potrebbe andare storto? Spoiler alert: molto è andato storto.

Parcheggio l’auto a prezzi da estorsione a un miglio circa dalla venue e cerco la pensione che mi sono scelto, vista la forte motivazione a bere e divertirmi senza dover guidare (la sicurezza ragazzi, bere e guidare no buono e si va in galera) districandomi tra le tende dei numerosi senzatetto, argomento che approfondiremo; ovviamente quando ci si avvicina alla zona turistica il patinato prende il sopravvento nascondendo il disagio sociale come la polvere sotto il tappeto per non farla vedere agli ospiti.

Arrivo verso le tre del pomeriggio (dai su, mezzogiorno è troppo presto) nel parco all’aperto con la nebbia e il freddo (17 gradi), leggo il “REGOLAMENTO DI COMPORTAMENTO” con sequela di divieti come quello di fumare, di stage diving, di introdurre acqua, armi (e vabbè, quello posso capirlo), cibo, animali, minori di anni 21 con annesse minacce di espulsione in caso di minima infrazione.

La tentazione di tornare indietro maledicendo l’organizzazione è già forte, ma si concretizza in seria alternativa al concerto quando scopro che la “degustazione gratuita” era solo dall’una alle due del pomeriggio e, parlando con alcuni astanti, non tutti sono riusciti a “degustare” viste le immense code e la caratteristica flemma dei mei ormai concittadini al bancone del bar, capaci di farti aspettare 10 minuti per una bottiglia d’acqua anche essendo l’unico cliente.

Mettiamoci quindi in coda per una birraccia in lattina da 12 dollari e un panino da denuncia alla USL per un totale di 32 dollari (trentadue) stando in coda solamente 35 minuti sotto lo sguardo biasimante della cassiera, visto che non ho aggiunto una mancia del 25% all’ordine.

Ve la faccio passare io la voglia di buttare i soldi venendo in vacanza negli USA per vedere I festival, qua non ci si viene per i concerti, si viene per vedere il Grand Canyon, lo Utah, le balene, i grattanuvole e tutto il circo, ma NON per i concerti, a meno che non vi diverta scialacquare stipendi in cibo pessimo, servito in condizioni di igiene precaria e sotto lo sguardo di dozzine di addetti alla sicurezza frustrate che non vedono l’ora di urlarti in faccia per qualsiasi infrazione (tipo tenere il piede sulla corsia di passeggio invece che sul prato).

La situazione non migliora, anzi se mai possible peggiora, con l’esibizione dei  Mad Caddies e The Vandals, stonati e indecenti, impresentabili, con in più il vantaggio di un impianto audio sottodimensionato (sono fonico e si, so quello che dico) e dai suoni melodiosi come una campana della pianura vercellese dopo una grandinata.

Decido comunque di rimanere per dare un’ascoltata ai Descendents, storica punk rock band di Manhattan Beach (quella a Los Angeles eh) che ho già visto forse un paio di dozzine di anni fa in Italia. Pur non essendo in generale un grande fan del punk, il filone rock-allegrone californiano esercita sempre un certo fascino ed è spesso apprezzato anche dai metallari più intransigenti, specialmente quando chi imbraccia gli strumenti sa anche suonare.

Ed è questo il caso di Milo Aukerman e dei suoi che dal 1977 martellano col loro melodic-pun-rock senza dare quartiere e chiedere quartiere, si inizia con Everything Sux, che reassume in 1,5 minuti la mia esperienza a San Diego oggi.
I vecchi punk martellano come fabbri nell’officina di Vulcano ridando un senso a questa giornata e, con mio grande giubilo, vecchi e ragazzi cantano tutti in coro ogni singola canzone.
I quattro simpaticoni continuano coi classici I Like Food e Coffee Mug per almeno due ore in un delirio di pogo, palloncini (ma non erano vietati dal regolamento?), stage diving (si, era vietato pure questo), scarpe, cappelli e magliette che volano in un vero delirio punk.
Inutile cercare di ricordare tutte le canzoni in due ore di esibizione vista la media dei 2 minuti ognuna, ma potete immaginarvi un bel quantitativo di dischi suonati live.
Oltre alla simpatia di Milo alla voce, Frank Navetta alla chitarra e soprattutto Karl Alvarez al basso si fanno volere un mondo di bene impedendomi di scappare a piè levato verso il mio divano di casa.

Due ore di vero trambusto finiscono e ci si prepara al cambio palco, almeno 45 minuti che in Italia valgono il licenziamento (e ancora, lo so come dato di fatto) mentre ne approfitto per avvicinarmi al palco in posizione strategica per evitare le risse; decido così di appoggiarmi alle transenne del VIP CLUB. Avete letto bene, ci sono dei biglietti VIP venduti a un costo esorbitante che prevedono un’area riservata e il meet&greet con le band, che di loro sono già amichevoli e gradiscono il contatto coi fan.

L’anarchia comincia a diffondersi come sentimento generale ed ecco che numerosi riescono a scavalcare nell’area riservata prontamente inseguiti e cacciati da integerrimi operatori alla sicurezza che ricevono, giustamente, insulti e lattine in testa dagli astanti. Io ve l’avevo detto che vi facevo passare la voglia di venire in USA per assistere ai concerti…

Bando alla ciance e, a volume dei puffi, entrano i 4 burloni oggetto della festa con come al solito più spettatori sul palco che sotto, contando che siamo in 10.000 ed è sold out.

Scordatevi di cominciare con una canzone, toccano i 10 minuti di sproloquio e battute dozzinali che contraddistinguono il quartetto di Los Angeles.

Parte Dinosaurs Will Die e si ufficializza che finalmente la venue è porto franco: la sicurezza si dilegua, la polizia va a bere il suo caffe’ annacquato perché di mettere ordine nel pratone non v’è possibilità alcuna, sparisce anche la differenza tra prato VIP e semplici straccioni.

Tantissime, troppe le canzoni da nominare, ma includono classiconi come Linoleum, Kill All The White Man, The Brews e rarità come Champs Elysees cantata in francese.

I quattro simpatici cialtroni si prendono anche una pausa per poi ricominciare il cabaret con Fat Mike che insulta i suoi sodali di non suonare correttamente per venire poi rimproverato dagli stessi di essere solo un vecchio deficiente che indossa il reggiseno della moglie ex-pornostar lesbo. Il bello è che è tutto vero.

Fuck The Kids e tutte le seguenti vengono cantate all’unisono da tutti i 10.000 spettatori, nessuno escluso e il boato di Theme From a NOFX Song ancora riecheggia per il pianeta come un qualsiasi terremoto a Sumatra.

Impossibile nominare tutte le canzoni, ma sono certo non fossero 40, in ogni caso due ore e mezza di divertimento puro, allegria, simpatica stupidità che finalmente ripagano dei mal di fegato della mia trasferta nell’estremo sud della California.

Alla tarda ora delle 21:30 mi avvio così faticosamente al motel e mentre mi allontano dalla costa patinata faccio i conti con la vera città e col degrado, con le dozzine di senzatetto sporchi e ubriachi che mi insultano quando cammino in mezzo a loro (e non sono vestito come un borghese da ufficio di sicuro).
Decido di lasciare la camera d’hotel vista la grave sobrietà e, felice di aver ritrovato l’auto intatta, mi riavvio verso casa in quel che doveva essere profumo di crema solare e invece è tanfo di metanfetamina bruciata e sputo di barbone.
Ve la faccio passare io la voglia di assistere ai festival in America.


Live Report a cura di Antonio Carbone

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