È da 9 anni che il Principe Peter Gabriel, classe 1950, non suonava in Europa limitando i suoi show al Nord America, ma ecco che esattamente mentre mi trovo in Italia (chiamiamola coincidenza) parte il nuovo Tour europeo chiamato “i/o Tour” e l’occasione è il Forum di Assago per la terza data su 24 del pantagruelico impegno preso dall’artista inglese.

Non è necessario ricordare il 1975 quando Peter lasciò i Genesis, da lui fondati a 17 anni, per dedicarsi alla famiglia e a suoi interessi artistici in senso più ampio gettando nei guai i suoi sodali; pensate che i Genesis provarono altri 400 cantanti prima di arrendersi e dare l’onere a Phil Collins senza mai sostituire veramente il nostro beniamino.

Cantante, pianista, flautista e scopritore instancabile di talenti, dall’anima “prog”, ma aperto a suoni e suggestioni inconsuete di paesi remoti, si può considerare un vero artista globalizzato; nel 1989 infatti fonda la “World Record”, etichetta senza paraocchi che produce chiunque sia in grado di stuzzicare la sua fantasia.

Merita ricordare il suo amore per la Sardegna dopo aver ottenuto la cittadinanza onoraria di Arzachena e dopo aver prodotto i “Tenores de Bitti”, si avete letto bene, il gruppo di tenori di musica tradizionale sarda. Piccolo aneddoto che merita di essere ricordato: durante la registrazione del quartetto nel suo favoloso studio di registrazione in Scozia, il nostro produttore non risultava mai contento del risultato ottenuto, Dopo aver provato mille accorgimenti tecnici senza che scattasse la magia, ha spostato parte della sua attrezzatura in una grotta sarda e ha sistemato i 4 tenori nel loro ambiente naturale; gaudio e giubilo, disco prodotto in pochi giorni.

Con sé una pletora di musicisti da guinness dei primati con in primis l’amatissimo bassista Tony Levin, da 20 anni ormai impegnato coi King Crimson e nei Liquid Tension Experiment con John Petrucci dei Dream Theater.
Alle percussioni Manu Katchè che alterna Sting a Peter Gabriel e a esperimenti jazz/fusion rendendo pazzi gli studenti di batteria che tentano di imitarlo. Oltre a questi, che basterebbero di per sè a fare uno spettacolo, conosceremo chitarristi, mandolinisti e suonatori di archi, perché in tanti è più bello.

Per questi motivi non mi aspetto che il meglio dal nostro filologo dei suoni e, come leggerete più avanti, siamo andati oltre le più rosee aspettative.

Forum pieno e pubblico (non eccessivamente giovane nella media) seduto, per un’atmosfera rilassata e chi vi scrive contento per una volta di non rischiare le costole in moshpit furibondi.
Niente gruppo di spalla, luci spente e il padrone di casa che si annuncia in lingua italiana e presenta il suo show basato sull’amore per la terra, essendo un profeta green ante litteram.
Si parte tutti seduti con Washing the Water e Growing up intorno ad un fuoco virtuale, come vecchi amici che si raccontano storie usando il linguaggio degli strumenti.

Atmosfere flautate, suoni vanigliati e tenui in cui è l’armonia, più che la melodia, a tenere banco col settantatreenne che non potrebbe cantare così bene secondo la scienza, ma lui non lo sa e lo fa lo stesso.
Ci si alza in piedi e la fenomenale scenografia luci e video valorizza i brani di i/o, il nuovo album in uscita, come un bel costume di scena valorizza una ballerina di teatro.
Si finisce il primo set con Sledgehammer in cui il forum non resiste più ed esplode in gridi di giubilo cantata all’unisono dall’audience in lacrime.

Breve pausa nella quale possiamo parlare degli altri musicisti quali la violoncellista Ayanna Witter che si cimenta anche alla voce e al pianoforte, la violinista Marina Moore, il già noto chitarrista David Rhodes, il tastierista Josh Shpak, l’altro tastierista Don McLean e agli ottoni Richard Evans.

Si riparte soffusamente con Darkness mentre le luci e il video avvolgono come non mai e fanno viaggiare la mente in un percorso onirico orchestrato dal maestro con mano sapiente.
È con “Don’t give up”,  che nel 1986 ospitava Kate Bush sul disco, che si arriva al parossismo con la bella Ayanna Witter che dona una performance strepitosa alla voce. Non tenta di imitare l’inimitabile Kate Bush, ma fa sua la canzone adattandola al suo stile, il suo incredibile talento e la voce fatata che fanno cadere più di una mascella, rispetta la classica interpretazione donandole una sua che merita eguale rispetto.
Altro boato ovviamente con Solsbury Hill del 1977, riarrangiata per la piccola orchestra sul palco e finisce la setlist che prevede succosi bis quali In Your Eyes e Biko.

Mi aspettavo ed esigevo molto dal nostro amante dello stivale, ma ho ottenuto molto più di quanto pretendessi: una catarsi sonora e visiva che fa bene al cuore e penso rimetta a posto anche eventuali valori ematici sbagliati, visto il potere curativo della musica e della mente.
Inutile dire che se il susseguente tour in America sbarcherà dalle parti della mia Los Angeles non esiterò a scaraventarmi nell’arena per godere di nuovo del prezioso liquore.
Per chi se l’è perso: sono fatti vostri.

 

SETLIST

Washing of the Water
Growing Up
Panopticom
Four Kinds of Horses
i/o
Digging in the Dirt
Playing for Time
Olive Tree
This Is Home
Sledgehammer
Darkness
Love Can Heal
Road to Joy
Don’t Give Up
The Court
Red Rain
And Still
What Lies Ahead
Big Time
Live and Let Live
Solsbury Hill

Encore:

In Your Eyes
Biko

 

Live Report a cura di Antonio Carbone

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