Le dichiarazioni del manager di Tony Effe: il controverso paragone con Rolling Stones e Sex Pistols
In un’intervista recente, Giammarco Barbieri, manager del rapper Tony Effe, ha sollevato un acceso dibattito paragonando i testi del suo assistito a quelli di band storiche come i Rolling Stones e i Sex Pistols.
«I Rolling Stones e i Sex Pistols hanno composto la storia della musica attuale con canzoni che i nostri genitori e i nostri nonni hanno cantato a squarciagola e si ricordano, che fanno parte della nostra cultura»
ha dichiarato Barbieri, aggiungendo che i testi di Tony Effe non sarebbero «molto diversi» da quelli delle band sopracitate.
Queste affermazioni hanno scatenato polemiche e perplessità. Da una parte, si riconosce il valore storico e rivoluzionario di gruppi come i Sex Pistols, il cui punk provocatorio rappresentava una reazione diretta al sistema sociale e politico dell’epoca. Dall’altra, molti critici contestano la validità di paragonare questi contenuti ai testi di Tony Effe, che spesso trattano temi legati a sesso, denaro e violenza, senza la stessa profondità culturale o contestuale.
Un paragone difficile da sostenere
«Non vedo niente di diverso da quello che era il rock, il punk rock»
ha insistito Barbieri, difendendo il diritto del suo assistito di esprimersi attraverso i suoi testi. Tuttavia, il contesto storico e il significato sociale delle produzioni di band come i Rolling Stones e i Sex Pistols risultano profondamente diversi. I Rolling Stones, ad esempio, pur avendo scritto brani che oggi potrebbero risultare controversi, hanno sempre rappresentato una complessità musicale e narrativa capace di sfidare norme culturali con intelligenza e creatività.

Gli Stones sono stati pionieri nell’uso della sessualità come strumento di ribellione, ma i testi, soprattutto degli anni ’60 e ’70, sono stati spesso al centro di critiche, sia per la loro sensualità esplicita che per i messaggi considerati misogini o addirittura razzisti.
Nel caso di “Under My Thumb” (1966), ad esempio, Mick Jagger ha subito accuse di maschilismo, un’accusa che lui stesso ha cercato di respingere, spiegando che il tema centrale della canzone era un’inversione dei ruoli, dove lui stesso si sentiva sottomesso dalla donna. La canzone, tuttavia, venne letta da molte come una rivendicazione di potere maschile, tanto che suscitò un acceso dibattito all’interno del movimento femminista dell’epoca. La sociologa Camille Paglia ha ricordato che il suo elogio della canzone fu un punto di rottura con alcune esponenti del movimento femminista, che la accusavano di non riconoscere la degradazione della donna nel testo. Jagger ha cercato di giustificarsi, ma il danno era fatto: “Under My Thumb” rimase uno dei pezzi più controversi nella discografia degli Stones.
Gli anni ’70 e ’80 hanno visto i Rolling Stones continuare a scrivere testi che oggi, con il movimento #MeToo, probabilmente sarebbero giudicati severamente. Canzoni come “Brown Sugar” (1971) furono accusate di razzismo e sessismo, con riferimenti espliciti alla schiavitù e al razzismo, che Jagger stesso ha ammesso di non aver compreso appieno al momento della scrittura. La canzone fu addirittura censurata in alcuni paesi per i suoi contenuti espliciti e controversi. Un altro brano controverso, “Stray Cat Blues” (1968), parla apertamente di sesso con minorenni, con Jagger che inizialmente fece riferimento a una ragazza di 15 anni, per poi ridurre ulteriormente l’età nel contesto delle esibizioni live, suscitando polemiche sulla moralità e sull’etica del rock.
La provocazione era, però, una costante nella carriera della band, tanto che nel 1978, con “Some Girls“, i Rolling Stones affrontarono ulteriori accuse di razzismo e misoginia. Il brano, che ridicolizzava le ragazze di diverse etnie, fece arrabbiare esponenti del movimento per i diritti civili come Jessie Jackson, che cercò di boicottare il disco. In un’intervista, Jagger si difese affermando che le donne nere con cui aveva parlato avevano trovato il testo divertente, ma le critiche rimasero forti.
Anche in brani più leggeri come “Let’s Spend the Night Together” (1967), il gruppo si scontrò con la censura. La TV americana costrinse gli Stones a modificare il testo per evitare che fosse trasmesso all’Ed Sullivan Show, una delle emittenti più conservatrici dell’epoca. Nonostante la censura, la canzone divenne simbolo del desiderio sessuale e della sfida al conformismo.

I Sex Pistols, dal canto loro, erano portavoce di una generazione disillusa e arrabbiata, con testi che, seppur crudi, avevano un forte impatto politico e sociale. Il punk rock, infatti, era un grido di ribellione contro le ingiustizie, più che una semplice provocazione fine a sé stessa.
Nel 1977, l’album Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols dei Sex Pistols ha ridefinito il panorama musicale, segnando una pietra miliare nella storia del punk. L’influenza culturale e musicale di quest’opera è stata enorme: ha ridato vita all’anticlericalismo in Inghilterra e ha contribuito a creare un nuovo sotto-genere punk, l’hardcore, con band come Black Flag e Descendents che sono emerse nel suo ombra dopo che l’album ha raggiunto il disco di platino negli Stati Uniti. Il cantante John Lydon, già noto per il suo spirito irriverente, ha qualcosa da dire in ogni traccia dell’album, ma Bodies rappresenta un caso unico di espressione estrema. Una canzone che non avresti mai sentito da nessun’altra band, nata da un luogo davvero oscuro: la scena punk londinese degli anni ’70.
Lydon, la voce indiscussa dei Sex Pistols, è in grado di canalizzare una passione e una rabbia che catturano la realtà assurda ma veritiera di una persona della classe operaia inglese. Bodies è una traccia crudele, che racconta la storia di una fan di nome Pauline, proveniente da Birmingham. Pauline era una persona tormentata, una faccia oscura di un’Inghilterra che non dovresti mai vedere né sentire. Prima di arrivare a Londra, aveva vissuto in un istituto psichiatrico e, una volta rilasciata, si è diretta nella capitale inglese. Come raccontato da Lydon, “apparentemente… il punk rock l’ha fatta uscire dal suo bozzolo”, e davvero Pauline sarebbe diventata una farfalla maledetta una volta liberata nella scena punk londinese.
Pauline aveva subito diversi aborti e faceva parte di una serie di stalker psicotici che prosperavano nell’ambiente punk britannico non filtrato, arrivando anche una volta a presentarsi a casa di Lydon indossando un sacchetto di plastica trasparente contenente il suo feto abortito. Queste esperienze, uniche e disturbanti, hanno segnato profondamente Lydon, che ha deciso di scrivere Bodies per rappresentare questa realtà tragica e raccapricciante. Il brano è incredibile. La chitarra devastante di Steve Jones, insieme al tono irriverente e tipicamente scandaloso di Lydon, grida sopra testi che disgustano chiunque presti davvero attenzione alle parole, come “Throbbing squirm, Gurgling bloody mess” (un esempio delle immagini grottesche che caratterizzano il brano). Questo tono di scherno fa ridere per l’assurdità della situazione, ma allo stesso tempo colpisce per la sua cruda verità. Il ritornello “She don’t want a baby that looks like that, I don’t want a baby that looks like that” suona quasi infantile, ma cattura perfettamente ciò che per molte persone della classe operaia crescere un bambino in povertà rappresenta: qualcosa di brutto e imperfetto.

Nonostante la sua potenza emotiva e la sua forza espressiva, Bodies è stato aspramente criticato. Molti lo hanno definito una canzone “anti-aborto”, “anti-donna” e “anti-sesso”. Tuttavia, è chiaro che questo non è un inno rock conservatore, ma piuttosto una riflessione su qualcosa di profondamente orribile e grottesco: l’aborto. Lydon stesso ha chiarito che la canzone non è né pro né contro la scelta, ma una semplice rappresentazione della realtà umana, senza giudicare le implicazioni morali di un aborto. Come ha spiegato Lydon: “La canzone parla di aborto, e sì, è un diritto della donna assolutamente, perché è lei che deve portare il bambino e affrontare tutte le difficoltà che ne derivano.”
La difesa di Tony Effe e il ruolo della musica oggi
Barbieri ha anche sottolineato che «trovare artisti che hanno testi ‘clean’, che lancino messaggi che vuole la politica di adesso, è veramente difficile». Questa osservazione, pur valida in un certo senso, sembra ignorare il fatto che molte produzioni contemporanee riescono a essere provocatorie senza risultare sessiste o superficiali. L’arte musicale, infatti, evolve nel tempo e il pubblico di oggi è sempre più sensibile a temi come l’inclusività e il rispetto.
Dopo l’esclusione dal concertone di Capodanno al Circo Massimo, Tony Effe ha deciso di esibirsi al Palazzo dello Sport dell’Eur, con biglietti a un prezzo simbolico di 10 euro. Questo evento si configura come una risposta diretta alle polemiche e parte del ricavato sarà donato alle Associazioni che combattono in Difesa dei diritti delle donne, come annunciato dal rapper stesso.
Nel frattempo, al Circo Massimo, la serata sarà animata da un cartellone completamente rivisto, con protagonisti come Gabry Ponte, la Premiata Forneria Marconi (PFM) e i Culture Club di Boy George.
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