Carissimi rockers italiani, quante volte abbiamo sognato location all’altezza del nostro artista preferito o semplicemente che fossero davvero consone per qualsiasi concerto a cui assistiamo?
La risposta è semplice: troppe volte. La realtà, invece, è una sola: troppo poche in Italia sono degne di un concerto di qualsiasi genere.

Bene, prendiamone atto. La Chorus Life Arena, situata a Bergamo, sarà sicuramente una location destinata a far parlare di sé. Situata in centro (o quasi), facilmente raggiungibile con mezzi privati o collegamenti, offre un’esperienza appagante dal punto di vista della resa sonora e visiva dell’evento. Aggiungiamoci un comodo parcheggio sotterraneo alla struttura, con più di seicento stalli e collegato tramite scale mobili che portano direttamente dentro l’arena, e il gioco è fatto.

La location è stata praticamente inaugurata lo scorso 13 marzo, con un concerto davvero di alto livello. Un autentico fuoriclasse, un ragazzo che sta facendo parlare di sé e che andrà molto lontano. Molti lo definiscono il legittimo e naturale erede di Bruce Springsteen (di cui ha aperto le date italiane nel 2023 a Ferrara e Roma), io semplicemente lo definisco una persona che è stata baciata da tutto quello di positivo che sa offrire la Dea Musica.

Il suo nome è Sam Fender, voce incredibile e chitarrista sopraffino, che ha incantato i cinquemila presenti settimana scorsa a Bergamo con una prestazione davvero incredibile.

Preceduto da un breve set acustico della cantante irlandese CMAT, che con il solo ausilio della sua inseparabile chitarra acustica ha narrato storie vissute con la maestria di una cantastorie esperta, interagendo con il pubblico. Voce che inizialmente non mi ha colpito, ma che man mano ha carburato, toccando tonalità davvero non semplici e sapendo intrattenere per una mezz’ora gli esigenti fan di Mr. Fender.

Una voce che in alcuni momenti mi ha ricordato Dolores O’Riordan, in altri Melissa Etheridge, in altri Billie Eilish e in altri Nancy Wilson o Kate Bush, miscelate con sapiente abilità ma mantenendo comunque una propria personalità.

Un’attesa leggermente lunga e un breve sforamento di circa un quarto d’ora sulle canoniche 21:00 di apertura, e accolti da un autentico boato sono saliti sul palco Sam Fender e la sua band.

Le similitudini con la E Street Band sono evidenti: un sassofonista che mi ha ricordato, per look e aspetto fisico, nientepopodimeno che Piotta, ma chiaramente cresciuto a pane e Clarence Clemons, una corista che ricorda in tutto (anche fisicamente) Patti Scialfa, moglie del Boss, un batterista, due chitarristi oltre a Fender (molto indie, quasi rubati per look agli Arctic Monkeys o The Kooks), un bassista molto energico e un trombettista.

Nonostante una naturale ed evidente timidezza, Sam è davvero in palla. Sono arrivati almeno tremila fan dall’Inghilterra, molti dei quali indossavano la maglia del Newcastle, squadra del cuore di Fender. Ahimè, diversi con la maglia di un simbolo del milanesimo puro, vale a dire Sandro Tonali. Purtroppo per me, cresciuto a pane, rock, Milan e una parola con quattro lettere che inizia per “F” e finisce per “A”, è una ferita ancora aperta.

Momenti di autentica complicità con il pubblico quando Sam ha ricevuto una scatola di Ferrero Rocher e li ha donati alla band. Altrettanta complicità quando ha invitato sul palco un fan di Livorno, che ha suonato con lui “The Borders”.

Definire Sam Fender non è semplice. Ricorda Springsteen, indubbiamente, ma come chitarrista è palesemente ispirato da Prince nel modo di suonare gli assoli, o da Joe Strummer nei momenti più punkeggianti e ribelli. Si possono scorgere nella sua voce influenze dei Radiohead, degli Oasis, dei The Strokes, di Tom Petty e chiaramente di Brandon Flowers dei The Killers.

Uno spettacolo che ha dato spazio a tutti e tre gli album del cantante inglese, con particolare attenzione al recente “People Watching”, che ho recensito recentemente per il magazine.

Momenti di goliardia quando uno dei suoi chitarristi ha indossato la maglia dell’amato Newcastle e Sam ha chiesto quanti tra il pubblico fossero tifosi di questa squadra, recentemente vincitrice della Coppa di Lega Inglese ai danni del Liverpool.

Il palco era allestito con le luci necessarie, senza giochi di luce o stroboscopici invasivi, e con un megaschermo a LED dietro la band, su cui venivano proiettate riprese del concerto o i testi delle canzoni, quasi fosse un karaoke collettivo.

Nel set ci sono stati momenti punkeggianti come “Howdon Aldi Death Queue”, con batteria, chitarra elettrica, sax e tromba suonati con un’energia incredibile. Brano interamente strumentale.

Pezzi come “Spit of You”, dedicata al padre, o “A Punch in the Face Type of Love”, accompagnata dalla proiezione di vecchie Polaroid, hanno davvero emozionato.

Il pubblico è esploso in un tripudio generale fin dalle prime note del mega-hit “Seventeen Going Under”, cantato all’unisono dalla platea.

I bis hanno mandato a casa il pubblico con un sorriso a trentatré denti, chiudendo con due brani memorabili: “Something Heavy” e “Hypersonic Missiles”.

Un concerto davvero strepitoso, e un ringraziamento speciale va a Claudio Trotta e alla mitica Barley Arts, per aver riportato in Italia un fuoriclasse come Sam Fender.

Grazie Sam, alla prossima.

Mauro Brebbia

SETLIST:

  • Dead Boys
  • Getting Started
  • Arm’s Length
  • People Watching
  • Crumbling Empire
  • Will We Talk?
  • Tyrants
  • Howdon Aldi Death Queue
  • TV Dinner
  • Spit of You
  • The Borders (with Italian fan on guitar)
  • Little Bit Closer
  • Seventeen Going Under

BIS:

  • Something Heavy (I’m Always on Stage guitar intro)
  • Hypersonic Missiles
Mauro Brebbia
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