Se per il Day 1 di venerdì 2 giugno (qui foto e report) era tanta l’aspettativa, e ancor più forse la curiosità di andare a vedere l’arena in cui avremo vissuto per due giorni, per il Day 2 eravamo pronti, sapevamo cosa aspettarci. Pochi e chiari obiettivi: non ustionarsi, camminare spediti, risparmiare i token. Del resto il programma del Day 2 era ancora più invitante se possibile del giorno prima – sempre 12 band – dai più piccoli ai super big.

 

Variance

Anche questa giornata si apre con i vincitori italiani della Opening Band Competition per lo Slam Dunk, le due band di oggi sono Variance e Noisy Silence. I primi affrontano il main stage con disinvoltura e decisione. Il loro alternative rock, che sa ancora molto di pop, è di recente elaborazione, si uniscono nel 2020 nel riminese. Per loro il 2023 sembra essere l’anno della svolta: escono a gennaio con il loro primo album “Sight From a Lucid Dream”.

 

Beauty School

La seconda band inizia a definire il livello della giornata. Emo, ma colorati, alternative, ma punkettoni, i Beauty School scendono da Leeds sotto l’etichetta della Slam Dunk Records e si portano a casa una performance esemplare. La loro esibizione di “Pawn Shop Jewels” mi ha sinceramente emozionato, il frontman Joe Cabrera dai capelli double-face ha coinvolto il pubblico al punto da farlo cantare da solo durante il chorus e la giornata si è ufficialmente accesa. Me li sono riascoltati anche i giorni successivi per conservare quello che ho sentito dal vivo.

 

Noisy Silence

Ma i nuovi innamoramenti non sono finiti per oggi. Sarà per la mia incurabile passione per i Linkin Park o per l’hype che è cresciuto immediatamente davanti al palco del Beky Bay, ma io ho semplicemente adorato questi ragazzi. Umili, tecnicamente impeccabili, visivamente emozionati, il loro alternative metalcore ha ricevuto riconoscimenti da parte di musicisti veterani che mi circondavano e li guardavano con ammirazione. Da alcune chiacchiere scambiate con alcuni membri dopo il live, so che per loro è un sogno che diventa realtà suonare su un palco di tale calibro, venendo dai palchi minori del territorio del Friuli. Mi sono rimasti impressi per più motivi, è evidente la loro coesione: la voce di Francesco Marson alternata agli scream precisi e dirompenti del chitarrista Daniele Ferra creano un qualcosa che conosciamo da tempo, ma che risulta ancora oggi – per come lo fanno loro – molto valido.

 

Trophy Eyes

Torno al main stage, con alte aspettative: sono due giorni che mi parlano di questi Trophy Eyes che devo assolutamente ascoltare. Australiani, dal sound e dall’aspetto punk-rock, si dilettano a travestire canzoni tristi da canzoni felici dal 2013 e il trucco riesce, sabato in particolare durante le performance dei quattro singoli con cui hanno presentato il nuovo album “Suicide and Sunshine”, fuori su tutte le piattaforme il 23 giugno.

 

Peaks!

In questi eventi si scoprono mondi nuovi in ogni angolo, per esempio non avevo mai sentito parlare di “raverock”, fino a che non ho letto i Peaks! definirsi tali. Un duo torinese che a suon di beat elettronici e chitarre distorte raggiunge anche il pubblico internazionale e lo convince. Dal vivo comprendiamo con un certo orgoglio patriottico come siano riusciti Luca Del Fiore e Lorenzo Mazzucchi ad arrivare a così tanti ascoltatori oltre confine – e allo Slam Dunk –, contando che nascono come realtà musicale solo nel 2019 e il loro primo singolo “Black Out” uscì in pieno lockdown.

 

 

Boston Manor

Alla quota inglese si aggiungono i Boston Manor e contribuiscono a mantenere alta la qualità del main stage. Singoli come “Halo” o “Passenger” sono degli assi nella manica di un certo livello, ricordo di essermi allontanata momentaneamente verso i bagni ed essermi ritrovata senza volerlo a cantare le parole dei ritornelli, anche se non nego di aver sentito un po’ di Imagine Dragons nella strofa del secondo. Personalmente li ho preferiti in questi pezzi più soft e melodici anziché in brani più hardcore dagli scream infiniti. L’ultimo lavoro di questi cinque ragazzi si intitola “Datura”, è uscito nell’ottobre 2022 ed è considerato il prodotto più maturo e riuscito della band.

 

Trash Boat

Questi cinque talentuosi ragazzi di St.Albans sono responsabili dell’ennesimo momento magico della giornata. Al Beky Bay mi hanno regalato una cover di “Given Up” mostruosa: stavo chiacchierando su un telo con degli amici e alle prime note di chitarra mi sono alzata allarmata pensando “rischiosissimo ragazzi, fate sul serio?”. Non solo mi sono dovuta ricredere, ma vi informo già che la versione registrata non rende giustizia rispetto a quella live. Cover a parte, vi posso dire che il frontman Tobi Duncan ha carisma, presenza e due polmoni invidiabili e gli altri membri non sono meno encomiabili. Trovo il loro alternative rock riconoscibile, personale e potete averne prova ascoltando brani come “Don’t You Feel Amazing?” o “Alpha Omega”.

 

Billy Talent

Uno dei grandi nomi della line up, la storica band canadese ha dominato il main stage con energia e originalità. Di nero vestiti lasciano colorare l’arena con le note di “Fallen Leaves” e “Red Flag”, brani che hanno alzato il coro anche di chi ha trovato posto più lontano come la sottoscritta. Il sottopalco è ormai diventato una vera e propria tempesta di sabbia, in particolare in seguito a “Viking Death March”. Questa fra tutte le band della giornata a mio parere è la band che è più difficile ascoltare in cuffia: in versione registrata ho fatto quasi fatica a riconoscere alcuni brani che avevo apprezzato tantissimo dal vivo.

 

Codefendants

In giacca e cravatta i Codefendants portano al Beky Bay il loro rauco punk-rock. Anche questa band californiana si unisce alla ricerca di neologismi per definire il proprio genere, questa è la volta del “Crime Wave”: un incrocio fra hip-hop, folk, new wave e una spruzzatina di Rancid del giorno prima per rendere l’idea. La combo fra il rapper Ceschi Ramos e la voce roca di Sam King dei Get Dead crea un risultato sicuramente interessante e originale, ma non sono certa che mi abbia proprio conquistata.

 

Simple Plan

È ormai buio e tornando all’arena non è possibile trovare posto vicino al palco, meglio optare per una posizione laterale, magari sotto un albero usato come punto di ritrovo con gli amici. Siamo agli headliners e, anche se i Simple Plan non sono la mia priorità a fine serata, sono elettrizzata all’idea di vedere dal vivo la band che ha scritto una delle colonne sonore della nostra adolescenza, “Welcome to my life”. Anche se, per citare un’amica, chissà quanto non ne possono più di suonarla! Ho trovato un Pierre Bouvier cresciuto sì, ma vocalmente in formissima, energico e premuroso nei confronti del pubblico. Arriva “Just a kid”, sul pubblico iniziano a rimbalzare degli enormi palloni bianchi e celebriamo così con nostalgia i bei tempi andati. Chiudono ovviamente con “Perfect” durante la quale, mi dicono, il pubblico è diventato un mare di accendini e torce del telefono ondeggianti. E dico “mi dicono” perché io correvo a prendere posto al Beky Bay.

 

Enter Shikari

La soddisfazione più grande dopo aver visto una delle band che ho ascoltato di più negli ultimi tre anni, è aver sentito più persone dire quanto poca sia l’attenzione nei loro confronti rispetto a quanta in più ne meriterebbero. Per esempio, erano senza dubbio una band da main stage e hanno suonato veramente poco, forse mezz’oretta, ma anche la posizione in scaletta fra gli altri due big non ha aiutato. Sta di fatto che Rou Reynold dal vivo è uno spettacolo! Un animale da palcoscenico e vocalmente molto versatile. Propongono dell’ultimo album “A Kiss For The Whole World” uscito questo 21 aprile (qui trovate la recensione) la title track e quella mina di “Bloodshot”, brano in cui sono condensate tutti loro più tipici ingredienti: dubstep, post hardcore e linea vocale pazzesca. Con mio grande piacere il pubblico cantava anche queste canzoni più recenti non solo le più famose come “The Last Garrison” o “Sorry You’re Not a Winner”.

 

The Offspring

Dopo aver nuovamente attraversato il mare di persone nell’arena, torniamo in posizione laterale e molto più lontano di prima. A questo punto dovremmo essere qualcosa come più di 8 mila persone. L’entusiasmo è altissimo per ascoltare (per me per la prima volta) una delle band più iconiche degli anni 90. Offspring per me significa le estati di quando ero ragazzina, i miei coetanei che fanno le gare con i cinquantini, i primi poghi alla Panighina o al Sottomarino. Dispiace riconoscere che probabilmente non ho assistito al loro migliore live: la voce e la chitarra risultano bassissime e sembrano quasi in sordina, arrivava forte e chiara solo la batteria, almeno lateralmente. La scaletta è quella storica che conosciamo a memoria, dell’album pubblicato due anni fa non hanno proposto nulla. Brani più riusciti “Pretty Fly (For A White Guy)” e “Self Esteem”, brano con cui si conclude la prima edizione dello Slam Dunk in Italia, ed io sento già la nostalgia del mondo parallelo e magico in cui ho vissuto per due giorni.

 

Foto di Ilaria Maiorino
Testo di Lucia Rosso

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