EMI – Settembre 2012

Nel Regno Unito in casi disperati si usa dire: “Dio salvi la regina!” Ma chi salverà  la regina e l’Inghilterra intera dal leone britannico Steve Harris e dallo scempio contenuto nel suo primo album solista?

Le smorfie di dolore al basso ventre e disgusto nauseabondo da cibo avariato che mi aveva provocato l’ascolto del tremendo “The Final Frontier” (non che gli album dal 2000 in poi fossero dei capolavori, anzi”….) non sono ancora del tutto attenuate nonostante le abbia rigurgitate molteplici volte! Sinceramente non mi capita sovente di ascoltare gli Iron Maiden e neppure di aver pensieri a loro riguardo da un bel po’ di tempo, anche se li ho amati forse piùdel dovuto per anni! Purtroppo ogni loro uscita mi fa che pensare che i Maiden siano davvero’ bolliti’, ma guai a dirlo in giro! L’ultima cosa che mi sarei aspettato era quella di trovarmi al cospetto di un album solista del ‘boss’ incontrastato della band che vuoi per diletto o puro narcisismo (non certo per bisogni finanziari mi vien da pensare”…) cerca maldestramente di rivedere e mettere in musica tutte quelle che dovrebbe essere state le sue influenze adolescenziali che da sempre Mr. Harris ritiene fondamentali come start-up della sua folgorante carriera.

Per non farvi perdere ulteriore tempo nel leggere questa mia recensione, vi dico subito che se questo disco non fosse mai uscito sarebbe stato meglio! Voglio dire, se Steve Harris avesse utilizzato questi soldi per produrre una nuova e valida band avrebbe fatto almeno bella figura e salvato gli intenti, invece legare il suo nome altisonante ad una bassezza musicale tale, mi lascia totalmente basito! E dire che ero stato avvertito per tempo, dato che la EMI si era  prodigata sin da subito, mettendo le mani avanti, nel dipingere questo ‘’Brithis Lion’’ come un disco assai ‘lontano’ da sonorità  metal e pervaso da un vago senso di hard rock settantiano, guarda caso tirando in ballo i soliti nomi: dagli UFO ai Thin Lizzy, dagli Zeppelin ai Deep Purple e tanto Prog che di sti tempi fa tanto figo citare (vero Opeth?) ad ogni occasione, ma che alla fine sta solo a significare: “Ok ragazzi, guardate che il disco è moscio dato che le chitarre questa volta non le abbiamo distorte tanto”…?!?” .

Ad accompagnare il capo branco del rock inglese ci sono quattro emeriti sconosciuti, alcuni militanti in ancor piùsconosciute band di pop-rock (?) quali: The Outfield”… vi dicono qualcosa? A me no, ma era solo per la cronaca! Ed il cantante?!!! Lui si chiama Simon Dawson e crede o pensa di essere un cantante, ma tale non è, sia ben chiaro! Cosa vi aspettate da un singer  dotato dell’espressività  degna del miglior Pippo Franco (avete letto bene) e di un’estensività  vocale praticamente inesistente? Le canzoni sono deplorevoli già  di per sé, improntate (guarda caso) esclusivamente sul basso, e la produzione moscissima di Kevin Shirley (quest’uomo è un genio! Tutto ciò che tocca lo trasforma in merda, ma riesce a farlo luccicare d’oro e deve dirmi come c***o fa!) guarda caso aiuta tantissimo, e questo riesce a rendere il tutto di una qualità  disarmonicamente allucinate!

Brani come “This Is My God”, “Lost Worlds” e “Karma Killer” (la peggior nenia trita palle sentita negli ultimi anni) si susseguono, cercando disperatamente contatto con il mainstream radiofonico ma falliscono clamorosamente passando incuranti senza lasciare la benché minima  traccia della loro esistenza! Un po’ meglio la canticchiabile “Us Against The World” , ma è davvero poco cosa, mentre non è proprio da disprezzare la semi-acustica “The Chosen One” una ricerca di metodicità  totale con la sua coda che a tratti richiama l’immensa band di Phil Lynott, ma che avrebbe sfigurato su un album di Bryan Adams. Chiude un album senza mordente, privo di tiro e senz’anima la triste ballad “The Lesson”, ulteriore prova di ’aria fritta’ con il suo minimalismo acustico a tratti diretto da soffuse orchestrazioni pianistiche in sottofondo”…tristezza infinita.

Steve non è certo uno sprovveduto, anzi, queste canzoni le avrà  sentite e risentite alla nausea e si sarà  reso ben conto che non funzionavano per niente. L’arcano mistero rimane celato agli occhi di noi mortali! Non c’è risposta allo scempio contenuto in questo “Brithis Lion”, ma “Lui” è Steve Harris e può fare ciò che vuole, chiaro”… ma appunto perché “LUI” è diventato l’icona indomita riconosciuta a livello mondiale che nel corso degli anni noi tutti abbiamo (chi prima o chi dopo) ammirato, un po’ di buon gusto credevo gli fosse rimasto. Ci vuole davvero tanto, ma tanto coraggio nel tirare fuori un capolavoro simile senza aver paura di essere sputtanato dai quattro punti cardinali e ritorno! L’arte a volte è anche questa, e se il masochismo piùbecero è inteso come forma espressiva d’arte pura, allora devo dire che Steve Harris ha centrato in pieno il suo obiettivo. Tuttavia se faccio elaborare un attimo i neuroni del mio cervello, il puzzle comincia pian piano a prendere forma, e non stupisce piùdi tanto la tragica e scellerata selezione che gli fece preferire la totale afonia vocale di Blaze alla diamantina voce di Jon Deverill dei Tygers Of Pan Tang all’indomani delle registrazioni di “The X Factor”. In tutta verità  un nome l’avrei pure avuto per fare peggio di così”…tal Geoff Tate vi dice nulla? Quasi, quasi glielo propongo per il secondo capitolo, ovviamente sperando che disti da questa uscita almeno altri trenta o piùanni”…

Molti ascolti possono far crescere un album, dicono! Io non ci penso proprio!

www.steveharrisbritishlion.com

Setlist:
1. This Is My God
2. Lost Worlds
3. Karma Killer
4. Us Against the World
5. The Chosen Ones
6. A World Without Heaven
7. Judas
8. Eyes of the Young
9. These Are the Hands
10. The Lesson

Band:
Richard Taylor – voce
Steve Harris – basso
Simon Dawson – batteria
David Hawkins – chitarra, tastiere
Grahame Leslie – chitarra

 

 

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