Sono le 5 del pomeriggio di una caldissima domenica di agosto e nonostante il caldo, il pit dello Slaughter Club è già sufficientemente affollato per accogliere la ricca lineup di questa edizione di We Are Deathcore.

Gli udinesi Bowie ci propongono un’apertura degna di questo festival: sonorità graffianti con riff che si avvicinano al mathcore e una grandissima presenza scenica che rompe i confini del palco. Al termine dell’ultima canzone, cantante e bassista si lanciano nel pit per immergersi nel vivo dell’azione e concludere la loro performance vicino al timido pubblico, concentrato nella parte finale della sala. Questo spazio viene sfruttato dalle persone più pazzerelle che, al centro del pit, si divertono tra pogo e capriole in aria. Il festival promette bene dopo il passaggio dei Bowie che fondono abilmente hardcore e deathcore.

Il flusso di gente non accenna a fermarsi mentre arriva il turno degli Aasar, gruppo di Trento che ci porta in un’altra atmosfera con riff deathcore vecchia scuola. Si tratta di una band che ha un propria impronta stilistica, non solo per quanto riguarda il look accurato e studiato che contribuisce ad elevare la loro presenza scenica, ma anche musicalmente parlando. Le loro canzoni hanno uno stile studiato e personale, sicuramente molto riconoscibile. Nonostante la voce fosse poco udibile, il pubblico ha apprezzato l’esibizione dimostrandolo con un pogo energico.

Si continua sulla strada della “vecchia scuola” con i Gravery che in occasione di questo We Are Deathcore si sono esibiti nel release show del loro ultimo EP Everything That Is Born Must Die. Ogni canzone suonata ha un’anima propria, che si distingue dalle altre. I Gravery infatti uniscono varie sfumature che toccano beatdown, deathcore, deathmetal riuscendo a mantenere sempre una certa coerenza, un suono particolare che porta la loro impronta inconfondibile.

E’ il turno degli Scorn, giovane formazione già conosciuta da chi segue We Are Deathcore. E’ infatti la seconda volta che compaiono sul palco di WAD e anche stavolta non si smentiscono: i loro suoni tesi e potenti scaldano il pubblico che imperterrito si dimena sotto il palco.


Già dai primi minuti di esibizione dei Proliferhate è possibile capire il perché si definiscano “progressive deathcore”. Le canzoni sono elaborate e si dimostrano scritte con molta tecnica. All’interno della stessa traccia si riconoscono fasi diversificate e alternanze di momenti ben distinti che sono stati apprezzati anche dai molti fan della band che partecipavano con calore e cantavano i testi delle canzoni. Infatti, oltre alla forte componente musicale, i Proliferhate hanno dimostrato grande capacità di tenere il palco e coinvolgere il pubblico.


A questo punto della serata chiunque fosse presente si scatena ad ogni nota dei Distant che irrompono come un tuono. Il gruppo dei Paesi Bassi ci regala una carica pazzesca ed una presenza scenica clamorosa con le loro sonorità cupe e un cantato che ricorda molto il pig squeal di Will Ramos.

Un’infilata perfetta che ci accompagna dunque al gran finale con gli headliner The Black Dahlia Murder che tornano in Italia dopo cinque anni dall’ultimo concerto; l’attesa è stata ripagata da un’accoglienza scoppiettante, moltissim fan cantavano le loro canzoni preferite con trasporto. Il gruppo melodic death metal ha portato il suo tipico approccio armonico con una scaletta variegata che ha alternato grandi classici, canzoni datate e nuove uscite.



Testo e fotografie di Patrizia Bazzani

 

 

 

 

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