Spesso tacciati ”“ a dire il vero, non senza un barlume di ragione-  di essere una band ‘furba’, ‘trendista’, o anche ‘opportunista’, The Cult hanno per anni in realtà  garantito un solido e coriaceo hard rock occasionalmente ‘speziato’ a dovere da influenze gothic, new wave, a tratti impregnato da un certo affascinante misticismo.

Non li si vedeva in azione in Italia dall’estate del 2012, allorquando si resero protagonisti di ben tre date nel nostro Paese.

Li ritroviamo questa sera, nel consueto miasma di traffico e giungla di calura estiva e cemento, nella sempre efficacissima cornice dell’Alcatraz di Milano, divenuta ormai de facto (specie dopo la triste defezione del leggendario Rolling Stone, nonché di altri locali) la venue piùimportante a livello indoor nel capoluogo lombardo.

Efficacia che è peraltro incrementata in maniera esponenziale dalla troupe di tecnici (ben 15!) che la band porta con sé in tour, tra i quali figura uno dei migliori fonici di New York, nonché di tutta la East Coast statunitense.

Il concerto, cominciato con circa una ventina di minuti di ritardo, si apre con i Cult piùrock’n’roll e ruffiani, ovvero quelli del (a lungo discusso) classico “Electric”: è “Wild Flower” a fare ancheggiare, battere piedi, e ballare il sempre competente pubblico meneghino, e quando ”“a sorpresa- i nostri ‘sparano’ come secondo pezzo in setlist, quello che è in assoluto il brano piùconosciuto ed uno dei piùamati del loro repertorio, quella “Rain” che li portò rapidamente quanto meritatamente al successo internazionale, il concerto raggiunge già  un primo climax.

Il suono è incredibilmente pulito e potente, tanto da poter trarne tranquillamente un bootleg. Certo, non si può dare torto all’amica e collega Barbara Caserta che accusa il chitarrista Billy Duffy di far uso di volumi “che si sentono da via Valtellina fino a San Siro”, ma intanto l’esibizione fila (apparentemente, ma tanto da lasciar entusiasti tutti, o quasi, i presenti) liscia, e il tasso d’adrenalina cresce”…

Piùche apparire fuori forma a livello vocale o affaticato, il frontman Ian Astbury sembra piùintento a ‘gigioneggiare’ e a cantare ‘giusto per fare un favore’”… la voce c’è ancora (per fortuna!) e si sente, ma non ‘spinge’ piùdi quel tanto, con il carismatico cantante albionico intento a perdersi in ‘siparietti’ divertenti fino a lì, anziché scaldarla ulteriormente e regalare una performance di qualità  assoluta, tra un ‘ciauuu!’ quasi letteralmente ululato in un altamente improbabile mix tra un coyote e un abitante delle valli bresciane, e un ‘su le mani!’, si accontenta di ‘veleggiare’ da inizio setlist a metà  di essa, e di lì verso la conclusione del concerto. Senza particolare infamia, in verità , ma neanche senza particolare lode.

La totale esclusione di brani tratti dal sottovalutato “Ceremony” del 1991 non è certo un punto a favore della band, ma quantomeno i fans di vecchia data possono consolarsi con “Spiritwalker” (dal primo, storico album “Dreamtime” del 1984), “Nirvana”, e soprattutto, l’immancabile “She Sells Sanctuary”, con un sentito omaggio al recentemente scomparso Chris Cornell, ricordato tramite una ‘citazione’ nel contesto della succitata “She Sells”…” di “Black Hole Sun” dei suoi Soundgarden.

Ignorati anche l’ottimo “Beyond Good And Evil” del 2001 (una sorpresa di quell’anno), “Born Into This” (2007), The Cult ci regalano quantomeno la bella “Honey From A Knife”, traccia d’apertura dal penultimo “Choice Of Weapon”, e ben tre estratti dall’ultimo “Hidden City” dell’anno scorso, “G.O.A.T.”, “Deeply Ordered Chaos” e l’apripista dell’album, “Dark Energy”.

Nel bis conclusivo, ricompaiono i Cult più‘no frills’, ‘senza fronzoli’, di “Electric”, con due estratti dall’album tutte da ballare e cantare a squarcia gola, “King Contrary Man” e “Love Removal Machine”.

In definitiva, concessioni alle celebrazioni di anniversari (questo è il trentesimo della pubblicazione dell’album “Electric”, uscito nell’aprile 1987) a parte, un buon concerto, che certo lascia un po’ di amaro in bocca per una scaletta forse inferiore a quanto fosse lecito attendersi, ma che ribadisce lo status di The Cult come band sempre ‘furba’ e professionale quanto basta nonchè potente dal vivo, capace di far ballare, coinvolgere, ammaliare. A tratti anche entusiasmare.

Teniamoceli stretti perché, nonostante tutto, le nuove leve non hanno certo né questo ‘tiro’ né tantomeno autorità  e brillantezza sul palco. E quando sarà  calato l’ultimo sipario sui veterani della scena, sarà  dura”… molto dura!

 

Setlist:
Wild Flower – Rain – Dark Energy – Spiritwalker – Peace Dog – Honey From a Knife – Sweet Soul Sister – Nirvana – Deeply Ordered Chaos – The Phoenix – Lil’ Devil – GOAT – She Sells Sanctuary – Fire Woman – ENCORE: King Contrary Man – Love Removal Machine

 

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