BONO, frontman degli U2, ha recentemente condiviso riflessioni profonde sulla propria carriera, la sua band e la dimensione personale del suo percorso artistico in un’intervista dedicata al documentario “Bono: Stories of Surrender”, disponibile in streaming su Apple TV+. Il progetto nasce come evoluzione dello spettacolo teatrale “Stories of Surrender: An Evening of Words, Music and Some Mischief…”, ed è strettamente legato al memoir pubblicato nel 2022 con il titolo “Surrender. 40 Songs, One Story”.

Durante l’intervista, Bono ha toccato molti temi, a partire dalla genesi dello spettacolo: un palco essenziale con solo un tavolo e una sedia, simboli di luoghi familiari e spirituali — il cuore, la casa, la perdita. Racconta con ironia un aneddoto: tra il pubblico di Londra erano presenti Noel Gallagher e suo figlio, che lo ha visto salire su un tavolo scenico e ha esclamato “Bono ha perso la testa!”. Un momento surreale ma perfettamente coerente con l’approccio personale e teatrale della performance.
Riguardo al libro, Bono riflette sul valore dell’ascolto e dell’empatia:
“L’ascolto profondo è un atto di resa. Non si tratta di legittimare l’altro, ma di restituirgli umanità, e ritrovare la propria.”
Una consapevolezza maturata nel tempo, tanto nella vita privata quanto nell’attivismo, come nel caso della ONE Campaign, nata proprio da questa visione.
Il documentario aggiunge elementi inediti non presenti nello spettacolo né nel libro, come il passaggio in cui si interroga:
“Ero pronto a rinunciare al vuoto che mi ha dato tutto?”.
Una riflessione che mostra la volontà di liberarsi da pesi interiori per vivere in modo più autentico.
Bono ha anche raccontato come questo lungo percorso artistico – tra spettacolo, scrittura e introspezione – lo abbia condotto a una nuova libertà vocale:
“Ora sono pronto per il futuro, pronto per il suono del futuro. Non ha senso cantare di libertà se non ti senti libero.”
Spazio poi alla delicata questione della temporanea assenza del batterista Larry Mullen Jr. durante la residency degli U2 a Las Vegas, dovuta a motivi di salute. Il gruppo ha accolto il batterista Bram van den Berg, con il pieno sostegno e la generosità di Mullen, che ha assistito ai concerti come spettatore. Un gesto che conferma l’equilibrio orizzontale che Bono rivendica come essenziale nella dinamica del gruppo:
“Non voglio un capo. Non voglio essere un capo. Siamo tutti sullo stesso livello.”
Infine, il ricordo di Live Aid: l’esibizione improvvisata durante “Bad”, che all’epoca suscitò reazioni contrastanti all’interno della band, è stata invece accolta con entusiasmo dal pubblico mondiale. Un momento di spontaneità che ha inaspettatamente toccato anche Lou Reed, il quale, vedendo quella performance in TV, si sentì riconnesso a qualcosa che sembrava perduto.
“Lou era il mio eroe. Mi ha detto che quella cosa aveva significato qualcosa per lui.”
“Bono: Stories of Surrender” è quindi molto più di un documentario musicale: è un viaggio tra vulnerabilità e forza, un invito a considerare la resa non come sconfitta, ma come atto creativo e umano.
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