Frontiers Records – Giugno 2014
 Milano, 28 novembre 1998: una data indelebilmente scolpita nella mia memoria di giornalista e fan di (quasi) ogni genere di Musica, passata, presente, ed (eventualmente) futura. Un incontro indubbiamente piacevole svoltosi quella sera, fu quello con uno dei personaggi piùcarismatici, schietti, e genuini del mondo musicale che abbia mai avuto la fortuna d’ incontrare, l’allora 51enne batterista degli Uriah Heep, Lee Kerslake. Ricordo con particolare ammirazione ed emozione la sua volontà di introdurmi, imberbe ventenne, agli aspetti francamente piùodiosi, tediosi, e “protocollari” del music business (“perché un giorno, forse, dovrai ringraziare quel vecchio che suonava la batteria negli Uriah Heep per averti detto come all’incirca muoverti in quest’ambiente!”), l’affabilità e la simpatia a stento celate dietro a un cipiglio da “burbero benefico” (“ed ora ascolta ciò che ho da dirti, mio giovane amico”), e ancora la sua a tratti feroce, ma non ingiustificata, vis polemica (“I promoters saltano dalla sedia direttamente sul tavolo quando sentono il nome di Deep Purple, Black Sabbath, o di quell’altro colossale traditore del mio ex-datore di lavoro, il Sig. Ozzy Osbourne, ma se si tratta degli Uriah Heep, stai pur tranquillo che è dura vederli alzare anche un solo dito! Vendiamo e suoniamo di piùnegli Stati Uniti dove hanno piùspazio e seguito alternative rock e la musica di MTV che tutto il resto! Pazzesco!”).
Sono passati 16 lunghi anni da quel nostro incontro, Lee e io ”“ahimè- non ci siamo mai rincontrati, e di acqua sotto i ponti ne è passata davvero tanta. Gli Uriah Heep hanno impiegato 10 anni ad incidere un nuovo disco in studio, l’ottimo “Wake The Sleeper” del 2008, Lee Kerslake ha lasciato la band per motivi di salute nel 2007, e l’apprezzatissimo bassista ed autore Trevor Bolder (praticamente un pilastro della band, essendovi rimasto per oltre trent’anni) è tragicamente scomparso l’anno scorso a causa di un male incurabile. E nonostante il tempo passato, gli incontri sfumati – non certo i bei ricordi legati a quella sera milanese di un freddissimo autunno 1998 – e le dipartite improvvise, tornare a parlare di Uriah Heep, è un po’ come tornare a parlare di un vecchio amico che non vedi da tempo, ma che in realtà non ti ha mai lasciato solo nei momenti piùdifficili, sempre lì, pronto a tenderti la mano, a darti un consiglio, a manifestarti il proprio affetto in modo semplice e discreto quanto diretto ed onesto, proprio come dovrebbe sempre accadere tra i veri amici.
L’interrogativo principe su questo nuovo “Outsider”, appena ricevutone il promozionale, è stato incentrato da subito sul compianto Trevor Bolder, ovvero COME supplire all’assenza di un eccellente compositore e bassista dalle straordinarie, fluidissime linee melodiche da vero “bassista solista” , piùche da semplice comprimario? Ebbene, non mi è dato di sapere quanto il suo sostituto, Dave Rimmer, un passato con Zodiac Mindwarp e i Metalworks di Richie Faulkner (ora nei Judas Priest), abbia composto in questo nuovo album, ma di sicuro se l’è cavata discretamente bene, per quel concerne le doti strumentali.
Meno appariscente di quello del suo illustrissimo predecessore, ma senz’altro competente, il lavoro di Rimmer è un po’ la sintesi del valore intrinseco di “Outsider”. Un disco piuttosto ispirato per una band che molti davano pronta a capitolare, con i nervi, fisico, e spirito a pezzi dopo la morte dell’amico Bolder, e che invece ce li restituisce in buona, a tratti ottima, forma, con canzoni estremamente godibili seppur a volte prive di un guizzo, o di una scintilla in più.
“Solid”, ‘valido’, è il primo aggettivo che mi viene in mente, pensando alla lingua inglese. La mediazione tra un sound piùmoderno e quello piùantico, di matrice prettamente settantiana, si dimostra vincente in ottimi brani quali l’iniziale “Speed Of Sound” (splendido l’organo Hammond di Phil Lanzon), non un assalto all’ arma bianca”come indurrebbe a pensare il titolo, quanto piuttosto un pezzo di gran cesello melodico, o nella successiva “One Minute” epica e trascinante, od ancora in “The Law” (si affacciano prepotentemente gli splendidi cori, vero marchio di fabbrica della band inglese), un brano che spiega a chiare lettere, se mai ce ne fosse bisogno, perché l’heavy metal moderno deve così tanto agli Uriah Heep, nobili progenitori. “Rock The Fondation” è un “inno” da cantare in concerto, discreto ma che dà un po’ l’idea del ‘già sentito’ (specie del ritornello), mentre la title-track è un notevole (e ritmicamente vigoroso) affresco sonoro che potrebbe benissimo rappresentare a livello uditivo l’ evocativa copertina dell’album, con ampie aperture melodiche intervallate da altre, piùcupe, trame sonore.
“Is Anybody There Gonna Help Me?” è forse il brano più‘modernista’ e meno riuscito del lotto, prontamente riscattato da una semplice ed energica “Looking At You”, la cui vera sorpresa sono le aperture sinfoniche caratterizzate ancora una volta dai pomposi cori: è indubbia la ricerca sonora volta al recupero delle sonorità dell’era David Byron, indimenticato ed indimenticabile primo frontman della band britannica. Gli Uriah Heep ribadiscono la loro vena compositiva nelle successive “Can’t Take That Away” e “Jessie”, quest’ultima forte di una prova maiuscola di un superlativo Mick Box, chitarrista ingiustamente sottovalutato in fase solistica, ma a stupire l’ascoltatore probabilmente già appagato da un album complessivamente piùche soddisfacente, è la magnifica “Kiss The Rainbow”, in cui gli Uriah Heep consegnano agli annali del Rock cinque minuti di pura estasi pomp-rock come forse non si sentiva dai tardi anni ‘70. Mi domando se questa traccia fosse durata quattro o cinque minuti in piùe caratterizzata da più“movimenti”, sarebbe forse stato lecito parlare di una mini-suite a titolo “Magician’s Birthday Part II”? A mettere il degno suggello su un album vitale e generoso, specie considerata la recente tragedia che li ha colpiti, giunge “Say Goddbye” epitaffio non certo malinconico come suggerito dal titolo, quanto piuttosto un potente brano che riafferma un’inesaurita (e probabilmente, inesauribile?) ispirazione, che fa pensare a come l’ addio di queste autentiche leggende del Rock inglese, nonostante i dati all’anagrafe, sia ancora di là da venire”…
VOTO: 7,5
Tracklist:
1. Speed Of Sound
2. One Minute
3. The Law
4. The Outsider
5. Rock The Foundation
6. Is Anybody Gonna Help Me?
7. Looking At You
8. Can’t Take That Away
9. Jesse
10. Kiss The Rainbow
11. Say Goodbye
12. L.A. No Name
Band:
Bernie Shaw – voce
Mick Box – chitarra, voce
Phil Lanzon – tastiere, voce
Russell Gilbrook – batteria, voce
Dave Rimmer – basso, voce
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