comunicato stampa

Fin dall’infanzia a Monte di Procida, prima di trasferirsi dapprima a Napoli e poi a Milano, Pino Scotto è sempre stato un ribelle, uno che sapeva il fatto suo e che presto il rock ‘n’ roll avrebbe chiamato a sé, indicandogli la strada da seguire. Una vita spesa a sudare, fra musica, eccessi, vita notturna, tanti concerti e un’integrità morale che è raro trovare nel colorato mondo dell’hard rock.

In “Cuore di rock ‘n’ roll”, in uscita il 26 marzo per Il Castello, collana Chinaski, un volume “uncensored” a tutti gli effetti, Scotto si racconta a tutto tondo: il lavoro in fabbrica, l’amore per la musica, l’esperienza con i Vanadium, il rapporto con il figlio Brian, i progetti benefici, le fortunate trasmissioni televisive, i concerti, fino alle sue urticanti opinioni sulla politica e l’industria discografica. E lo fa, come di consueto, senza peli sulla lingua ma con una personale leggerezza poetica.

“Cuore di Rock ‘n’ Roll” è l’autobiografia e il manifesto definitivo di uno dei pochi autentici rocker partoriti dal nostro paese. Un viaggio che ripercorre tutti i passaggi di una vita sempre sulla cresta dell’onda, dalle primissime esperienze con gli Ebrei, gruppo fondato a Napoli, da giovanissimo, al “blues militare” degli anni della leva, che Pino cerca prima di evitare in tutti i modi (dimagrendo fino all’osso nelle settimane precedenti la visita di leva, scappando di casa e persino cercando di farsi venire un’ulcera!) e poi di rendere più leggeri, entrando a far parte della band della caserma come batterista grazie a Giorgio Brandi, mitico tastierista dei cugini di campagna. 

A fine anni ’70 fonda i Pulsar e poco dopo a Milano entra a far parte, come cantante, dei Vanadium. Veleggia per un decennio col vento in poppa e incide otto dischi col gruppo, che si propone come una delle formazioni che per prime portano avanti in Italia la scena dell’heavy metal. Intanto Pino non lascia il suo lavoro in fabbrica (andrà avanti fino alla pensione!), come magazziniere per aziende farmaceutiche milanesi e per alcuni anni sostiene una vita che procede a ritmi quasi insostenibili, lavorando di giorno e facendo tutti i giorni lo “switch alla modalità notturna, che prevede musica suonata, vista, ascoltata e una buona dose di poesia alcolica e non solo”. Fumo e polveri bianche gli fanno compagnia per decenni, ma sempre con allegria a gioia di vivere (come dice lo stesso Pino: è sopravvissuto grazie al fatto che non aveva fantasmi interiori da affogare nelle droghe).

A fine anni ’80 fallisce la Durium, l’etichetta che aveva prodotto i Vanadium, ma Pino Scotto continua la sua carriera da solista e riesce sempre a reinventarsi, dando vita, ad esempio, nel ’94, al progetto Sinergia, secondo album da solista basato sulla collaborazione con alcuni dei personaggi rock più significativi dell’epoca, da Lio Mascheroni, ex Vanadium, ad Antonio Liazzi, che collaborava coi Litfiba, passando per Fabrizio Palermo (nel giro di Ligabue) e Gigi Schiavone.

All’inizio degli anni duemila dà vita ai Fire Trails, nome che aveva già dato il titolo a un pezzo dei Vanadium dedicato a Bon Scott. Tra nuovi progetti (nel 2004 si inventa un progetto estemporaneo con una band rock demenziale di Bologna, Gli Atroci) e collaborazioni giornalistiche durature, continua per la sua strada, senza piegarsi mai alle logiche di mercato e portando avanti la sua idea di musica, concetto che coinciderà sempre con divertimento (“ho sempre affrontato tutto come da operario che aveva questa grande passione per la musica, non come un assatanato che deve vivere facendo il musicista e basta”). Tra aneddoti mai raccontati, cronache di epoche in cui l’hard rock e l’heavy metal raggiunsero grandi picchi artistici e critiche neanche troppo velate allo star system attuale, si arriva fino ai giorni nostri, sempre seguendo la traccia di un artista vero, coerente e sincero nel raccontare la sua vita e il suo tempo.

 

GLI AUTORI

 Pino Scotto rappresenta, senza ombra di dubbio, l’icona più importante del rock nazionale. Carismatico e grintoso singer dalle marcate influenze blues, dotato di una voce profonda e graffiante, rappresenta una delle migliori incarnazioni della figura del rocker apparse in Italia. Storico frontman dei Vanadium e poi dei Fire Trails, dal 1992 porta avanti una carriera solista ancora oggi attivissima. Ha condotto e frequenta ancora adesso una serie di programmi televisivi e radiofonici, tra i quali ROCK TV, dove tiene banco con la sua trasmissione in cui spesso si esprime sui temi più vari senza peli sulla lingua.

 Massimo Villa nasce a Genova con la passione per il “nerd” in corpo come fosse una seconda pelle. Si occupa di eventi per una grande catena libraria italiana e riempie i fogli digitali del computer con parole che sfociano in saggi e articoli sui videogiochi, racconti gialli e fantastici, romanzi di fantascienza e biografie musicali. Ha scritto libri su Necrodeath, Sadist, Extrema e Node, specializzandosi come autore di riferimento nel raccontare la scena hard rock ed heavy metal italiana.

CUORE DI ROCK ‘N’ ROLL
Una vita meravigliosamente stonata

Di Pino Scotto, con Massimo Villa
Editore: Il Castello
Collana: Chinaski edizioni

Pagine: 180
Formato: 15 x 21 cm – bross. con alette
Prezzo: € 18,00
Codice ISBN: 9788827605110

Disponibile dal 26 marzo 2025

 

 

Alcuni estratti dal libro:

Infanzia e adolescenza di un ultimo guerriero
Don’t waste your time, don’t waste your life
You only have just here and now
So let them hear
You have no fear
True fighters don’t bow down
Dont’ Waste Your Time
Anni fa, ai Giardini Luzzati di Genova, organizzai una presentazione
di un libro sull’hard rock. Era giugno, una bella giornata di sole tra
amici. Luca Masperone, Peso, Pier Gonella e tanti altri. Tra questi
“altri”, c’era anche un ultrasettantenne dai capelli lunghi fino al
culo, jeans e stivalacci, che aveva scritto la prefazione del volume e
che si esibì in una serie di blues acustici mozzafiato senza mostrare
che il tempo avesse scalfito le sue corde vocali, oltretutto passate al
setaccio dal Jack Daniels e sostanze varie migliaia di volte. Erano i
giorni del primo post covid e si stava uscendo da poco dall’incubo
che ancora agitava i sogni di molti artisti. Un momento complicato
che li vedeva, da una parte arrivare a stento a fine mese e, dall’altra,
impazzire rinchiusi in casa propria senza poter sfogare energia e
creatività sul palco. Il bluesman si era poi prestato gentilmente a
fare qualche foto con me, avevamo scambiato quattro chiacchiere
su quanto il mondo del rock e del metal fosse cambiato durante gli
ultimi lustri. Cose risapute, ma dette senza la puzza di stereotipi, in
modo sincero e convinto. Lui che di show ne ha fatti davvero tanti,
centinaia di concerti tra festival, motoraduni, piccoli e grossi club,
e in qualsiasi posto dove possa suonare la sua musica e urlare il suo
grande amore per il rock ‘n’ roll e la sua rabbia contro questa società
“marcia e malata”, come ama ripetere. 

Rock ‘n’ roll e vita da solista
La mattina ha un livido
Mal di testa e vomito
Ma resti qua in Maldido Street
Maldido Street
Intanto, tra i Pulsar e il successo dei Vanadium, iniziano gli eccessi.
Pino non dorme, dopo il lavoro passa velocemente a casa, va
alle prove, finisce a mezzanotte e poi fa lo switch alla modalità
“notturna” che prevede musica suonata, vista, ascoltata, e una
buona dose di poesia alcolica e non solo. Fumo e polveri bianche
gli faranno compagnia per i decenni a venire, sempre con allegria
e gioia di vivere, perché, come dice Pino, è sopravvissuto grazie al
fatto che non aveva fantasmi interiori da affogare nelle droghe. Solo
tanto divertimento. Ma ci torneremo.
«Non dormivo. Facevo mesi senza prendere sonno. Le prove le
finivamo a mezzanotte e da quel momento iniziava la vita, andavo
in giro fino all’alba. Continuavo tutta la notte e poi tornavo a casa
alle sei del mattino e non dormivo naturalmente perché, dopo quello
che avevo fatto, cazzo dormi? Alle otto andavo in fabbrica. Al
pomeriggio andavo in down, quello vero, dopo che avevo mangiato
in mensa. Al mattino, quando timbravo il badge entrando al lavoro,
mi ripetevo nella testa sempre la stessa frase, e cioè “inizia un’altra
giornata di merda!”. Andavo nello spogliatoio, prendevo un
analgesico, due caffè e cercavo di farmi passare il fottuto mal di
testa, visto che avevo bevuto tutta la notte. Non so come abbia fatto
ad andare avanti così per più di trent’anni. Il massimo che facevo,
e non sempre, poteva essere che quando uscivo alle cinque del
pomeriggio da lavorare, mi facessi un’ora di sonno a casa, perché
crollavo, poi mangiavo e uscivo, e si ricominciava. Le cose sono
migliorate dopo vent’anni, quando sono riuscito a cambiare turno e
potevo lavorare dalle due alle nove di sera, un’altra vita. Alla mattina
potevo riposare, e poi quando uscivo, passavo da casa, mangiavo un
boccone, e poi si ricominciava».
E in famiglia? Pino omette qualche dettaglio, se vogliamo dire così.
Ma le litigate non mancano. Niente di irreparabile, a sentir lui, alla
fine la moglie vedeva il risultato finale, i dischi, non si inventava le
cose… o almeno non tutto.
«Diciamo che la vita in famiglia procedeva fra alti e bassi, come
in un buon missaggio di un disco rock ‘n’ roll. Nel weekend ero
spesso con loro, mancavano gli spazi e perciò non si suonava
tanto. Facevo più serate con i Pulsar, con i Vanadium eravamo
catalogati come “fascisti”, le occasioni non erano tantissime. La
domenica riuscivo a stare a casa con moglie e figlio, Brian, che era
nato l’anno dopo del matrimonio. Lui è il primo fan dei Vanadium,
un metallaro. Ma ha gusto e intelligenza musicale, ascolta tutta la
musica valida».
I rapporti fra i vari membri della band, negli anni, vengono indicati
sempre come cordiali, ma sta di fatto che, per stessa ammissione di
Scotto, negli ultimi tempi, in tour, gira con i roadie sul loro mezzo.
«Capitava che ci fermavamo negli Autogrill, e andavamo a rubare
le bottiglie di Jack Daniels e una volta addirittura ci siamo portati
via un prosciutto».
Per la copertina di Game Over del 1984, Pino aveva conosciuto a
un concerto dei Metallica, a Milano, una ragazza di Genova (per
questo ve lo racconto!), Grazia Zuliani, che ora vive in Inghilterra,
sposata con un batterista anglosassone. Lei accetta di fare un
servizio fotografico e finisce sulla cover del disco. Allo showcase
di presentazione, al Rolling Stone, durante l’intro musicale prima
della comparsa della band, Grazia si aggira, come da copione,
sventolando una chiave inglese sul palco, facendo un po’ di scena, di
sicuro gradita ai fan. Poi si accendono le luci. Peccato che il fonico
di Steve Tessarin avesse sbagliato a collegare i cavi della chitarra e
il musicista fa scena muta, un disastro. Panico totale, ma per fortuna
il palazzetto era complecompletamente imballato e il pubblico tutto per i
Vanadium, li adorava:

«Abbiamo ripreso tutto da capo. Abbiamo rifatto l’intro, la
passeggiata della ragazza, e la nostra entrata, di nuovo. Alla fine del
concerto Steve poi fece il culo al fonico!»
Dicevamo delle scorribande in tour, e a questo proposito è il caso
di ricordare un aneddoto su un concerto sempre al Rolling Stone di
Milano:
Copertina Metal Rock
«Come un coglione non facevo mai le prove, non avevo mai la
sensazione precisa di come fosse il palco prima di salirci. Quella
volta, durante l’esecuzione di “Don’t Be Looking Back”, mi
sono arrampicato su una delle due torrette laterali dove ci sono le
casse audio e, inquadrato dall’occhio di bue, ho iniziato a cantare.
Muovendomi un attimo, ho sentito le casse sotto i piedi che
traballavano. Non sapevo cosa fare. Stavo cercando di buttarmi giù,
il Rolling Stone davanti aveva una specie di scalinata, erano circa
sette, otto gradini piccoli per salire sul palco. Un secondo prima che
mi lanciassi, ho visto con la coda dell’occhio su quegli scalini, uno
dei nostri roadie che le stava salendo, forse per venirmi ad aiutare
perché mi aveva visto in difficoltà. Di riflesso mi sono spostato un
po’ di lato e mi sono lanciato, però sono atterrato male per evitarlo
e mi sono storto la caviglia. A caldo ho continuato il concerto, ma
alla fine mi hanno dovuto portare al pronto soccorso perché mi si era
gonfiata come un melone!»
A parte l’ultimo periodo, la band gira compatta con un Bedford.
«Lo usavamo anche per andare in vacanza. C’era un impianto stereo
con sei coni, così quando andavo a Rimini, mettevo i Van Halen a
manetta e passavo davanti a una discoteca all’epoca famosa, dove
facevano reggae: sparavo metal a tutto volume per dar loro fastidio!»
Dopo anni di strade, e rock ‘n’ roll, però, si rompe il giocattolo
Durium. Dopo le registrazioni di Corruption of Innocence, per le
quali si era scomodato addirittura Jim Faraci dagli Stati Uniti, la
casa discografica fallisce:
«Due o tre volte a settimana uscivo da lavoro, andavo in via Manzoni
a rompere i coglioni e farli svegliare, perché loro non si facevano
mai sentire. Sai quante multe ho preso in quella strada per lasciare
la macchina? Non mi ricordo come si chiamasse la tipa dell’ufficio
stampa, ma un mese dopo la pubblicazione dell’album mi disse
“qua sta successo un disastro. La Durium è fallita”. Abbiamo fatto
un po’ di date a supporto dell’uscita, ma con la morte nel cuore,
perché non avevamo più un’etichetta. Siamo andati avanti così, ad
aspettare chissà cosa, per un paio di anni, finché non firmammo con
la Green Line».
I Vanadium, nel corso del tempo, girano diversi videoclip. “On
Fire” riporta delle sequenze registrate in uno show televisivo per
una piccola emittente genovese. Per “War Trains”, invece, usano le
immagini di un loro passaggio a Canale 5, dove sfruttano anche una
scenografia a base di filo spinato, visto l’argomento della canzone.

redazione
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