Una lunga coda, quella che si scorge arrivando ai Magazzini Generali di Milano, in una serata che di autunnale ha ben poco. Gente composta ma entusiasta ipotizza quali saranno i pezzi che porterà la band in questa data meneghina, lasciando spazio a qualche commento curioso sul gruppo che aprirà la serata.
WESTSIDE COWBOY
Alle ore 20:00, con un locale che culmina di persone, a calcare il palco e ad accendere la serata sono i Westside Cowboy, band britannica formatasi a Manchester nel 2024.
Il gruppo, ancora di nicchia nel nostro paese, è formato da quattro componenti: Aoife Anson O’Connell (voce/basso), James “Jimmy” Bradbury (chitarra/voce), Paddy Murphy (batteria) e Reuben Haycocks (chitarra/voce).
Il loro stile musicale viene definito ironicamente, dalla stessa band, con il termine “Britainicana”, ossia una fusione di sensibilità britanniche e sonorità americane (country, tradizionale, rock’n’roll), guidata però da un piglio lo-fi, graffiante e con un gusto punk/slacker. Le loro influenze sono da ricercarsi nel country tradizionale americano, filtrato attraverso l’ottica urbana e “non patinata” di Manchester.
I Westside Cowboy aprono i primi minuti di show in punta di piedi, quasi timidamente, per poi prendere sempre più confidenza, arrivando a scaldare e divertire il pubblico con la loro energia genuina. Suonano circa 30 minuti, portandosi a casa una performance di tutto rispetto. Vincono per l’approccio volutamente grezzo e i pezzi grintosi, mai simili e suonati con maestria.
La ricetta di questa band: semplicità, franchezza e un pizzico di caos controllato.
BLACK COUNTRY, NEW ROAD
Alle 21:00 si spengono le luci per i veri protagonisti della serata. I Black Country, New Road calcano il palcoscenico, accolti da un calore composto ma significativo.
La band, formatasi a Cambridge nel 2018, nonostante i musicisti di altissimo livello, fa trasparire fin da subito un senso di incompletezza. La mancanza di Isaac Wood si fa sentire prepotentemente: i Black Country, New Road non sono più quelli dei primi album, le vesti sono molto differenti e l’impatto emotivo è del tutto ridimensionato, non suscitando più brividi lungo la schiena e lacrime di tristezza. Il frontman è sparito come un’ombra all’alba, lasciando concertisti e spettatori con la sensazione di partecipare a qualcosa che è finito e ricominciato allo stesso tempo. Poco importa, però, poiché sembra che il successo dei ragazzi di Cambridge non si sia fermato di un millimetro: data stra-sold out da tempo e venue stracolma.
Come ci si aspettava, nessuna traccia del capolavoro Ants From Up There, secondo album in studio della band: un gesto che potrebbe scontentare i nostalgici, ma che la band compie con risolutezza. Al suo posto, l’intero set ruota attorno al nuovo album Forever Howlong (2025) — barocco, orchestrale, forse troppo distante dalla vena malinconica del vecchio frontman.
Sul palco una formazione cambiata, già assaporata al Magnolia qualche anno fa: cantanti multipli, archi e legni che si intrecciano come un’orchestra da camera per una band indie-rock. La sala è illuminata con luci basse, momenti sospesi, fisarmoniche che esplodono e pause che sembrano sospiri, mantenuti da un pubblico immerso in un momento di sacralità collettiva.
Canzoni come For the Cold Country e Besties brillano per arrangiamento e ambizione, ma si sente il peso della transizione, come se ci fosse già più mestiere che “cuore”. Interessante la scelta della cover di The Ballad of El Goodo dei Big Star, insieme a qualche tratteggio dal live alla Bush Hall, che interrompono il flusso tratto dal disco nuovo.
Il pubblico appare consapevole: non è più la giovane band che ti faceva esaltare con il post-punk nervoso e sghembo, ma un ensemble che ti spiazza, ti incanta, ti lascia perplesso. In senso buono e in senso meno buono.
Alla fine, uscire dai Magazzini Generali è come svegliarsi da un sogno in cui hai visto una band che ha perso il proprio pilota ma che, nonostante le difficoltà, è riuscita comunque a spiccare il volo, mostrando un cielo che, al di là della coltre di nuvole, non è niente male.
Setlist
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- The Big Spin
- Salem Sisters
- Two Horses
- Mary
- Nancy Tries to Take the Night
- Besties
- The Ballad of El Goodo (Big Star cover)
- Socks
- Dancers
- Turbines/Pigs
- Goodbye (Don’t Tell Me)
- Forever Howlong
- For the Cold Country
- Happy Birthday
Report a cura di Silvia Rodano
Foto di Moira Carola

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