Era da molto tempo che volevo vedere dal vivo l’icona chitarristica del virtuosismo estremo che usa nascondersi dietro una maschera bianca, un secchiello di pollo fritto in testa e che risponde al nome d’arte di BUCKETHEAD, quindi, la ghiotta occasione del tour 2024 e di una data piazzata a pochi km da casa hanno lasciato ben poco spazio ai dubbi.
Brian Patrick Carrol nasce poco distante a Pomona nel 1969 e si distingue per una particolare attitudine con la 6 corde; dopo essere stato allievo di Paul Gilbert, con il quale condivide il gigantismo e dimensioni ciclopiche delle mani, ne assimila lo stile e sciorina ben 31 dischi di pura follia sperimentale, acid-jazz, avant-garde, blue grass, metal, progressive e disforia lisergica che a volte ammaliano, ma altre stordiscono con la loro feroce schizofrenia fuori da ogni schema euclidiano.
Non a caso uno dei tanti duetti di successo è con Les Claypool, fondatore dei Primus e solo degno compare al basso per siffatto musicista, personaggio che del di rompere gli schemi ne ha fatto un lavoro piuttosto redditizio (per un esempio ci aiuta youtube:
Dal 2000 al 2004 entra anche a far parte dei Guns’n’Roses dopo la dipartita del legittimo proprietario Slash e partecipa a immensi tour per il pianeta.
Si narra che Ozzy Osbourne lo volesse con sè a patto che, parole sue: ”Si tolga quel cazzo di ridicolo secchiello dalla testa”, inutile dire che la collaborazione non è mai partita.
Il nostro eroe ha anche prodotto un cofanetto di DVD che dovrebbero documentare il suo percorso artistico, ma che in realtà sono un lungometraggio sull’allevamento di polli, non fate come me e spendete invece i vostri soldi per il biglietto del concerto nel caso passi dalle vostre parti.
Che sia solo per creare il personaggio o per reale timidezza, non esiste associazione confutata tra il suo vero volto a quello artistico, quanto accessibile in rete è comunque speculazione.
Avviamoci quindi verso il sito, un bel locale per concerti nel cuore di Orange County da 1200 persone e dall’ottima visibilità, stesso club in cui pochi mesi prima vide esprimersi un ‘altra Lamborghini della chitarra: John 5.
Le analogie non si fermano qui perché, come la volta scorsa, manca un musicista: il bassista.
Pare sia una scelta voluta e nata poco fa; da un lato fornire una base di basso a una simile tregenda sonora non è compito facile (vedi sopra Les Claypool), dall’altra l’aiuto di complesse basi preregistrate con ogni sorta di suoni meccanici permette ugualmente di portare la pelle a casa.
Identificare le canzoni, a parte le più famose, è compito assai arduo vista la pantagruelica produzione di Testa di Secchio, dall’altra per questa volta è assolutamente irrilevante, riconosco Maskatron Roper Day of the Robot e Night of the Slunk, ma quello che conta è l’esperienza sonora: un violento muro di batteria e chitarra sulla quale il gigantesco chitarrista ricama struggenti note degne di un bluesman d’annata seguite da scale al fulmicotone che impalerebbero al muro il più aggressivo degli Angelo Batio, senza però risultare noioso.
Condite il tutto con esibizioni col nunchaku, arma tradizionale giapponese, e movenze da break dance professionista mentre continua a suonare con una mano sola; potete intuire il delirio che sta avviluppando Santa Ana, fino ad oggi una tranquilla città dal clima mite.
Di teatro e intrattenimento si tratta, quindi ben vengano strabilianti effetti sonori, opalescenze oniriche, movenze da robot rotto in overdose da funghi messicani e un nano (o un bambino) vestito da orsetto di Star Trek che ogni tanto appare e duetta con la chitarra (si, avete letto bene).
Non c’è solo spazio per le semibiscrome, Buckethead suona intere canzoni dal tono bruno, complesso, a volte dissonante che molto mi ricordano i Black Sabbath. Manco finito di pensarlo che parta la prima cover: War Pigs. Con somma sorpresa del pubblico e particolarmente mia, il batterista di lungo corso Dan Monti (soprannominato Brewer) ha l’onere di cantarla e lo fa con do di petto che avrebbero strappato più di un sorriso al Sommo Pontefice Tony Iommi.
Il momento che attendevo con trepidazione, ossia Jordan, mi arriva tra capo e collo con violenza smodata: tecnicamente irripetibile, dal riff accattivante, ultramoderno e famoso per essere adottata dal Sony per la il gioco “Guitar Player” per Playstation.
La parola “Black Sabbath” tornerà un po’ di volte in questa recensione perchè è il turno della seconda cover: “Fairies wear boots”, cantata ancora una volta da The Brewer ed eseguita con grande rispetto dell’originale.
Descrivere lo spettacolo di Buckethead ricorda un po’ l’impossibilità di descrivere un profumo in tv per i pubblicitari, come fare? Vediamo se ne vengo fuori: mescolate il teatro di King Diamond, metteteci Frank Zappa nudo, un po’ di Steve Vai in acido da tre giorni, la precisione e velocità di Paul Gilbert, un robot rotto che fa il filo a un tostapane, due funghi senz’olio, l’anima nera del metallaro e il bluesman innamorato della donna perduta.
Non ce l’ho fatta? Beh, è la cosa più simile che son riuscito ad assemblare, abbiate pazienza.
Pausa a metà esibizione lunga almeno da avere il tempo di farsi un tatuaggio all’intera schiena e si riparte con una chitarra classica che pare minuscola in braccio a quel Gulliver della costa ovest : tappeto sonoro più dolce, ma soventemente molestato da violente bracciate e contaminazioni sonore che pian piano si trasformano nella cover dei Backstreet Boys “I want it That Way”; anche se pare offensivo così non è stato, son riusciti a farmi piacere una sóla per minorenni degli anni 90 diventata un bellissimo siparietto; non dimenticatevi l’incantevole voce del molosso alla batteria.
Ma torniamo sui Black Sabbath, più che Testa di Secchio tutti in piedi sul bancone del bar per Dan Monti che deve interpretare stavolta “Heaven and Hell”: stre-pi-toso.
Buckethead ci ricorda che è anche un signor bassista, quindi ridiamo la chitarra al nano/a o bambino/a e mettiamoci a solfeggiare sulla 4 corde come nulla fosse picchiando come un forsennato quello strumento ha come vantaggio di essere un po’ più robusto di quella Gibson che porta la sua firma.
Scambio di giocattoli! Ebbene si, passeggiata tra il pubblico con correlata distribuzione gratuita di doni, pupazzi, un intero e voluminoso sacco; alcuni ne accetta in ritorno e li porta con sé nel backstage.
La celeberrima Soothsayer mette fine a quasi due ore di delirio cosmico in cui il grande musicista, il produttore sonoro, l’attore e amante dei polli del Kentucky appaga vista e orecchie intrattenendo piacevolmente anche non abbia mai visto una chitarra prima.
Diffidate di chi lo vorrebbe definire come l’ennesimo frullatore di sessantaquattresimi e biscrome fumanti, è molto di più e ha un cuore immenso, sarebbe ingiusto anche definire i suoi colleghi in tal guisa e infatti non lo farò.
Anche se John 5 in confronto pare una macchinetta del caffè.
(Perdonatemi, non ho resistito)
Buio.
Comments are closed.