Dopo un’attesa lunga 8 anni grazie a Hellfire Booking e al Legend Club di Milano, gli Intervals tornano a calcare il suolo nostrano esibendosi live nella città di Milano.

La resa del progetto di Aaron Marshall e dei tedeschi di supporto The Intersphere è qualcosa che è  andata ben oltre le aspettative, che di certo non erano basse.

 

Bleed Someone Dry

Aprono le danze i Bleed Someone Dry, con un’entrata in scena degna di nota: indossano delle tuniche scure, sono incappucciati e mascherati, restano immobili nel fumo di scena, con una luce in capo che si accende in sequenza ad un membro dopo l’altro. Sul palco sono in tanti: voce, due chitarre, basso, tastiera e batteria.

Il loro è un djent con sfaccettature deathcore, spesso spinto, con chitarroni, ritmiche serrate e growl energico. La resa sonora é buona, l’impianto e la venue accolgono a braccia aperte i toni cupi delle chitarre, la corposità del basso, le frequenze graffianti della voce, i giochi di ritmiche e accenti della batteria e anche la componente elettronica di supporto.

Una bella scarica di cattiveria ed energia per tenere tutti sull’attenti e prepararsi all’arrivo delle altre band. Il pubblico partecipe e coinvolto comincia a riempire la sala, lasciandosi cullare dai breakdown con note dissonanti a calcare la mano.

Degna di nota la martellata di Unorthodox, che introduce anche delle parti vocali melodiche cantate in pulito e anche molto bene. Insomma, sonorità cupe, tetre, e riff spacca pietra. Ci siamo.

 

Ultima

Partono gli Ultima con un sound comunque djent ma decisamente diverso. I suoni delle chitarre escono un po’ old school e non sono perfettamente in sync, la cassa della batteria ha troppa punta. Qualcosa non quadra… Il cantato é buono sul growl ma sul pulito c’è molto da lavorare, e in toto anche l’equalizzazione dei suoni, personalmente, la rivedrei.

Osservati uno per uno i ragazzi sanno il fatto loro, ma da questo palco non esce una buona amalgama. Eppure, ascoltando i loro lavori “da disco” mi arrivava tutt’altro. Una nota di colore, portano un’insospettabile cover del celebre brano dei Tokio Hotel, Monsoon.

Essendo la prima volta che li vedo dal vivo, da un lato penso che non mi abbiano convinto per via di alcune sfortune tecniche, dall’altro penso che ci sia tanto lavoro da fare per raggiungere maggiore solidità e sicurezza.

 

The Intersphere

Ad accompagnare gli headliner della serata troviamo i The Intersphere, una piacevolissima scoperta dal timbro alternative e progressive. Il registro si sposta verso un djent più gentile, math rock, fatto di ritmiche asincopate e accenti sfalsati con riff a tratti cupi e a tratti un po’ alla Plini, a fare da tappeto per un cantato pulito, preciso e carico di identità.

I suoni sono cristallini e intellegibili, il tono delle chitarre molto bello e definito, il basso ben presente e i fusti molto più che sul pezzo: giocano con ritmiche e fill in maniera magistrale. La setlist lascia spazio anche a ritmiche più pesanti e riff belli carichi, che farciscono ottimi e inaspettati breakdown con fry scream, così, dal nulla.

Per certi versi mi ricordano i Dayseeker, per altri versi invece i Coldplay, ma con moltissimo appeal musicale (e grinta) in più. Arrivano anche ritmi quasi tribali, con melodie pazzesche. Oserei dire che il pubblico (e me medesimo) è stregato dalla performance dei tedeschi, non c’è un attimo fiacco.

Abbiamo la fortuna di ascoltare alcuni brani che pare debbano ancora essere rilasciati, molto belli. Il momento dell’ultimo brano arriva fin troppo in fretta, il pubblico ne vorrebbe ancora e batte le mani a tempo senza alcun invito.

 

Intervals

Sono passati ben 8 anni dalla loro ultima volta in Italia, ma finalmente possiamo regalare alle nostre orecchie un trattamento musicale deluxe.

Si parte: la qualità è altissima, un connubio di riff chirurgici, bassi precisi, batteria esplosiva e chitarre virtuose. È il djent fatto come si deve e il pubblico lo percepisce subito – già dal primo brano si sfalda la tensione e i più coraggiosi nel pit spalancano le porte al pogo.

Non c’è voce, come da cifra stilistica degli Intervals, ma la mancanza non si avverte: ogni passaggio melodico, ogni cambio di ritmo, è orchestrato con armonia, con un equilibrio fra tecnica e atmosfera che cattura. In più, suoni e luci del Legend Club di questa sera sono al top, una resa spettacolare.

Durante la setlist portano diversi brani da Memory Palace, lavoro del 2024, così come brani decisamente più datati come The Space Between, del 2011. Ovviamente c’è spazio anche per brani di Circadian come Lunar[r]tic e Lock & Key. Verso la metà del set, Aaron Marshall si prende un attimo per ringraziare il pubblico, ricordando che era da tempo che non suonavano in Italia — un gesto che evidenzia quanto desiderassero che questa serata fosse speciale.

Chiudono con Circuit Bender, uno dei pezzi più attesi, seguito da String Theory come brano finale (nessun encore). Ottima scelta: lascia una sensazione di completezza, come se tutto fosse stato detto. Nessuna nostalgia, nessun allungo forzato: solo suono, energia, emozione.

 

Bleed Someone Dry

Ultima

The Intersphere

Intervals

 

Scaletta:

  1. Neurogenesis
  2. Nootropic
  3. Mnemonic
  4. Still Winning
  5. Chronophobia
  6. Luna[r]tic
  7. Lock & Key
  8. Alchemy
  9. Mata Hari
  10. Epiphany
  11. Leave No Stone
  12. Rubicon Artist
  13. Circuit Bender
  14. String Theory

Testo di Riccardo Giuffrè
Foto di Erika Gagliardi

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