Abbinamento vincente quello di lunedì 16 giugno 2025 che ha visto condividere il palco a due formazioni che non hanno certo bisogno di presentazioni. Le scorse esibizioni italiche erano state memorabili (il Re Diamante coi MERCYFUL FATE al Rock The Castle ed i PARADISE LOST al Luppolo in Rock), pertanto le aspettative erano alte e, come vedremo, non sono state tradite.
Nell’approssimarci in quel dell’Alcatraz notiamo subito non pochi parcheggi liberi, il che – conoscendo le malsane abitudini nostrane – fa temere un’insufficiente partecipazione, ma una volta entrati nel locale tiriamo un gran sospiro di sollievo: palco principale e pubblico delle grandi occasioni! Il pit è variegato, com’era lecito attendersi, e varia da appassionati di vecchia data a giovani entusiasti che paleseranno, durante lo show, una conoscenza attenta di tutti i pezzi proposti.
I primi a calcare le scene sono i britannici PARADISE LOST, band unica nel suo cursus vitae, che passò da prime incisioni fortemente disapprovate dalla stampa dell’epoca al successo incondizionato dall’album Icon in poi. Tra i primi ad abusare del down tuning e caratterizzati anche dall’aver cambiato un’infinità di batteristi, tra i quali, recentemente, l’italiano Guido Zima, partono in perfetto orario, sono per buona sorte supportati da ottimi suoni e palesano fin da subito un vocalist in gran spolvero. La setlist risulterà molto simile a quella del Luppolo in Rock, seppur maggiormente ridotta, ed in tutta onestà ci si aspettava almeno un’anteprima da Ascension, disco di prossima uscita.
Sul palco si muovono con armonia, dimostrando di essere professionisti di alto livello che non perdono un secondo di concentrazione. Di tutti, il più divertito pare il chitarrista ritmico Aaron Aedy, che scuote incessantemente il capo. Lodevole il lavoro dei fonici che, su tutto, rendono alfine giustizia alle fondamentali linee di basso, ben percettibili e possenti. Tra grandi classici quali l’immancabile Embers Fire, penultimo pezzo in scaletta, il consueto lancio di plettri e bacchette, ma nessun bis, si chiude un’esibizione ineccepibile che, fosse stata protratta più a lungo ed avesse – come già evidenziato – portato almeno un brano in anteprima dall’imminente release, sarebbe stata magistrale.
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Setlist – PARADISE LOST
- Enchantment
- The Enemy
- No Hope in Sight
- Pity the Sadness
- Faith Divides Us – Death Unites Us
- The Last Time
- Ghosts
- Embers Fire
- Say Just Words
Mezz’ora per il cambio palco e giungiamo in perfetto orario al main event. Dopo la magnifica esibizione al Rock The Castle del 2022, torna – questa volta in veste solista – uno dei massimi sacerdoti del metal nonché maestro della tecnica del “falsetto”. Storicamente, la dimensione di KING DIAMOND è quella live, con show irriverenti al limite del pudore ed, in effetti, la spaventosa scenografia di stasera, ambientata in un lugubre sanatorio di inizio secolo (dalla sinistra denominazione Saint Lucifer Hospital 1920), non fa che confermare questa peculiarità.
Si parte con le note di The Wizard degli URIAH HEEP sparate a tutto volume, seguite da Funeral, intro dell’album Abigail, dove il Re sevizia un bambolotto, dopodiché si aprono le porte degli inferi. Fortunatamente, anche in questo caso i suoni risultano cristallini, ma con un volume d’uscita non di poco superiore al precedente act, il che è tutt’altro che disprezzabile! Dopo la prima canzone, Diamond presenta la band, su cui spicca una vecchia conoscenza: Mike Wead, di provenienza MERCYFUL FATE, che affiderà per tutta la serata le dita ad una chitarra Jackson, marchio particolarmente caro nell’universo metal.
Nonostante si avvalga di musicisti di prim’ordine, un carisma come quello di King rende inevitabile che la scena e l’attenzione siano concentrate su di lui; peraltro, anche tenendo conto dell’età, si presenta sia come interprete che anchorman in gran forma. Si aggira minaccioso per tutto lo stage col suo inconfondibile make-up ed un reggi microfono di ossa incastonate a forma di croce. Prima di introdurre il brano Spider Lilly intrattiene un simpatico siparietto con uno spettatore che poco prima gli aveva gridato “I love you”, rispondendogli “Io non ti voglio, non so chi cazzo sei!”. Come di consueto, l’aspetto teatrale, fortemente debitore al mastro Alice Cooper, riveste un ruolo non certo comprimario, divenendo parte integrante dello show. Dopo Sleepless Nights, Diamond cambia look – che mantiene anche nella successiva The Invisible Guests – trasformandosi in un vetusto reverendo eretico, mentre il palco si adorna di ulteriori macabre reliquie.
La scaletta è calibrata e d’impatto, degna di un ideale “best of” ed, infatti, il pubblico – col quale interagisce a più riprese – risponde con entusiasmo nota su nota al grido di “KING KING!”. Giungiamo all’encore, laddove il Re strappa la scaletta da terra e la porge a un fan in prima fila chiedendogli di gridare quale canzone avrebbero fatto per ultima, e così, con un altro classico del calibro di Abigail, seguito dai saluti di rito, si chiude in bellezza una serata organizzata a regola d’arte, della quale poter dire un domani: “Io c’ero”.
Setlist – KING DIAMOND
- Arrival
- A Mansion in Darkness
- Halloween
- Voodoo
- Spider Lilly
- Sleepless Nights
- Welcome Home
- The Invisible Guests
- The Candle
- Masquerade of Madness
- Eye of the Witch
- Burn
Encore:
13. Abigail
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