Tra sole rovente e fiumi di fan, la festa del rock torna a rombare sotto il cielo toscano, dove il Firenze Rocks si conferma, anche quest’anno, uno degli appuntamenti musicali più attesi dell’estate italiana. La giornata del 13 giugno ha visto il festival entrare nel vivo con una lineup esplosiva, culminata nell’attesissimo ritorno dei Korn. Il parco delle Cascine si è trasformato in un tempio del rock, dove vecchie glorie e nuove promesse hanno acceso il pubblico in un crescendo di energia.

Ecco com’è andata

L’Occasione

L’opening act della seconda giornata del festival è affidata alla band L’Occasione, che ieri sul palco del Firenze Rocks, ha dimostrato fin da subito perché il loro nome sta iniziando a circolare con insistenza nel panorama indie-rock italiano.

Con un sound che mescola cantautorato moderno e sonorità pop-rock dal respiro europeo, la giovane band ha regalato un set sincero, coinvolgente e ben calibrato, attirando l’attenzione anche dei fan arrivati per i nomi più grandi.

Atwood

In un’edizione del Firenze Rocks che prometteva già scintille con i Korn come headliner, una band italiana emergente ha sorpreso tutti e si è ritagliata il suo spazio sotto i riflettori: gli Atwood. Il gruppo alternative rock milanese ha portato sul palco dell’Ippodromo del Visarno un’energia vibrante e una presenza scenica che ha conquistato il pubblico, anche quello venuto da lontano per ascoltare ben altri nomi.

Aprire una giornata così intensa non è mai facile, ma gli Atwood hanno trasformato la pressione in carburante puro. Sin dalle prime note, la frontman ha guidato il pubblico in un viaggio sonoro che mescolava rock alternativo, elettronica e sfumature pop-dark, una miscela che ha saputo distinguersi senza timore davanti a un pubblico abituato a ben altri volumi e suoni più aggressivi.

Il set ha visto l’alternanza di brani del loro ultimo EP e singoli che hanno già fatto breccia nelle playlist indipendenti italiane. Particolarmente potente è stata la performance di Ghost, che con il suo crescendo emotivo ha raccolto applausi sentiti da un pubblico inizialmente diffidente, ma presto coinvolto.

La band ha dimostrato non solo talento musicale, ma anche una maturità scenica inaspettata per un gruppo ancora agli inizi del proprio percorso. La voce della cantante – intensa, evocativa, ha saputo canalizzare un’urgenza espressiva che si è fatta carne viva sul palco. Le chitarre affilate, i synth atmosferici e una sezione ritmica compatta hanno fatto il resto, dando vita a un live coeso e coinvolgente.

Gli Atwood, con la loro performance al Firenze Rocks 2025, hanno dimostrato che l’Italia ha ancora molto da dire nel panorama rock europeo. E se il futuro della scena alternativa passa anche da loro, possiamo stare certi che sarà un viaggio interessante. Da tenere d’occhio – e, soprattutto, da ascoltare dal vivo.

Soft Play

Nonostante il cambio di nome – da Slaves a Soft Play – il duo inglese non ha perso un grammo della propria identità feroce. Anzi, la mutazione sembra averli resi ancora più consapevoli del loro ruolo: quello di catalizzatori di energia, ironia e disagio generazionale, condensati in un live act che raramente concede tregua.

Sul palco, Isaac Holman (voce e batteria) e Laurie Vincent (chitarra e cori) incarnano un’idea di punk essenziale e senza compromessi. Nessuna sezione ritmica aggiuntiva, nessun fronzolo: solo due corpi in continuo movimento, che sputano fuori canzoni come slogan urlati contro l’apatia. Holman, in particolare, si distingue per una presenza scenica magnetica: canta, urla, picchia la batteria in piedi e dialoga col pubblico con un’ironia tagliente che fa da contrappunto al caos sonoro.

Il repertorio attinge sia ai brani più grezzi e diretti dell’epoca Slaves, sia alle nuove tracce, più mature ma non meno abrasive. L’equilibrio tra rabbia e sarcasmo è sempre il loro marchio di fabbrica, e dal vivo diventa ancora più efficace. Il pubblico, spesso coinvolto attivamente, reagisce con un entusiasmo quasi viscerale: pogo, crowd surfing, e un senso di comunità spontaneo che difficilmente si crea con band più “costruite”.

Il live dei Soft Play è un’esperienza a metà tra concerto punk, performance teatrale e sfogo collettivo. Più che proporre uno spettacolo, lo impongono, con la forza fisica della loro musica e una genuinità che, nel panorama contemporaneo, è diventata merce rara.

Enter Shikari

Il palco della Visarno Arena si è trasformato in un laboratorio sonoro incandescente grazie agli Enter Shikari, protagonisti di una delle performance più incisive della giornata inaugurale del Firenze Rocks. La band britannica, nota per la sua capacità di abbattere i confini tra generi musicali, ha regalato al pubblico un concerto che ha saputo unire potenza, sperimentazione e una notevole carica emotiva.

Sin dalle prime note, Rou Reynolds e compagni hanno dimostrato perché sono considerati tra i nomi più innovativi della scena alternative europea. Con un set che ha attraversato tutte le fasi della loro carriera, la band ha alternato momenti di pura aggressività sonora a passaggi elettronici più atmosferici, sempre sostenuti da una regia visiva intensa e studiata.

La presenza scenica di Reynolds è risultata, come di consueto, magnetica. Il frontman ha guidato la folla con energia contagiosa, alternando momenti di riflessione sociale – cifra distintiva del gruppo – a vere e proprie scariche adrenaliniche. L’interazione col pubblico non è mancata: cori, salti, mosh pit e mani al cielo hanno accompagnato ogni pezzo, in un crescendo che ha trovato il suo culmine nel gran finale.

Dal punto di vista tecnico, la band ha offerto una performance impeccabile. L’equilibrio tra strumenti dal vivo e sequenze elettroniche è stato gestito con maestria, confermando la maturità raggiunta dal gruppo sia sul piano della produzione che dell’esecuzione live.

Il concerto degli Enter Shikari al Firenze Rocks dimostra che la musica può ancora essere rivoluzionaria, coinvolgente e capace di far riflettere. Un’esibizione che ha lasciato il segno, dimostrando ancora una volta che l’ibridazione sonora non è solo una cifra stilistica, ma un vero e proprio manifesto artistico.

Public Enemy

In un festival dominato da chitarre distorte e mosh pit sudati, sono bastate le prime battute di “Bring the Noise” per capire che i Public Enemy non erano lì solo per suonare, ma per ribadire – ancora una volta – che la loro voce è necessaria.

Chuck D, saldo al microfono con la sua solennità da predicatore laico, e Flavor Flav, inarrestabile nella sua follia teatrale (con l’immancabile orologio al collo), hanno scosso la Visarno Arena come fosse il Bronx in piena rivolta. In scaletta, i classici che hanno scritto la storia del rap politico: Fight The Power”, “Don’t Believe The Hype”, “911 Is a Joke”.

La loro ora di set non è stata solo un tuffo nostalgico nei ’90, ma una dichiarazione d’intenti: le battaglie di ieri, purtroppo, suonano ancora attualissime. Il pubblico, trasversale e inizialmente incuriosito, ha finito per lasciarsi coinvolgere, alzando pugni e voci in un rito collettivo di coscienza sociale e memoria storica.

non importa che razza sei, da dove vieni, che lingua parli e che religione pratichi…alla fine della giornata siamo tutti fratelli e sorelle

Il loro messaggio di pace in merito al recente attacco di Israele all’Iran.

Con pochi fronzoli e una carica politica che non si è mai spenta, i Public Enemy hanno dimostrato che l’hip hop può ancora incendiare il palco di un festival rock. Non con il volume, ma con la verità. E in un’epoca che spesso preferisce dimenticare, loro scelgono di ricordare. E di resistere.

KORN

È consigliabile tenersi veramente pronti se, a gridartelo ad un microfono è Jonathan Davis, colui che, agli inizi degli anni 90, raccolse quel sentimento di ribellione e introspezione che apparteneva all’ epoca del movimento grunge, facendolo esplodere in rabbia e conflitto generazionale. La morte suicida di Kurt Cobain nel ’94 lascerà un vuoto emotivo nella scena rock alternativa, la sofferenza interiore, la sensibilità cruda e quella malinconica rabbia compressa che consumò Kurt, scoppierà in modo viscerale quando nell’ Ottobre dello stesso anno i Korn pubblicheranno il loro primo album omonimo.”Blind” è il manifesto, lo sfogo primordiale di una nuova generazione di dolore: più cruda, più fisica, più arrabbiata. Da sempre l’incipit di ogni live dei Korn, anche per stasera, la band si nascondedietro un telo nero, mentre l’intro di Blind si sviluppa ed esplode insieme al fragore delle urla del pubblico, con l’ormai iconico grido di avvertimento: 

Are you ready ?!?”.

Twist è il secondo brano eseguito, che apre l’album, Life Is Peachy, il secondo della band. Questo è il primo pezzo in cui la voce di Jonathan Davis diventa vero e proprio strumento, viene usata come arma emotiva. Anche nei precedenti live, “Twist” riprende la rabbia esplosiva di “Blind”, amplificandola e distorcendola, consentendo a Davis di sperimentare, grazie alla sua capacità di modulare la voce.

La carica e l’energia prodotta dai primi due pezzi invade tutta l’arena del Visarno, mentre nel pit i più coraggiosi ed appassionati, si sfogano nel pogo sfidando il caldo.

Il cambio di registro viene dato dalle note di “Here to stay”, uno dei pezzi dell’ album che definí non solo il sound dei Korn, ma che rappresentò allora come oggi un punto di svolta della band, perché contribuì a risollevare l’attenzione mediatica nei confronti di un genere, il nu metal, ampiamente ostracizzato, e inoltre rappresentò la maturità vocale di Davis, potendo inserire melodie più sofisticate.

Con “Here to Stay”, i Korn affermano e confermano di essere qui per restare, una resistenza artistica ed emotiva.

Got The Life”, “Clown” e “Did my Time”, sono i successivi brani eseguiti dai Korn, un blocco questo molto apprezzato per le differenti dinamiche sonore ed emotive provocate dalle canzoni. Un microviaggio tra liberazione, introspezione e catarsi, perfettamente inserito nella setlist.

Nonostante le sfide fisiche, come l’asma, Davis ha mantenuto una performance ad un livello elevato, solida e molto accurata sia nel sound che nell’esecuzione, dimostrando una resistenza ed una dedizione straordinarie, come anche il resto della band, che si conferma fino qui, impeccabile. Un plauso, va sicuramente ad un monumentale Ray Luzier, che festeggerà questo weekend le sue cinquantacinque candeline, e che ancora una volta ha dimostrato la sua potenza tecnica ed abilità, portando nuova linfa anche nelle composizione precedenti al suo ingresso nella band.

Si segue con “Shoots And Ladders” immancabile nelle esibizioni dal vivo, introdotta dal suono della cornamusa, è una sequenza di filastrocche per bambini che contengono riferimenti sottintesi. Davis afferma di questa canzone:

Fu scritta perché tutti questi piccoli bambini cantano queste rime e non conoscono il loro reale significato. Tutti sono cosi felici quando cantano, ma “London Bridge” riguarda, come anche “Ring Around The Roses”, la peste nera. Tutti hanno le loro storie maledette di fronte a loro. I testi vengono tutti dalle canzoncine dei bambini, e tutte le canzoncine dei bambini provengono dal Medioevo

Il brano viene eseguito modificandone, seppur in maniera marginale, l’andamento ed il groove nel secondo verso del chorus, una scelta sicuramente inaspettata, che ha tolto un po’ di polvere ad un brano che festeggia i trent’anni.

L’impatto visivo e scenografico è essenziale ma non banale, le luci pervadono l’arena del Visarno con un’atmosfera dark e gotica, alternata da proiezioni astratte nei ledwall, come durante l’esecuzione di “Cold”. Un impianto scenico pertinente allo show proposto da Davis e soci.

Tutta la setlist è un viaggio altalenante di emozioni dentro la vasta discografia della band, impossibile costruire con estrema accuratezza, una scaletta che sappia raccontare il percorso artistico senza scontentare qualche fan, nonostante tutto, il risultato è assolutamente positivo, basta considerare le canzoni che chiudono la tappa fiorentina, “4 U”, “Falling away from me”, “Divine” e l’immancabile “Freak on a Leash” che dimostrano una scelta dei brani perfetta per costruire un viaggio coerente e potente, dove ogni pezzo è stato tassello di un mosaico ancora vivo e pulsante.

Per Firenze, e per i fan presenti, questa tappa è stata più che un concerto: è stata la conferma che i Korn non sono solo una band leggendaria. Sono, ancora oggi, imprescindibili.

Testo di Lucilla Sicignano

Setlist:

  1. Blind
  2. Twist
  3. Here to Stayeo
  4. Got the Life
  5. Clown
  6. Did My Time
  7. Shoots and Ladders
  8. Cold
  9. Ball Tongue
  10. Twisted Transistor
  11. A.D.I.D.A.S.
  12. Dirty
  13. Somebody Someone
  14. Y’All Want a Singleideo
  15. 4 U
  16. Falling Away From Me
  17. Divine
  18. Freak on a Leash

 

Si ringrazia Livenation

 

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