LED ZEPPELIN – Becoming Led Zeppelin (2025)
Inizio affermando che, a mio parere, “Becoming Led Zeppelin” è uno splendido documentario, capace di trasportare lo spettatore nelle origini e nella straordinaria ascesa di una delle band più influenti della storia del rock.
Diretto con maestria da Bernard MacMahon, il film racconta con passione e attenzione ai dettagli il percorso di Jimmy Page, Robert Plant, John Paul Jones e John Bonham, dall’infanzia fino all’iconico concerto alla Royal Albert Hall nel 1970.
Ciò che rende questa pellicola davvero speciale, credo sia la sua capacità di offrire uno sguardo intimo e autentico sulla nascita dei Led Zeppelin.
Le interviste esclusive con Page, Plant e Jones aggiungono profondità emotiva, mentre i materiali d’archivio inediti di Bonham regalano momenti toccanti e di grande valore storico.
È affascinante vedere come il documentario riesca a catturare non solo l’evoluzione artistica della band, ma anche il loro spirito innovativo e la passione travolgente per la musica.
Le performance dal vivo sono un godimento per gli spettatori. L’energia sprigionata sul palco e la maestria musicale del gruppo emergono con una potenza tale che in alcuni momenti mi hanno fatto venire i brividi anche se vissuti attraverso uno schermo.
La proiezione a Mantova, alla quale ho assistito, non ha registrato il tutto esaurito, ma devo sottolineare che si trattava dell’ultima in programma in questi quattro giorni.
Ma torno al principio e cerco di raccontarvi brevemente la trama seguendo passo passo l’ordine cronologico e narrativo.
Il documentario descrive la storia dei Led Zeppelin partendo dalle loro origini, quando i futuri membri della band crescono nell’Inghilterra del dopoguerra, tra razionamenti di cibo e sogni americani che arrivano via nave anche sotto forma di musica.
È un mondo in cui il rock’n’roll inizia a farsi strada grazie a figure come Lonnie Donegan, mentre gli adolescenti inglesi scoprono il blues e i suoni che trasformeranno il loro futuro.
John Paul Jones, figlio di genitori impegnati nel vaudeville, trova presto la strada della musica, incoraggiato dalla famiglia.
Robert Plant, invece, è folgorato dall’energia di Little Richard, ma si ritrova spinto verso gli studi di contabilità.
Jimmy Page, precoce talento della chitarra, cresce ascoltando Johnny Kidd & the Pirates.
John Bonham, già dotato di un drum kit di tutto rispetto, si lascia ispirare dal groove della batteria di James Brown.
Nei primi anni ’60, Page e Jones si incontrano per la prima volta suonando insieme.
Nel 1965, entrambi sono già musicisti affermati nell’ambiente dei turnisti: li troviamo negli studi di Abbey Road, a registrare la sezione ritmica di Goldfinger per la voce di Shirley Bassey. Da lì, la carriera di Page decolla: collabora con Rolling Stones, Kinks, Petula Clark e gli Who, mentre Jones si specializza negli arrangiamenti e nelle colonne sonore. Nel frattempo, Plant si muove tra band locali, militando nei Band of Joy, ma senza una direzione precisa, fino a ritrovarsi “con una valigia di cartone e una scorta di penicillina”, senza una vera casa.
Tutto cambia nel 1968. Gli Yardbirds si sciolgono e Page, rimasto solo, decide di portare avanti un nuovo progetto. Nella sua boathouse sul Tamigi incontra Plant, con cui scatta subito un’intesa perfetta. Arruolati Jones e un riluttante Bonham, la band inizia a provare, partendo dal blues e da “Train Kept A-Rollin’”.
Un tour in Scandinavia segna il loro esordio, riempiendo i buchi lasciati dagli Yardbirds, e poco dopo si chiudono negli Olympic Studios per sperimentare nuovi suoni e tecniche di registrazione.
Il passo successivo li porta negli Stati Uniti, dove ottengono un contratto con la Atlantic Records, grazie al fiuto di Jerry Wexler. Una delle clausole fondamentali, voluta da Page, è il totale controllo artistico: niente interferenze dell’etichetta e, soprattutto, nessun singolo. Secondo l’opinione della band, i Led Zeppelin dovevano essere ascoltati per intero, immergendosi nei loro album senza frammentazioni.
Il nome definitivo della band arriva su suggerimento di Keith Moon degli Who.
Ecco che quindi parte il loro tour negli Stati Uniti, dove aprendo per i Vanilla Fudge, si fanno subito notare come una forza dirompente del rock dal vivo.
La fama cresce rapidamente, ma non tutti apprezzano, soprattutto la stampa di settore. Rolling Stone stronca il loro primo album “Led Zeppelin I“, definendo Page un compositore con “mezzi limitati” e le performance vocali di Plant “poco convincenti”. Bonham viene descritto come un batterista che “fracassa i timpani ad ogni beat”, e “Babe, I’m Gonna Leave You” viene liquidata come “noiosa e ripetitiva“.
Il documentario si ferma al 1970, dopo l’uscita di “Led Zeppelin II”, quando la band sta per trasformarsi in una delle più grandi di sempre.
Trattandosi di un’opera autorizzata, ci sono registrazioni complete e nuove interviste ai membri superstiti, oltre a una rara intervista del 1971 a Bonham, ritrovata dopo un lungo lavoro di ricerca.
Il mio auspicio è che questo possa essere solo il primo capitolo di una serie che racconti il resto della loro storia. Ma per ora, ci si deve accontentare e, purtroppo, dubito ci sarà un seguito.
Sono contento di aver assistito a questo spettacolo perché penso che il primo periodo dei Led Zeppelin sia stato ricostruito con passione e dovizia di particolari, anche se non nascondo che lasciando la sala, si è fatta largo la voglia di avere a disposizione un racconto altrettanto ben fatto di quello che ha rappresentato il gruppo per tutti gli anni settanta.
Concludo dicendo che “Becoming Led Zeppelin” mi è parso molto più di un semplice documentario: è un tributo sentito e avvincente a un gruppo che ha ridefinito per sempre il rock. Per chi ama la musica e la sua storia, è un bel viaggio, capace di far rivivere la grandezza e il genio dei Led Zeppelin con una forza travolgente.
Voto: 8,5/10
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