Eccoci anche alla seconda giornata del Metalitalia Festival, dedicata quest’anno principalmente all’heavy metal molto tradizionale. Scelta non così usuale per un festival di questo tipo ma che ha effettivamente pagato, registrando un notevole afflusso di pubblico, inevitabilmente un po’ “stagionato” ma comunque (o forse proprio per questo!) molto partecipativo e appassionato. Ha sicuramente giocato a favore la compresenza di vari eventi che sicuramente si possono definire “storici” per il genere… ma andiamo con ordine.
Intanto spendiamo qualche parola per organizzazione e location: il Live Club di Trezzo sull’Adda (MI) è sempre un ottimo posto per i concerti dal punto di vista sonoro, visivo e logistico. In più, come tradizione del festival, gode di uno sfogo laterale sul grande cortile aperto che ospita un bel bar con tavoloni, diversi banchetti di cd e vinili e lo spazio per il meet and greet, oltre a un pezzo di prato utile per decomprimersi. Il locale quindi può quasi svuotarsi dopo ogni gruppo per poi ri-riempirsi per il successivo, favorendo mobilità e ricambio. Completano bel quadro l’ampio spazio sovrastante dedicato ai tatuatori, e altri punti bar e banchetti interni al locale. Anche i cambi di palco fra band sono rapidi e quasi sempre molto puntuali. Una situazione davvero vivibile e godibilissima, complimenti anche quest’anno all’organizzazione.
Arriviamo sul posto per l’inizio del set dei NIGHT DEMON, terzo gruppo in scaletta. Il trio americano (basso+voce, chitarra e batteria) è di formazione relativamente recente (2011) ma la sua musica è nettamente di ispirazione più “antica”, aderendo alla New Wave Of Traditional Heavy Metal che anche nel nome si ispira in tutto e per tutto al metal tradizionale degli anni 80, semplice, diretto e senza fronzoli. I ragazzi rendono molto bene dal vivo anche grazie al loro atteggiamento mobile e vivace sul palco che riesce a risultare molto coinvolgente, pur a fronte di una proposta musicale non particolarmente originale ma eseguita in modo sicuramente efficace.
A seguire è il turno dei SATAN, storica band inglese fondata nel 1979 che dopo il debutto discografico nel 1984 ha subito una serie di cambi di nome (Blind Fury, Pariah) e formazione fino a sciogliersi quando il chitarrista fondatore Steve Ramsey e il bassista Graeme English hanno fondato gli Skyclad (nota personale per qualche promoter: riportate presto anche questi in Italia!). Nonostante un certo interesse iniziale, la band non ha mai raggiunto grande popolarità all’epoca, ma ha assunto negli anni uno status di cult che le ha permesso di ritrovarsi nel 2003 per un concerto a Wacken e di riformarsi nel 2011. Guidati dall’istrionico Brian Ross, sono stati bene accolti dal pubblico e hanno offerto una buona prestazione a suon di metal classico anche se forse priva di momenti particolarmente memorabili per chi già non li apprezzasse.
Inizia a serpeggiare una certa tensione nell’aria per quello che è il primo dei momenti storici della giornata: stanno infatti per comparire per la prima volta in Italia i WARLORD, band formatasi nel 1981 che davvero si è ammantata di un’aura quasi mitologica essenzialmente grazie al loro debut “Deliver Us” di tre anni dopo seguito da “…And The Cannons Of Destruction Have Begun” con pochi pezzi inediti suonato dal vivo in studio. Nonostante l’assenza di attività live, lo scioglimento nel 1985 e l’alternanza di ben tre cantanti in questa prima breve fase, l’epic metal primordiale e raffinato proposto dal chitarrista Bill Tsamis e dal batterista Mark Zonder è entrato indelebilmente nel cuore di molti metallari dell’epoca (ho incontrato chi mi ha detto emozionato di aspettarli dal 1984!).
Dopo le brevi reunion del 2001 e del 2011, la storia sembra infrangersi con la morte di Tsamis nel 2021. Mark Zonder però nel 2023 mette insieme una band praticamente tutta nuova con cui realizza un nuovo disco e soprattutto inizia un tour in onore dell’amico e compagno scomparso. Ed è in questa veste di tributo che troviamo oggi i Warlord, che si esibiscono davanti a un pubblico in estasi riproponendo fedelmente i pezzi così amati: difficile dire quali siano stati i più apprezzati ma sicuramente “Deliver Us From Evil“, “Lucifer’s Hammer“, “Child Of The Damned” hanno fatto breccia nel cuore dei fan fino all’orlo della commozione. Mark Zonder dietro le pelli e ben in evidenza nel mix riesce a caratterizzare e personalizzare il sound per renderlo quanto più possibile simile all’originale; gli altri membri naturalmente devono svolgere un compito, cosa che fanno molto bene anche se naturalmente non è facile dimenticare che in realtà per quattro quinti non hanno neanche mai suonato con Tsamis. Nonostante questo, l’entusiasmo durante e dopo il concerto rimane alle stelle!
Altra prima apparizione in terra italica è quella dei CIRITH UNGOL, anche loro americani con una storia per alcuni versi simile a quella dei Warlord. Formatisi addirittura nel 1972, pubblicano il primo disco nel 1981 dopo una serie di vicissitudini e altri due album prima del 1986. Anche la loro proposta di un epic metal reso molto sulfureo in particolare dai vocals di Tim Baker suscita molto interesse in una nicchia di appassionati senza però riuscire a sfondare al livello di altre band contemporanee. All’inizio dei novanta si sciolgono ma anche loro assurgono negli anni a band di culto sempre rimpianta, finché nel 2015 si riformano con quasi tutti membri che vi hanno effettivamente militato in qualche periodo.
Dopo due dischi nel 2020 e 2023 annunciano però il tour d’addio che oggi tocca il Metalitalia Festival; sono presenti però solo due membri originali, Tim Baker e il batterista Robert Garven, mentre i ruoli di basso e chitarra sono coperti dai rispettivi membri dei Night Demon di cui sopra! Il cambio di formazione non intacca affatto la resa dei pezzi, e il pubblico li accoglie calorosamente partecipando con entusiasmo allo show cupo e pesante sia nei suoni che a livello visivo, in cui spiccano i classiconi “Blood and Iron” e “Chaos Descends“.
Si avvicina il momento degli headliner, e a costo di abusare del termine, di un’altra occasione storica. Non tanto per il concerto in se, perché i “nostri” DEATH SS si sono visti dal vivo negli ultimi anni, seppure non moltissime volte, ma perché sarà composto di due atti, il primo con una scaletta “best of” simile a quella presentata nelle ultime occasioni, il secondo invece completamente dedicato a “In Death Of Steve Sylvester” del 1987, il primo disco ufficiale della formazione horror metal nella sua seconda incarnazione, che dà veramente il via alla loro carriera.
Ricordiamo infatti che la band era stata fondata nel 1977 dallo stesso Steve Sylvester e dal chitarrista Paul Chain in seguito fuoriuscito, unendo tematiche horror, esoteriche e doom al glam rock e punk, e si era creata un nome e un seguito con concerti scioccanti a base di vero materiale cimiteriale, sangue e carne putrefatta. Gli album successivi, spesso caratterizzati da cambi di formazione, saranno incentrati su un metal relativamente meno “oscuro”, pur sempre basato su tematiche esoteriche, ed è proprio su questo periodo d’oro (prima delle influenze più industrial e moderne) che si incentra la scaletta dell’Act 1.
Il concerto come d’abitudine è estremamente teatrale ed esuberante e dimostra la maestria e la professionalità della formazione in costume e del loro leader in primis, spesso raggiunto sul palco dalle usuali diavolesse in deshabillé anche completo. I pezzi sono trascinanti anche più che su disco, anche questa non è una novità, e si trasformano in anthem rituali cantati a squarciagola da tutti; citiamo in particolare “Where Have you Gone?”, “Heavy Demons” e naturalmente l’opener “Let The Sabbath Begin”. I circa settanta minuti scorrono via in un attimo e quello che ci aspetta dopo è una vera sorpresa…
L’Act 2 è infatti un concerto di una band completamente diversa, anche in senso letterale! Il “negromante del rock” si ripresenta accompagnato dai membri originali della band dell’album tributato, completa del trucco e dei costumi classici del vampiro, la morte, lo zombie, la mummia e il licantropo. L’atmosfera e la stessa interpretazione di Steve Sylvester cambiano completamente adattandosi alle sonorità più doom e gotiche, simulando con le luci e il fumo quello che probabilmente poteva essere uno dei loro concerti dell’epoca, meno spettacolare ma estremamente intenso e oscuro. Il disco viene riprodotto praticamente per intero, compresi tutti i pezzi dedicati ai singoli mostri, per concludersi con “Come To The Sabbath”, cover di quei Black Widow espliciti ispiratori della nascita dei Death SS. Inutile dire che il pubblico impazzisce anche per questa seconda parte dell’esibizione!
Ancora una volta la creatura di Steve Sylvester ha dimostrato che grazie al talento, alla passione, alla professionalità e a una certa dose di follia sempre incanalata nei binari giusti, è riuscita a entrare nella storia del metal italiano e nell’anima dei suoi seguaci per rimanerci sepolta viva in eterno!
Foto e report di Piero Paravidino
Grazie a Metalitalia e MC2 Live
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