Fiction Records – 2025
Bisogna riconoscere che i ritmi di lavoro di Steven Wilson, benché più “rilassati” rispetto al passato, continuano comunque a rasentare livelli impossibili da concepire per noi comuni mortali. Tra remix commissionati da griffatissimi clienti (il prossimo, ormai imminente, sarà per i Pink Floyd di Live at Pompeii) e ragioni sociali delle quali abbiamo ormai perso il conto, è davvero stupefacente che il musicista più nerd del pianeta (si tratta di un sincero complimento) riesca a trovare anche il tempo di dormire. L’eclettismo bulimico e la non prevedibilità di scelte che non hanno paura di suonare divisive continuano (grazie al cielo) a essere gli unici veri mantra della sua sterminata produzione.
Fedele, quindi, a una deontologia impossibile da fotografare e replicare, il ritorno di Steven Wilson, con il nuovo The Overview, in uscita il prossimo 14 marzo, non è affatto quel monumento al passato che molti fan (ingenuamente) auspicavano. Wilson, ancora una volta, non insegue i desideri di una rumorosa (e reazionaria) fetta del suo pubblico. L’artista, d’altro canto, non si occupa degli altrui desideri ma solo dei propri bisogni. In questo senso siamo realmente di fronte a un impressionante manifesto artistico, coerente ma (è qui che sta la sorprendente grandezza del risultato) anche “nuovo”.
L’album è ispirato al cosiddetto “effetto panoramico” (quella sensazione di epifania esistenziale, mista a inadeguatezza, sperimentata dagli astronauti che si ritrovano a osservare la Terra dallo spazio e riassumibile, usando le parole di David Bowie, con “planet earth is blue and there’s nothing I can do”) e, nel pieno rispetto delle vigenti normative in tema di prog rock anni ’70, è composto da due lunghe suite. La durata totale di 42 minuti certifica definitivamente le (giustificate) aspirazioni “classiche” di un lavoro che arriva dopo una serie di escursioni (alcune, invero, assai controverse) su sentieri art rock esplorati, comunque, sempre secondo metodologie mai reverenzialmente sottomesse al passato.
Il bello è che gli elementi passatisti terminano qui, dettagli meramente ornamentali di un semplice involucro all’interno del quale tutto è invece estremamente contemporaneo e (tecnologicamente) vitale. L’ascoltatore è quindi invitato a prendere subito atto della felice ingannevolezza delle apparenze di un album che mostra le fattezze geometriche di un prisma estremamente sfaccettato. Le due metà che compongono The Overview, benché perfettamente complementari, evidenziano chiare differenze caratteriali che esaltano la fruibilità di un’opera così eticamente anacronistica da risultare, paradossalmente, in totale sintonia col nostro tempo.
La prima parte è affidata a Objects Outlive Us, un manifesto di emotività cosmica che, con magistrale disinvoltura, maneggia il contrasto tra l’infinitamente piccolo della condizione umana e l’inconcepibile vastità di un universo conoscibile solo attraverso la freddezza dei calcoli matematici. Il panorama musicale, espressione poi particolarmente calzante in questo caso, è proporzionalmente vasto e viene fotografato mettendo insieme una serie di singoli scatti, insostituibilmente funzionali gli uni agli altri. Il risultato è un incastro perfetto di ragione e sentimento.
Tuttavia, il termine suite appare in realtà improprio. Objects Outlive Us va in una direzione culturalmente differente, dilatando il concetto di songwriting e mostrandone la “relatività” in termini di spazio e tempo. I passaggi strumentali, sempre funzionali alla narrazione, non indulgono mai nella tentazione (una vera maledizione di “certo” prog) di riempire semplicemente gli spazi al solo scopo di collegare, a ogni costo, una serie di frammenti forzatamente incollati insieme. Non c’è quindi ombra di servile compiacenza verso i luoghi comuni di un genere infaustamente incline al suicidio virtuosistico.
Il materiale selezionato è infatti profondamente coeso, benché estremamente eterogeneo. È come se Mike Oldfield avesse trovato l’equilibrio perfetto tra il suo lato pop e quello prog, chiamando a raccolta un’all-star band composta da membri di Van Der Graaf Generator e Return to Forever, che non disdegna spiazzanti divagazioni in territorio world, memori della lezione dei Dead Can Dance. Non manca il classico collante floydiano ma, questa volta, giusto per mischiare ancor di più le carte, la composizione chimica rivela una percentuale in quota Waters lievemente superiore alla norma.
Questo non significa che siano però sparite le chitarre gilmouriane. Stupisce piuttosto, in positivo, il modo (discreto ed efficace) con il quale Wilson riesce ad aggiornare “quel” suono grazie a un uso molto sapiente dell’effettistica, una scelta produttiva che colora (ed illumina) l’intero album. Sotto il profilo della scrittura, le influenze maggiori tirano in ballo i nomi di Peter Gabriel e di Peter Hammill, ma il senso melodico è molto vicino a quello del già citato Oldfield.
Se tutto questo ancora non dovesse bastare, sappiate allora che, per impreziosire i testi, è stato convocato Andy Partridge degli XTC, qui alla sua seconda collaborazione con Wilson, dopo quella, già fruttuosa, di To the Bone.
La title track si mantiene su valori decisamente alti, ma sembra trasmettere un senso di eccitazione più contenuto rispetto a quello raggiunto nei minuti precedenti. Wilson torna ad esplorare, con un linguaggio certamente più maturo e completamente in sintonia con i tempi, la psichedelia di Voyage 34.
Con la complicità di un loop ossessivo ed elegante, vengono offerte all’ascoltatore una serie di informazioni legate all’astrofisica. Esteriormente risaltano le affinità formali con alcuni passaggi di Planetario, il primo lavoro (pubblicato nel 2012) dei Deproducers, progetto sperimental-divulgativo che vede schierati insieme i talenti di Vittorio Cosma, Gianni Maroccolo, Max Casacci e Riccardo Sinigallia.
In ogni singola occasione, per tutta la durata dell’album, Steven Wilson sembra attingere a un’inesauribile scorta di ricchezza armonica, che non imbocca mai vie inutilmente eccentriche. La sorprendente fruibilità di The Overview non viene così mai messa in discussione dal pur profondo lavoro di ricerca che trasforma l’ascolto in un’esperienza cinematografica.
L’album, che è effettivamente accompagnato da un suggestivo e riuscito lungometraggio animato, è un vero e proprio film per l’udito, capace di condensare (senza svilirle) tutte le vite precedenti (e forse future) del suo visionario e audace autore.
Tracklist
- Objects Outlive Us (23:17)
- No Monkey’s Paw
- The Buddha of the Modern Age
- Objects: Meanwhile
- The Cicerones
- Ark
- Cosmic Sons of Toil
- No Ghost on the Moor
- Heat Death of the Universe
- The Overview
- Perspective
- A Beautiful Infinity I
- Borrowed Atoms
- A Beautiful Infinity II
- Infinity Measured in Moments
- Permanence
Voto: 8.6/10
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