Nuclear Blast – Luglio 2012
Il mio rapporto con i Testament, nonché il mio pensiero sulla loro musica è alquanto personale, mutevole nel corso degli anni e per la maggior parte delle volte assai controverso! Posso tranquillamente affermare che ho seguito in maniera attenta le vicende della band sin dai primi tempi in cui esordirono con il meraviglioso demo pubblicato come “Legacy” con Zetro Sousa al microfono. Album dopo album ne ho osservato con interesse crescita, ascesa meritata e conseguente affermazione a livello mondiale e pure la tragica e rovinosa caduta dall’Olimpo degli dei del thrash metal all’indomani della pubblicazione dell’odioso “album nero” dei Metallica. Un flagello vero e proprio quello, che come l’anello del potere di Sauron, piegò tutti al suo spietato volere commerciale, dividendo e sterminando tutto quello che un genere fantastico come il thrash metal aveva saputo creare con sangue e sudore nel corso degli anni. Ho avuto anche modo di dialogare personalmente sia con Chuck Billy che con Eric Peterson nel mio periodo americano in quel di S.Francisco, quindi ritengo di conoscere discretamente bene l’argomento!
Per altro sono pur conscio che questo nuovo album della band americana è sicuramente uno dei piùattesi di tutto il 2012 e data l’importanza storica di costoro non potrebbe essere diversamente. Devo ammettere che anch’io ero molto curioso di constatare cosa avrebbe portato sul piatto creativamente parlando il secondo parto discografico della formazione originale dei Testament, purtroppo la risposta è NULLA (!) tuttavia, pur essendo musicalmente superiore al lavoro di tre anni fa, questo disco mi ha fatto lo stesso effetto negativo del suo predecessore anche se non in maniera immediata. Se “The Formation Of Damnation” era a dir poco un disco mono-tematico di classica matrice thrash, qui di carne al fuoco ce n’è sin troppa, peccato che non sia carne fresca ma tirata fuori poche ore prima dal congelatore della band! Pur conscio di essere ben presto inquisito per questa mia recensione, vi dirò che nei piani della band tutto sembra essere al suo posto, ordinato e pronto ad offendere. Son certo che al primo ascolto questo disco vi esalterà dato che vi imbatterete in alcuni (non tanti) riff spacca ossa ad opera di Eric Peterson, così come non manca il frenetico pulsare del basso di Greg Christian, per l’occasione Alex Skolnick ha profuso alcuni tra gli assoli piùbelli che abbia mai inciso con la band, mentre (non so se come ospite o a titolo definitivo) un Gene Hoglan – che ritorna in seno alla band dopo l’esperimento “Demonic” del 1997 – risulta ancora una volta essere l’asso vincente con il suo drumming forsennato, distruttivo e chirurgicamente preciso. Mr. Hoglan è ‘il batterista’ thrash metal per antonomasia, uno tra i pochi in grado di far fare il salto di qualità in qualsiasi progetto venga coinvolto. Anche questa volta non si risparmia affatto dando man forte alla confraternita del testamento.
Belle prerogative iniziali non c’è dubbio, eppure neanche questa volta mi convince il songwriting, ma proprio per niente! Nel senso che mi pare la band confabulare tra loro cosi: “Eddai ragazzi! Forza, mettiamo assieme un pò di idee e facciamo sto disco di merda che è ora, lo si deve proprio fare adesso!” Stessa identica sensazione mi diede appunto “The Formation Of Damnation” quando uscii! All’inizio esaltante, sublime durante i primi ascolti poi”…poi mi accorsi di tante cose che non funzionavano per il verso giusto, in primis il drumming di Paul Bostaph che si faceva tranquillamente i fatti suoi per tutto l’arco dell’album, come se il suo fosse un unico lunghissimo assolo di batteria, pieno zeppo di stacchi inutili che non facevano altro che spezzare una linearità già di per se abbastanza elementare che contraddistingueva quelle canzoni. Comunque sia sono giunto all’amara conclusione che parte della loro involuzione compositiva è dovuta solo ed esclusivamente all’attitudine menefreghista e svogliata della band quel non aver voglia di sbattersi a non lavorare sodo come una vera band dovrebbe fare, adagiandosi sugli allori e fregandosene di tutto il resto, tanto noi “siamo i Testament” e qualsiasi cosa facciamo alla gente piacerà per forza, quindi chi se ne fotte. Ma non funziona così cari miei, almeno non sempre! Riassumendo ci hanno nuovamente messo una vita per scrivere nove (non dodici o quattordici) canzoni, Chuck Billy ne ha ulteriormente ritardato l’uscita di quasi 10 mesi per scrivere i testi (non ha voglia e non ha piùidee) finendo per trattare nuovamente tematiche sui suoi antenati pellerossa. Solo quando si sono visti prossimi alla deadline con la Nuclear Blast si sono dati una seria mossa portando al temine “Dark Roots Of The Earth”, ma questa è ormai la prassi quindi attendiamo il nuovo capitolo, se ci sarà , non prima del 2015.
Questo disco è uno specchietto per le allodole nel vero senso della parola dato che la band ha assemblato in fretta e furia un puzzle del tutto incoerente, disomogeneo e privo d’ispirazione che pesca a destra e a sinistra dalla loro cospicua discografia. Prendete ad esempio il brano scelto ”“ negli ultimi 15 giorni che tempismo sta band ”“ a rappresentare il nuovo lavoro anche con un video: “Native Blood” (a parte i brevi irruenti blast-beat di Hoglan) provate ad inserirla in “Souls Of Black”, vedrete che ci sta’ dentro alla perfezione, identico discorso va fatto per “A Day In The Death” che sembra una bonus track di “Practice What You Preach”. Da par suo “Cold Embrace” è invece il pezzo ruffiano senza faccia, quello che bisogna inserire per forza a sto punto dell’album per accontentare un pò tutti e far tirare il fiato dopo tanto metallo a briglia sciolte! Ragazzi miei, Chuck Billy canta melodico come su “The Ritual” (ma non l’avevano rinnegato quel discaccio?) per una ballad che sa tanto e troppo di Metallica e della loro “The Day That Never Comes”. Il crescendo è praticamente identico, anche se i Testament suonano mille volte meglio, ma il plagio compositivo è talmente evidente per cui non vado a commentare oltre, ascoltatela e vi renderete presto conto da soli della totale inutilità di questa canzone. Bello il riff iniziale di “Man Kills Mankind” ma presto il tutto si sgonfia facendo posto nuovamente alle litanie melodiche tipiche di quel “The Ritual”, stessa struttura identiche linee vocali ed il buon ritornello sembra esser buttato con un veloce copia/incolla. Insomma attraverso queste nuove canzoni la band ripercorre tutta la sua discografia qui ce n’è davvero per tutti i gusti in modo che nessuna posso lamentarsi! Per i piùintransigenti c’è anche il classico brano trita ossa dal titolo “Pure American Hate” che fonde echi sia da “Low” che le sferzate brutali del già citato “Demonic” il tutto suonato divinamente bene, e non c’è da stupirsi di questo fatto, non è una novità dato che i componenti dei Testament sono dei professionisti pazzeschi! Arriva con i suoi otto minuti di durata l’epica “Throne of Thornes” e mi incazzo perché è un fottuto capolavoro come solo i Testament sapevano comporre anni addietro: questa canzone è totale e cio’ mi fa deglutire amaramente pensando a quel che poteva essere ed invece non è di nuovo stato. Chiude in maniera egregia il thrash metal classicamente Testament di “Last Day Of Independance” che il vostro recensore rompicoglioni avrebbe preferito ascoltare in apertura dell’album e non certo in chiusura dato che si arriva leggermente provati alla fine. Ragazzi miei: forse pensavate di trovare qui dentro le nuove “Over the Wall”, “Disciples Of The Watch” oppure “The Preacher” o magari “Raging Waters”? Mi sa proprio che non ci sono, mi spiace! Chiaramente, e non potrebbe essere diversamente, il disco è suonato in maniera sublime, dotato di un sound magnifico ad opera del solito Andy Sneap, nonché accompagnato da una delle migliori copertine cha abbia mai visto, ma tutto ciò non basta! “Dark Roots Of The Earth” risulta dopo svariati ascolti poco ispirato, raffazzonato e con una crisi ispirativa profonda, radicata nella pelandronite acuta di alcuni noti elementi della band.
Chi di voi tra un anno si ricorderà una sola canzone contenuta in questo lavoro, cosi come se c’è’ qualcuno in giro che rimembra (senza fare mente locale) un solo episodio da “The Formation Of Damnation” me lo venga a pure dire. Personalmente dalla formazione originale (ok 4/5) mi aspettavo molto, ma molto di più!!! Difatti dalla sospirata reunion non ho ancora avuto il privilegio di ri-ascoltare appieno il potenziale enorme che questa band era in grado di offrire negli anni ottanta, e sono per giunta certo che sarebbero in grado di far ancor meglio oggi. Adesso fate pure come vi pare! Crocefiggetemi, avanti sono pronto”…
Tracklist:
1. Rise Up
2. Native Blood
3. Dark Roots of Earth
4. True American Hate
5. A Day in the Death
6. Cold Embrace
7. Man Kills Mankind
8. Throne of Thorns
9. Last Stand for Independence
Chuck Billy – voce
Alex Skolnick – chitarra
Eric Peterson – chitarra
Greg Christian – basso
Gene Hoglan – batteria
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