Dei Beatles si conosce tutto: vita, morte e miracoli. I segreti dei quattro favolosi ragazzi di Livepool ormai sono stati tutti svelati; le passioni, l’arte, gli umori e la loro unicità  sono dati di fatto e universalmente riconosciuti da tutti al di là  del tempo, dello spazio e della storia. La loro potenza innovativa, la prorompente forza e la loro vigorosa creatività  hanno gettato le basi per un rinnovamento musicale, sociale e culturale che non ha fine e che ha trasformato il modo di concepire l’esperienza di questa forma d’arte immortale.

Ed ecco un nuovo documentario dedicato a John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr intitolato ‘Eight Days a Week – The Touring Years’, diretto da Ron Howard (il Richie Cunningham di ‘Happy Days’, affermato regista di splendidi lavori che hanno lasciato un indelebile segno nella cinematografia moderna quali ‘Cocoon’, ‘A Beautiful Mind’, ‘Il Codice Da Vinci’, ‘Angeli e Demoni’, tanto per citarne alcuni) e, come ben espresso dal titolo, riguardante la prima parte della carriera dei Beatles, precisamente e princialmente la carriera dal vivo dal 1962 al 1996 – anno del definitivo ritiro dalle scene e dai riflettori.

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Un documentario molto intenso e profondo, romantico e commovente. Piùdi due ore suddivise in interviste ai protagonisti e agli ammiratori del tempo (alcuni di loro diventati famosi in seguito come le attrici Sigourney Weaver, catturata in alcune sequenze fra il pubblico rapita come tutti dalle note di Fab Four, e Whoopi Goldberg), con stralci di cocncerti ripuliti e restaurati, con filmati amatoriali rari e inediti, intensi e così carichi di emozioni. Poi le esperienze e i racconti di giornalisti, amici e le testimonianze di Yoko Hono e Olivia Harrison così personali e private.

La storia raccontata dai quattro protagonisti e dalle loro vite, momenti toccanti e salienti raccolti in momenti diversi e documentati dai libri che ora sono parte dell’eredità  del tempo. Un viaggio attraverso gli anni, dalle notti al Cavern Club di Liverpool, dalla storia della loro esistenza dall’immediato dopoguerra tra povertà  e ambizioni, all’esperienza tedesca in cui si guardava al futuro ancora lontano così diverso dal presente, così impegnativo e duro. Dagli estenuanti tour in giro per l’Europa in club e teatri ai concerti americani in stadi affollati e stracolmi di persone scatenate in preda all’sterismo piùtotale. Dai primi giubotti di pelle al ‘cambio d’abito’ (voluto dal loro manager Brian Epstein) che ha sancito la nascita di una nuova espressione generazionale, i teenagers. Un nuovo movimento che da quel momento ha iniziato ad avere una propria dignità  e assetto ben preciso. E i capelli a caschetto? E il naso di Ringo Starr considerato ‘così sexy’ dalle giovani americane durante la prima ‘British Invasion’? E le urla all’ennesima potenza delle solite ragazzine esaltate durante ogni ‘…yeah, yeah, yeah…’ di Paul e George e amplificate durante il vezzoso rapido moviemento della loro testa nel corso dei cori di supporto alle strofe di John?

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Un ricca storia che ha messo in risalto l’incredibile personalità , la simpatia, l’irriverenza e le doti umane e musicali di notevole livello dei quattro ragazzi rimasti tali per sempre. The Beatles, una band capace di cambiare univocamente il modo di concepire la musica, di fare musica e di vivere la musica. E proprio per amore della musica la manifesta volontà  di ritirarsi dalle scene. Sì, per amore della musica. Basta concerti, basta essere rincorsi per strada ed essere braccati come animali da catturare per riuscire ad ottenere un trofeo da esporre, basta essere considerati fenomeno da baraccone e non insieme di musicisti da apprezzare in quanto tali. E allora meglio dedicarsi alla musica in solitudine, riunsirsi insieme in studio e vivere le emozioni come un’unica anima, rendere concreta l’atmosfera e sentirsi liberi di esprimersi totalmente.

Uno splendido racconto che ha messo in evidenza la grandezza di una band formata da quattro personalità  profondamente diverse che insieme hanno saputo essere così uniche e innvoative fino a trasformarsi in fenomeno di massa di proporzioni mondiali grazie al loro nuovo modo di comunicazione e di porsi alla gente senza stravolgere il proprio modo di essere e il proprio modo di concepire la musica.

La conclusione di questo magnifico percorso è affidato a ‘Don’t Let me Down’, eseguito il 30 gennaio del 1969 sul tetto degli uffici newyorkesi della loro casa discografica… momento molto suggestivo, poco prima dell’ufficiale scioglimento della band avvenuto nel 1970.

Una storia bellissima e un documentario da non perdere.

Ma l’esperienza cinematografica del prima mondiale di ‘Eight Days a Week – The Touring Years’ del 15 settembre non si è limitata alla propiezione del film-doc. Prima della visione di questa splendida storia c’è stata la diretta streaming con Londra, collegati con l’Odeon di Leicester Square, e sul tappeto blue abbiamo condiviso la passerella con Paul McCartney e Ringo Starr, Yoko Hono e Olivia Harrison,      Brian Grazer e Ron Howard, Larry Kean e Giles Martin (figlio di George Martin, produttore dei Beatles scomparso nel marzo del 2016) e poi ancora Madonna, Liam Gallagher e tantissimi altri. Insomma anche noi invitati alla premiere di questo avvenimento unico.

E come ciliegina sulla torta, a conclusione di una piacevolissima serata, ecco proiettato il concerto del 15 agosto del 1965 allo Shea Stadium di New York City davanti a piùdi 55 mila persone, concerto restaurato in 4k e rimasterizzato presso i famosi Abbey Road Studios di Londra.

Può bastare?

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