Sabato 15 giugno 2024, è una giornata splendente al parco delle cascine di Firenze e l’atmosfera è già abbastanza elettrizzante per l’attesa del grande ritorno dei Tool su questo palco.
A livello organizzativo, il Firenze Rocks, rimane quello di sempre…al netto delle solite critiche, nel corso di questi anni le proposte musicali sono state molto trasversali, intercettando sicuramente gli appetiti sonori più vari, e anche questa edizione ne da conferma, rimangono comunque alcune lacune nell’organizzazione che fanno un po’ storcere il naso per un evento di questa portata.
dEUS
Nati ad Anversa e partiti con un eclettico sound, si sono immediatamente affermati nel panorama indie-rock, già dagli anni ’90 ed arrivati fino ad oggi con nuovo materiale da portare live, dopo un silenzio compositivo di ben 11 anni.
Ed è proprio con “How To Replace It”, dell’ultimo album omonimo, che inizia lo show dei fiamminghi dEUS.
L’intro di questo profondo brano, scritto da Tom Barman in piena pandemia, inizia con una parte ritmica suonata con i timpani, con cadenza quasi tribale. Sembra che voglia essere “un’adunata”, la chiamata a raccolta del pubblico per partecipare allo show.
Segue “Quatre maines” e la fantastica “The Architect”, pezzo del 2008 con un beat incalzante.
I dEUS proseguono il loro spettacolo “da manuale”, nessuna sbavatura, nessuna pausa, c’è solo spazio per la musica, buona, ottima musica prodotta in 30 anni di carriera, e quindi si continua con “Man of the House”, “W.C.S. (first Draft), la splendida “Instant Street” dal sound elegantemente brit e scivoliamo verso la fine del loro set, una decina di bellissimi brani, fino a “Sud & Soda”.
THE STRUTS
Dopo esserci ripresi dalla catarsi generata dai Deus e la loro rarefatta atmosfera indie, è la volta adesso dei “The Struts”, rock ’n roll band nuda e cruda, con qualche strizzata d’occhio al glam e punk.
Sulle note di “Primadonna Like Me”, il frontman Luke Spiller irrompe letteralmente sul palco. La carica e l’energia sono devastanti e coinvolgenti, in una manciata di secondi il palco era già suo, Spiller si muove da una parte a l’altra, ammicca, saluta, canta (ovviamente), il timbro è tipicamente rock, al tempo stesso graffiante e pulito. Insomma, tutto quello che ci si aspetta da una glam rock band, che nel loro caso spazia anche in contesti anche pop. Niente di nuovo, ma fatto molto bene e presentato ancora meglio.
“Body Talks”, “Fallin’ With Me”, “Too Good at Raising Hell”, i The Struts sembrano un treno in corsa, deciso ad arrivare in stazione sfondando il capolinea. Tutta la band è una macchina in movimento, ma il suo leader catalizza tutta la scena.
C’è spazio per una cover “Jumping Jack Flash”, decisamente in linea con la band, mentre siamo circa a metà della loro performance.
Chiudono con “Could Have Been Me”, pezzo da cantare a squarciagola in quei momenti in cui tutto sembra andarti contro.
TOOL
“L’attesa del piacere è essa stessa il piacere”, a volte può essere così, ma stasera la tensione per l’attesa si tagliava letteralmente col coltello.
Dopo cinque anni i Tool, band culto e avanguardia del progressive rock mondiale, tornano finalmente a calcare il palco del Firenze Rocks chiudendo questa edizione del festival davanti a circa trentamila fan. Alle 21:30 puntuali, le note di “Jambi” vibrano sulla Gibson di Adam Jones, l’attacco è devastante e quando si uniscono anche il basso di Justin Chancellor e la batteria di Danny Carey possiamo sentire l’impatto sonoro dentro il petto: possibile sia stato anche un sussulto del cuore.
La disposizione sul palco è da sempre la stessa, Justin e Adam che fungono da frontman, James e Danny nelle due pedane dietro. Chi segue la band, si è ormai abituata all’atteggiamento radicale di Keenan riguardo le note policy sul divieto di usare il cellulare per le riprese, e già al primo brano lo vedo girarsi di schiena: non so se è da attribuire ad una violazione delle policy da parte di qualcuno, ma sta di fatto che per un minuto ci regala già il lato B.
Fortunatamente, semmai fosse successo qualcosa, sarà ormai la saggezza dei suoi 60 anni da poco compiuti, ma resterà l’unico episodio in cui resterà voltato, tornando a mostrarsi col suo, ormai collaudato abbigliamento total black dove spicca la sua acconciatura mohawk e il suo trucco simile ad un Joker punk.
Sui maxischermi laterali, ovviamente, non sono proiettate immagini live della band, ma immagini caleidoscopiche e ipnotizzanti che ben si adattano alla mistica enigmatica dalla band.
Dopo aver già fatto implodere tutti I 30000, già soltanto con l’esecuzione di Jambi, si passa subito a Fear Inoculum, brano che con la sua atmosfera psichedelica, avvolge tutta l’arena del visarno e viene interrotta soltanto dalla batteria tribale di Danny ed il basso e la chitarra di Justin e Adam che si fondono al groove.
Segue “Pneuma”, col suo intricato andamento, “Intolerance” e la mealinconica “Descending”, manifesto di critica della nostra moderna società. Appena il tempo di riprendere fiato che subito ci propongono ”The Grudge”: finalmente anche un bel pezzo da Lateralus!
La performance come era prevedibile è ad altissimi livelli, Keenan ondeggia dalla sua postazione, la voce potente, sicura, unica, Justin, da sempre il più “scatenato” (per quanto è possibile concedersi suonando a questi livelli), Adam “chirurgico” come sempre alla chitarra mentre da dietro Danny incalza con I suoi poliritmi alla batteria come un plotone di esecuzione.
Noi siamo esterrefatti, attoniti, affascinati dalla bellezza acustica e visiva di un live dove niente è lasciato al caso, ma anche I nostri idoli del prog sembrano essere soddisfatti, tant’è che James Maynard Keenan si sbilancia in un laconico ma ben accetto:
“you are amazing”
C’è spazio per l’ultimo brano pescato dall’album Aenema, si tratta di “Stinkfist”, che chiude quello che dovrebbe essere considerato, oltre che un concerto, un’esperienza sensoriale completa.
Lucilla Sicignano
Setllist:
1. Jambi
2. Fear Inoculum
3. Rosetta Stoned
4. Pneuma
5. Intolerance
6. Descending
7. The Grudge
8. Flood
9. Invincible
10. Stinkfist
Testo di Lucilla Sicignano
Foto di Marco Lambardi
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