2024 – Domino

A ventidue anni da Out Of Season (prima prova quasi in solitaria) ed a diciotto da Third (ultimo aggiornamento sul fronte Portishead), “le vite cresciute troppo” alle quali allude il titolo del nuovo album di Beth Gibbons potrebbero essere proprio le nostre. A forza di vestire i panni del pubblico devoto, siamo evidentemente invecchiati consumando, con frugalità penitenziale, un’attesa tanto fiduciosa quanto sfiancate, ed abbiamo imparato (a nostre spese) che, quando si tratta di coniugare classe ed imprevedibilità delle deadline professionali, quelli di Peter Gabriel e Blue Nile non sono i soli nomi da introdurre nella conversazione.

Se poi è vero che (come ancora ci ricorda Prince, attraverso la voce di Susanna Hoffs) “il tempo passa velocemente quando ti diverti”, possiamo solo augurarci che i dieci anni impiegati ad incidere queste dieci canzoni siano stati davvero spassosi. Con una buona dose di genuina e necessaria ironia, c’è davvero da augurarselo visto che Lives Outgrown travalica, di parecchie migliaia di chilometri, gli usuali uggiosi confini del suono di Bristol, per andare a scoperchiare un vaso di Pandora fatto di taglienti inquietudini balcaniche e mediorientali. I suoi quarantacinque minuti non tentano mai, neanche per puro caso, di sedurre l’ascoltatore con facili lusinghe melodiche ed armoniche. L’intero album è avvolto in una spirale di pathos ancestrale che profuma di spezie arrivate dalle Indie.

L’assenza del basso di Paul Webb (il Rustin Man al quale era cointestato l’album del 2002) è ampiamente compensata dalle prominenti ritmiche di Lee Harris (sodale del primo negli imprescindibili Talk Talk) che si arrampicano lungo i sentieri di un tribalismo ascetico, non distante da quello immaginato dalla batteria di Steve Jansen nell’album dei Rain Tree Crow. Chi ha poi intimità con i lavori (difficili da reperire ma consigliatissimi) degli O.Rang di Harris e Webb, non faticherà a cogliere le affinità con le traiettorie seguite dalla Gibbons. Gli altri standard ai quali ci ha abituato la duttile e solida produzione di James Ford (Pet Shop Boys, Arctic Monkeys, Foals, Haim, Depeche Mode, Jessie Ware) garantiscono la necessaria coesione sonora ad un progetto che respira grazie ad un’immaginazione trasversale, infastidita dalle insidie della banalità.

La chitarra di Adrian Utley scruta la nebbia di un orizzonte plumbeo regalando la speranza/illusione di quel ritorno dei Portishead che potrebbe trovare in Floating On A Moment l’indizio più convincente. Burden Of Life è come una Bang Bang (la celebre hit di Sonny & Cher) riletta da una line up dei Fairport Convention, messa insieme da Scott Walker. Tra le fessure della sua indolenza morriconiana, Lost Changes lascia trasparire una schietta parentela con la melodia di Drive dei R.E.M. che, tuttavia, nulla toglie all’ipnotica seduzione del brano.

Difficile è poi non pensare allo spirito dei Radiohead (periodo Hail To The Thief) mentre gli archi e le percussioni di Reaching Out sublimano la vocazione di Johnny Greenwood per la world music. Affetto e minaccia si mischiano nelle vene di Ocean e quasi sembra di essere naufragati dentro alle trame di una traccia di Laughing Stock (ultimo album di studio dei Talk Talk) il cui spirito decide di spostarsi dall’eden al purgatorio.

Quella offerta da Lives Outgrown è un’esperienza di elevatissima densità antropologica che forse supera, di stretta misura, il fascino onirico ed antico di Out Of Season. La sua è una spettrale liturgia pagana di espiazione lisergica, officiata da un Nick Cave che, lungo la via della seta, attende l’arrivo della stella nera di Bowie, mentre cerca di ricordarsi la tracklist di Swordfishtrombones. 

8.4/10

Tracklist
1 Tell Me Who You Are Today
2 Floating On A Moment
3 Burden Of Life
4 Lost Changes
5 Rewind
6 Reaching Out
7 Oceans
8 For Sale
9 Beyond The Sun
10 Whispering Love

Mucisiti
Beth Gibbons – voce, produzione , mixaggio (tutte le tracce); engineering (tracce 1, 3–10), arrangiamento (3, 8, 9)
James Ford – produzione, mixaggio, engineering (tutte le tracce); arrangiamento (tracce 3, 8)
Lee Harris – engineering, produzione aggiuntiva
Bridget Samuels – arrangiamento (tracce 1, 3)

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