La prima volta in Italia per i Black Stone Cherry è allo Zoe Club di Milano: i quattro ragazzi di Edmonton, Kentucky che hanno al proprio attivo due cd di cui l’ultimo, “Folklore & Superstition” è in vendita nei negozi da qualche mese, hanno proposto il loro Hard Southern Rock ai circa duecento rockers giunti anche da fuori zona (chi scrive, moglie e quattro amici dalla provincia di Torino hehehe) di età  media nel complesso non proprio verdissima, ed a mio parere questo è dovuto al fatto che i Black Stone Cherry seguono i sentieri di un rock di matrice piuttosto classica, seppur piacevolmente personalizzato.

Assenti purtroppo gli Answer, gruppo previsto per l’apertura ma al momento impegnati col tour mondiale degli AC/DC – e scusate se è poco! – i Black Stone Cherry salgono sul palco alle 21 in punto ed attaccano subito con “Rain Wizard”, la potente apertura del primo album, uno dei pezzi piùtosti della loro produzione; subito seguito da “Backwoods Gold” altrettanto spessa e tirata. Segue poi “Blindman”, opener del secondo album, pezzo forse un po’ di minore impatto immediato, come del resto a mio avviso l’intero secondo lavoro rispetto al precedente, ed questo punto devo registrare una curiosa lentezza delle esecuzioni finora proposte rispetto ai lavori in studio, di cui non riesco a trovare una motivazione valida se non forse il timore di non riuscire a coprire l’ora e mezza di durata totale dell’intera esibizione. Si prosegue con “The Ghost of Floyd Collins”, il pezzo che personalmente preferisco tratto da “Folklore & Superstition”, un riff incalzante e complesso che non permette ai presenti di rimanere fermi. A seguire “Hell & High Water”, il singolo del primo cd, e l’entusiasmo del pubblico qui sale alle stelle: è da notare che i presenti, nonostante l’esiguità  del numero, hanno finora espresso un tifo da stadio con cori di incitamento e corna a tutta manetta, ma quei ragazzi sul palco se lo meritano sicuramente. Dopo “Long Sleeves”, “Please Come In”, “Bitter End”, brano di nuovo ben tirato, e “The Key”, è il momento di un pezzo di spettacolo: ecco infatti che la chitarra di Chris Robertson viene messa al collo di un roadie barbuto e bandanato, finora impegnato su una tastiera un po’ in disparte, che prende tranquillamente a suonare la sei corde, mentre il suo utilizzatore abituale va invece a sostituirsi al batterista Jhon Fred Young con manovre opportune per non  interrompere iI ritmo, dopo di che questi va al microfono al centro del palco e parte con un breve assolo di armonica, al termine del quale si torna tutti ai propri strumenti sempre senza interrompere la musica, per l’assolo di chitarra e successivamente di batteria…  Si riprende con “Reverend Wrinkle”, “Lonely Train” e “Peace is Free” song dagli ovvi contenuti pacifisti che ci vengono sottolineati da un pistolotto introduttivo di Robertson. A questo punto ci facciamo una birra (noi, i ragazzi vengono da una ‘dry county’, e sul palco finora ho visto girare solo bottiglie di – sigh – acqua…) e ci avviamo verso la parte finale del concerto; dopo “Violator Girl” e “Shooting Star” ecco un break per fare gli auguri di buon compleanno al tipo addetto alla vendita di magliette e merchandising vario. Chiude la performance “Maybe Someday” seguita infine dalla cover ben eseguita dell’immortale “Voodoo Chile” di Hendrixiana memoria, altro omaggio ai classici, attaccata con Young che suona il basso di Jon Lawhon con le bacchette: qui Robertson si esibisce in numeri resi famosi per l’appunto da Hendrix, addentando le corde della sua Gibson, strisciandola sull’asta del microfono, per poi passare a suonarla dietro la testa, subito imitato da Lawhon con il basso e dall’altro chitarrista Ben Walls, che ha finora svolto un gran lavoro sia dal punto di vista musicale che scenico, saltando come un forsennato fin dalle prime note dell’esibizione e contribuendo ai cori che costellano molti pezzi, cui partecipano sempre tutti i componenti del gruppo che sfoggiano ottime voci di supporto a quella molto notevole e piuttosto potente del frontman. Con gli strumenti dietro la testa i tre formano ora un gruppo di teste, chitarre e braccia con il quale terminano lo show tra l’entusiasmo dei presenti.

In conclusione posso dire che abbiamo assistito ad una performance energica, professionale e coinvolgente, e per i soli 15€ spesi per il biglietto direi che c’è di che ritenersi ben soddisfatti, considerata anche la giovane età  dei Black Stone Cherry (il piùvecchio mi pare abbia 23 anni…), senza dimenticare inoltre che sono già  stati ospiti di Sua Maestà  Zakk Wylde che qualche tempo addietro li ha voluti come apertura dei suoi Black Label Society negli USA, e che hanno anche partecipato agli show live di band come Def Leppard e Whitesnake, direi un curriculum niente male per dei ragazzi di provincia del Kentucky…

Non mi resta dunque che augurare ai Black Stone Cherry il successo che certamente meritano anche nel nostro Paese, ed a noi di poterli rivedere presto sui palchi italiani.

Setllist:
1. Rain Wizard
2. Backwoods Gold
3. Blindman
4. The Ghost of Floyd Collins
5. Hell and High Water
6. Long Sleeves
7. Please Come In
8. Bitter End
9. The Key
10 .Reverend Wrinkle
11. Lonely Train
12. Peace Is Free
13. Violator Girl
14. Shooting Star
15. Maybe Someday
16. Voodoo Chile

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