Spira è aria e terra in musica

Era una mattina di lavoro pesante e noiosa quando ho scoperto che Daniela Pes era appena uscita su tutte le piattaforme con il suo album d’esordio “Spira”, il 14 aprile per Tanca Records. Qualche ufficio stampa su Instagram mi aveva incuriosita a riguardo e quando ho letto che era prodotta da Iosonouncane, all’anagrafe Jacopo Incani, ho deciso che meritava un ascolto. Così ho sfruttato un’ora buca e per 40 minuti ho potuto immergermi in qualcosa che trascende la musica, un sentire viscerale che mi ha rimesso al mondo.

Venerdì scorso 12 maggio ho avuto la possibilità di vivere tutto questo al Covo Club di Bologna. Apre la serata Vieri Cervelli Montel, classe 95, fiorentino, anch’egli prodotto da Iosonouncane, perfettamente in linea con le sonorità evocative e sperimentali dell’esibizione successiva. Suona in trio: chitarra, percussioni e sassofono. Alterna strumentali di una certa complessità, quasi noise, a momenti di silenziosa poetica in cui si apprezza una vocalità delicata e romantica.

Daniela, musicista sarda classe ‘92 dalla formazione jazz, si presenta sul palco assieme a Maria Barucco, in arte Maru, amica e collega che la affianca alla console. Il Covo è sold-out come le precedenti prime due date a Milano. Quando iniziano le prime note di “Ca Mira” ci invade la forza narrativa di un canto antico e solenne. Come una preghiera che tutti conoscono lì al Covo e che molti ripassano ad occhi chiusi in meditazione. Daniela non è solo una cantante preparatissima, dall’importante estensione vocale, ma un’interprete. Ogni parte del suo corpo canta con lei, è talmente credibile che arriviamo a comprendere parole, significati e intenzioni. In Spira ci sono due importanti ricerche, una di stile e una relativa al linguaggio: lo studio che ha portato un folk dai tratti tribali e ancestrali a fondersi perfettamente con l’elettronica e la creazione di una lingua inesistente, fra parole galluresi e suoni inventati.

Da un mesetto ogni volta che riascolto “Spira” mi porta con la mente in un luogo desertico, di notte, dove l’aria è calda e la distanza fra cielo e terra si accorcia. Questa proiezione, forse suggerita anche dall’ immagine in copertina, è frutto dei vari respiri che abitano il disco. Lo spazio è l’elemento imprescindibile in ogni brano. Si osserva infatti un pattern che ricorre più volte in tracce come “Carme” o “Arca”: una linea vocale disegna una melodia iniziale deliziosa e magnetica che si lascia poi morire in un crescendo strumentale. Qui Daniela supera il senso di canzone, di metrica e ci lascia solo sentire sollevandoci in un vento indefinito e ineluttabile.

Lucia Rosso

 

 

Comments are closed.