Nuclear Blast – Ottobre 2012

Bel colpo! Sono felice come un  adolescente perchè in possesso del nuovo lavoro della mia adorata biondina Doroth. Quindi, tutto gaudente mi risento il brano d’apertura che titola anche questo suo diciassettesimo disco: “Raise Your Fist in the Air”. Non è una novità , avevo già  cibato le mie orecchie con i quattro minuti di questo splendido anthem, comparabile, per efficacia, all’arcinota “All We Are”, grazie all’Ep apripista uscito a fine Agosto.

Niente da dire, coglie nel segno e rimane ben stampigliato in mente, a dir poco un must in un eventuale suo ‘Best Of’ come nella scaletta dal vivo. La successiva “Coldheart Lover” è un gran bel pezzo di metal rock, spesso e corposo, accattivante come una birra fresca, d’estate. Incomincio a pensare che quest’album, non solo sarà  meglio del deludente “Fear no Evil” del 2009, ma sarà  un disco importante e basilare con il quale dare inizio ai festeggiamenti per il trentesimo anniversario della sua lunga carriera di professionista del microfono. “Rock till Death” parte subito con il piede giusto e la sua magica timbrica mi delizia con un’interpretazione maiuscola, la pelle mi si accartoccia ed i miei occhi sberluccicano di fronte al muro sonoro che ha saputo creare, così affascinante da sembrare impossibile. Un rientro con i controfiocchi!!!

Ora però inizia la quarta canzone delle tredici (!) che compongono la versione in cd, “It Still Hurts”. Strana? No, quasi assurda!!! Questo lento inizia con una strofa cantata in contemporanea da Doro e LEMMY (!). Sulla carta sembrerebbe come mangiarsi un panino di nutella ed acciughe ma… è credibile, ci sta, successivamente, tranne che nel chorus, si alternano nel loro rispettivo mestiere solo che… messi insieme sono, a dir poco, un’accoppiata bizzarra ed anomala (poi Lemmy non è esattamente famoso per la sua voce suadente ed armoniosa…). Un pelo scioccato mi confronto con la successiva “Take no Prisoner” che, a partire dal titolo, fa capire che qui si dovrà  correre. Infatti, dopo aver udito il suono di una sirena, la song parte decisa, come ai tempi di “Hellbound”, a confermare quella che è la mia idea di sempre è cioè che Doro sia, di gran lunga, migliore su pezzi veloci che non sulle ballad e/o sui lenti d’atmosfera (che tanto le piacciono). La seconda sorpresa giunge con il sesto brano:”Grab the Bull”. Alla chitarra, al posto di Luca Princiotta (per la serie italiani nel mondo…), titolare del posto su questo platter, suona nientepopodimeno che Gus G. (all’anagrafe Kostas Karamitroudis). Per chi non lo sapesse è un ex Mystic Prophecy, Arch Enemy, Firewind e, attualmente, dona il suo operato sulle sei corde ad un certo Ozzy Osbourne… Il pezzo si rivela però un po’ troppo piattino, un midtempo senza alcuna gloria (e senza futura memoria, almeno da parte mia) se non un assolo che è si bellino, ma nulla più. Esperimento fallito ed ospite ricacciato dall’alcolizzato mangiatore di pipistrelli.

Le track “Engel” (peraltro presente nell’Ep) e “Freiheit” possono facilmente essere descritte, purtroppo, insieme. Trattasi di due lenti, entrambi cantati nella sua lingua madre, il secondo con la sua voce distorta da qualche campionatore o diavoleria simile. Credibile la prima, inutile e dannosa la seconda. “Little Headbanger” mi desta dal torpore e si ricomincia ad ascoltare sano heavy metal. Brano dalla struttura classica, con qualche abile stacchetto del drummer. Tre minuti in cui la sua voce graffia come una tigre e tutto fila liscio, come da aspettative. “Revenge” è il titolo della track numero dieci ma è anche quello che grida, furiosa, la biondina di Dusseldorf. La batteria parte a razzo, seguita da un ottimo assolo e dalla ringiovanita timbrica della nostra amata eroina. Moderna nel suono ma assolutamente devastante con la nostra femme fatal sempre sugli scudi ed in prima posizione a sventolare il vessillo del suo heavy metal, mai morto o sopito negli anni. Dal vivo, se deciderà  di suonarla, sarà  un massacro. Mi riporta alla cattiveria di Burning the Witches. Grazie piccola fanciulletta dall’idioma a me incomprensibile, di cuore grazie. Penso che con “Free My Heart” si sia abbattuto un record. La durata è infatti superiore ai cinque minuti, fatto anomalo nelle composizioni della tedeschina. Il brano è un lento introdotto dalle note di un pianoforte in cui la prima ed unica attrice è la sua voce con in sottofondo un rullante (si, proprio come in “Fur Immer”, assolutamente la stessa cosa). Sale l’intensità  e così anche il tono e l’interpretazione. Chiude la struggente parata un assolo di sapiente gusto. La penultima traccia, “Victory” non pensavo proprio di trovarla anche sul cd. Come già  detto, la considero un riempitivo che poteva anche starci sull’Ep ma qui proprio era da evitarsi. Chiude questo nuovo album “Hero”, song dedicata al grande Ronnie James Dio di cui era buona amica. Un po’ stucchevole e molto ripetitiva non aggiunge ne toglie nulla al valore di questo suo valido ritorno in studio.

Un paio di canzoni potevano essere escluse ma tant’è che ci sono, sorvolatele e consumate le altre. Bel colpo scrissi in inizio di recensione. Bel colpo ribadisco in chiusura.

BRANO TOP: Revenge
BRANO FLOP: Victory

www.doromusic.de

Tracklist:
1. Raise Your Fist in the Air
2. Coldhearted Lover
3. Rock Till Death
4. It Still Hurts
5. Take No Prisoner
6. Grab the Bull (Last Man Standing)
7. Engel
8. Freiheit (Human Rights)
9. Little Headbanger (Nackenbrecher)
10. Revenge
11. Free My Heart
12. Victory
13. Hero

Band:
Doro Pesch – voce
Luca Princiotta – chitarra
Bas Maas – chitarra
Nick Douglas – basso
Johnny Dee – batteria

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