“So let the good times rock” gridavano a gran voce i ragazzi di Vasby negli anni ’80…
Piùdi tre decadi di rock’n’roll, milioni di album venduti e Joey, John, Mic, John L. e Ian sfornano il loro decimo album in studio. Una bomba farcita di atmosfere retro, con spruzzate di Rainbow e Whitesnake, sofisticate rifiniture blues molto seventies - il produttore è Dave Cobb, lo stesso dei Rival Sons-  e una solidissima sezione ritmica. Il live di questa sera all’Alcatraz sembra lontano anni luce dal 1978, quando a soli 16 anni un gruppo di ragazzini fans sfegatati degli UFO e dei Thin Lizzy registravano i loro primi demo e suonavano cover rock senza troppe aspettative….eppure l’elettricità e la passione nell’aria sono proprio quelle.
Ed eccoci quindi; dopo ben 70 date in Europa (alla faccia degli animali da palcoscenico) finalmente una delle band leggendarie della storia del rock sbarca in Italia per regalarci una serata da ricordare.
Prima di loro sul palco i Dirty Thrills; i londinesi Louis James (Voce – e che voce!) Jack Fawdry (chitarra) Steve Corrigan (batteria) Aaron Plows (Basso) amano definirsi una “ dirty Blues-Rock music infusion”. La formazione, nata nel 2012, ricalca le orme dei ben noti Queens of the Stone Age, Black Keys e Rival Sons, un album uscito nel 2014 all’attivo e tante speranze ben riposte. Sono giovani, carini e con entusiasmo da vendere, aspettiamo di vedere cosa gli riserverà il futuro, per quanto riguarda stasera, il pubblico ha senza dubbio apprezzato.
Ed eccoci allo show degli Europe, che si apre con la potente “War of Kings”, title track dell’album (qui la recensione) che solleva un boato spontaneo e accende la notte dell’Alcatraz come una bobina di Tesla di accecante rocknroll. Per quanto il suono non sia eccezionale e la voce di Joey risenta in qualche momento del passare degli anni, non ci è concessa tregua con “Hole in My Pocket” (sempre dal nuovo album) che trascina come un tornado e ricorda moltissimo il sound dei leggendari Thin Lizzy. La vera ondata di entusiasmo, però, arriva appena attacca “Superstitious”, e sembra quasi che il pubblico gridi a gran voce “bentornati”, e si muova e canti con Joey che si mangia il palco con un’eleganza da far invidia a una pantera. Arriva poi il classicone da Wings of Tomorrow “Wasted time”, seguito dalla piùrecente “Last Look at Eden”, che ha un intro maestoso, epico, da pelle d’oca.
Ed eccoci al momento amarcord con la mega ballad strappamutande “Carrie”. Di colpo un’ondata di luci blu si solleva sopra le nostre teste, con centinaia di smartphones rivolti al palco per immortalare il momento…Peccato. Lasciatemi dire. Sarebbe bello che qualcuno si decidesse a confiscarli all’ingresso una buona volta, questi fastidiosissimi cellulari, invece di impedirci di portare all’interno dei locali una bottiglia d’acqua col tappo di plastica essenziale per non svenire. Magari che so, in cambio potrebbero distribuire gratuitamente il buonsenso di godersi gli artisti che stanno sudando l’anima e aprendo il loro cuore, mentre voi non gli trasmettete il benché minimo calore. Quei momenti non torneranno, per quante volte premerete play sul video registrato; la pelle d’oca, il battito che accelera, le luci che ti abbagliano, i bassi che ti vibrano nel petto, e la bellezza di veder commuoversi la vostra amica per poi abbracciarla cantando insieme sono sensazioni uniche e irripetibili…tanto per dire.
Menomale che i “ragazzi” ci aiutano ad asciugarci le lacrime e a ricomporci  con” The Second Day” – sempre dal nuovo album- che ha una partenza zeppeliniana per poi sfociare in una melodia super ariosa e dare spazio ad un assolo di Norum che sembra particolarmente in forma e per niente avaro di virtuosismi. Si passa a “Firebox” dal penultimo lavoro e a “ Sign of the Times” che ha un intro da pelle d’oca e suona maestosa come un inno ai bei tempi andati. Joey non manca di ringraziarci per il caloroso bentornato esclamando inaspettatamente “Bella storia!” e dedicandoci “Praise You” e la potentissima “The Beast”. Ecco che le luci si abbassano e tocca all’assolo di chitarra di Mr Norum, per poi deliziarci con “Seventh sign”, lato B del celeberrimo singolo “Prisoners in Paradise” che dal vivo è pura poesia.
Si alza di nuovo il tiro con “Ready or Not” e  “Nothin’ to Ya” prima di lasciar spazio al Drum Solo di Haugland che ci fa divertire e ci coinvolge dando una bella strigliata ad un pubblico non particolarmente reattivo. Menomale che ad incendiare definitivamente il locale ci pensa “Let the Good Times Rock”, uno dei capolavori assoluti di questi svedesi, che non ci lasciano il tempo di sgranchire le corna levate al cielo facendo partire “Rock the Night” come un missile terra aria che solleva finalmente l’entusiasmo incontenibile che mi aspettavo di vedere. Torniamo a respirare con “Days of Rock ‘n’ Roll” sempre dal saccheggiatissimo ultimo lavoro (forse eccessivamente cupo e poco coinvolgente, per quanto di elevatissima caratura) e di colpo le luci si spengono. Ma a chi vogliono darla a bere?
La storia, che forse non tutti sanno, è questa qua: c’era una volta a Stoccolma una discoteca chiamata Galaxy. Prima dell’apertura serale, già nel pomeriggio moltissime persone solevano aspettar fuori per ore di poter entrare, e così i gestori pensarono che sarebbe stato carino fargli ascoltare una canzone strumentale per ingannare il tempo speso in coda. Ci voleva un pezzo speciale, e si pensò di farlo scrivere ad un tale Joey Tempest, che prendendo in prestito le tastiere da Mic creò questo riff che gli piaceva un sacco. Un giorno, nel 1985, il caso vuole che gli Europe si trovassero al Galaxy e la canzone di Joey fosse suonata. Il pezzo piacque molto a John Levén: si trattava di “The Final Countdown”, otto pagine di capolavoro e un assolo di chitarra da panico ispirata, così racconta Tempest, a Space Oddity di David Bowie.
Insomma, il resto è scritto nei libri di storia,  non potevano certo lasciarci senza scatenarci addosso tutta questa potenza di fuoco, e il pubblico ringrazia, che bel modo di salutare.
Stavolta è proprio finita, la band esce di scena con uno strascico di applausi da Prima della Scala, promettendo l’ennesimo ritorno, e  a noi mica dispiace. Verrebbe quasi da inchinarsi ad alcuni dei piùpotenti e rispettati Re della musica di sempre, peccato per la predominanza un  pò sofferta degli ultimi lavori, ci sarebbe piaciuto cantare “Cherokee” o “The Girl from Lebanon” per tornare a sognare. Poco male; in fondo, ai re del rock che cosa gli puoi dire?Che possiate regnare per molti anni a venire. Hail To The Kings, a presto, Bella Storia!
Band:
Joey Tempest ”“ voce solista, chitarre acustiche e ritmiche, tastiere
John Norum ”“chitarre solista e ritmica, cori
John Leven ”“ basso, cori
Mic Michaeli ”“ tastiere, pianoforte, cori, chitarra ritmica
Ian Haugland ”“ batteria, percussioni, coriSetlist:
War of Kings – Hole in My Pocket – Superstitious – Wasted Time – Last Look at Eden ”“ Carrie – The Second Day ”“ Firebox – Sign of the Times - Praise you – The beast- Seventh Sign – Ready or Not – Nothin’ to Ya (new album) – Drum Solo (William Tell Overture) – Let the Good Times Rock – Rock the Night – Days of Rock’n’Roll ”“ Encore: The Final Countdown
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foto: Andrea Donati
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