A cura di Marco Fuzz / Metal Dan
Quest’anno, dopo l’edizione eccezionale dell’anno scorso, che si è svolta su due weekend (7 giorni di festa in tutto), l’Hellfest torna al suo formato classico su un solo weekend, ma per la prima volta su quattro giorni invece di tre (dal 15 al 18 giugno 2023).
Se le aspettative erano alte dopo la scorsa edizione, anche quest’anno il festival non delude sia per quanto riguarda la programmazione, che l’organizzazione. Ancora una volta si è rivelato una grandissima festa per i metalhead che ritornano ogni anno col sorriso, come se fossero a Disneyland.
Per quanto riguarda il sito, anche quest’anno ritroviamo i sei stage a tema: Valley (stoner / blues / desert rock / doom / psych rock), Altar (death metal), Temple (black metal / folk metal / pagan metal), Mainstage 1 e 2 (classic rock/ hard rock / heavy metal / prog / headliner) e Warzone (punk / hardcore).
Pertanto, qualche cambio importante quest’anno c’è stato. Il sito si è infatti ingrandito dietro al remoto stage della Warzone dov’è stata spostata la Valley (prima allestita subito all’entrata a destra del castello)
Al posto della Valley è stato costruito invece un’immenso tempio nero (con architettura d’ispirazione greco-romana) sorvegliato da un demone con occhi rossi, dove ci sono ormai gli stand del merchandising.
Questo cambio è importante perché ha permesso di spostare le code interminabili del merch all’entrata del festival invece di ritrovarsele in mezzo al sito. Ha permesso anche di togliere ogni potenziale fastidio che poteva dare il suono della Valley che alcune volte interferiva con quello del Mainstage 1.
La Valley si trova quindi ormai molto lontana dai Mainstage (ed è una lunga passeggiata tra i due) e all’aperto, invece di essere in un tendone. Su questo punto, non abbiamo trovato che il cambio sia stato una buonissima idea…
Infatti, il nuovo spazio della Valley e più largo ma molto meno lungo del passato, il che rende il posizionamento molto più difficile. Per di più, troviamo che il suono nel tendone fosse più adatto agli stili di musica di questo palco.
Ma soprattutto, numerosi stand del cibo sono stati spostati dietro alla Valley. Questo crea dalle 17h in poi una grandissima folla mista tra gente che ascolta le band e gente che sta semplicemente facendo coda per comprare da mangiare. Questo rende ogni spostamento quasi impossibile attorno alla Valley. Abbiamo trovato questa situazione poco pratica e speriamo che l’anno prossimo l’Hellfest migliori questa cosa.
Ma passiamo adesso alla programmazione in dettaglio!
Code Orange (Giorno 1, Giovedi 16h30, Mainstage 2):
Aprono alle ore 16h30 l’Hellfest i giovani americani Code Orange.
Il quartetto, che aveva annullato la sua presenza al festival all’ultimo minuto l’anno scorso, ha fatto una performance perfetta per riscaldare il pubblico per questi 4 giorni in inferno.
Con il loro punk hardcore a suon di riff di chitarra indiavolati, breakdown pesanti e attitudine da ribelli, sono riusciti a creare l’atmosfera di festa tanto attesa tra il pubblico: pogo, circle pit, wall of death e crowd surfing a non finire…
Certo, l’assenza quasi totale di parti melodiche, salvo le parti di clean vocals della chitarrista Reba Meyers (capace anche di growl agghiaccianti), ci da l’impressione che tutti i pezzi si assomigliano. Infatti, non rimane quasi in mente nessun pezzo alla fine della performance.
Ciononostante, guardare un concerto dei Code Orange senza fare headband è dicesamente impossibile. Cosa chiedere di più per iniziare il festival!
Aephanemer (Giorno 1, Giovedi 17h15, Altar):
Proseguiamo questa prima giornata con un gruppo francese di death metal melodico, gli Aephanemer.
Questo gruppo, sconosciuto dal sottoscritto, si è rivelato una bella sorpresa. Chitarre molto melodiche accompagnate da une batteria potente, ed il carisma della cantante Marion Bascoul, sono una formula molto convincente. Decisamente una bella scoperta!
Imperial Triumphant (Giorno 1, Giovedi 18h00, Temple):
Alle 18h, varcano lo stage del Temple il trio new yorkese dei Imperial Triumphant. Si tratta di un gruppo decisamente originale. Vestiti di lunghe tonache nere e di maschere a corna dorate, riescono sin dall’inizio a creare un ambiente molto lugubre ed oscuro.
Dalle prime note, abbiamo l’impressione che stiamo per assistere ad una cerimonia oscura, che purtroppo dal punto di vista musicale finirà per essere molto poco convincente. Il suono molto poco pulito e la ripetitività di questo neo-black metal non riesce a trasmetterci qualcosa da ricordare.
Generation Sex (Giorno 1, Giovedi 18h45, Mainstage 1):
Per coloro troppo giovani per essere mai stati a vedere un vero concerto dei Sex Pistols, il set dei Generation Sex ha permesso di dare un’idea di quello che poteva essere musicalmente. I Generation Sex sono un supergruppo risultato della fusione tra i Generation X, con Billy Idol (canto) e Tony James (basso), e due dei membri originali dei Sex Pistols: Steve Jones (chitarra) e Paul Cook (batteria).
Logicamente, la setlist è composta essenzialmente da brani dei due gruppi. Si apre quindi con “Ready Steady Go” dei Generation X, ma il pubblico si mostrerà molto più entusiasta sui pezzi dei Sex Pistols come “Pretty Vacant”, “Problems” o “God Save The Queen”.
Decisamente una performance più emozionante per il peso storico che per la realizzazione musicale che, se non è stata deludente, non è neanche stata da manuale.
In Flames (Giorno 1, Giovedi 19h40, Mainstage 2):
Bisogna aspettare gli In Flames con il loro death metal melodico svedese per dare quel colpo di furia al quale l’Hellfest ci ha sempre abituati. Questo colosso del metal non ha fatto compromessi riuscende a proporre una performance perfetta sia dal punto di vista musicale che visivo, e ciò malgrado un palco in pieno sole.
Coscienti del grande successo del loro ultimo album Foregone su 11 pezzi suonati, 3 sono direttamente tratti da questo ultimo album: “The Great Deceiver”, “Foregone Parte 1” e “State Of Slow Decay”. Questi nuovi pezzi live sono decisamente all’altezza di altri monumenti come “I am Above” e “Only For One Week”.
Ci ha rattristito un po’ l’assenza del singolo del nuovo album “Meet Your Maker” che rimane per il sottoscritto une dei più bei pezzi degli in Flames di sempre. Ci siamo però rifatti con “Darker Times” riproposta live dal gruppo per la prima volta dal 2017.
Hollywood Vampires (Giorno 1, Giovedi 20h35, Mainstage 1):
Una delle particolarità dell’Hellfest è quella di riuscire sempre a sconvolgerci facendoci passare da un un monumento metal abbastanza giovane a dei colossi del classic rock in soli 5 min (l’alternanza tra i gruppi dei due Mainstage è in fatti sempre di soli 5 min con rarissimi ritardi!)
Ed è così che dopo i grandissimi In Flames, tocca al solo ed unico Alice Cooper accompagnato dai suoi Vampires tra i quali Joe Perry (chitarrista degli Aerosmith), Tommy Henriksen (chitarrista della Alice Cooper band), Glen Sobel (batterista della Alice Cooper band), Chris Wise (bassista dei The Cult) e Buck Johnson (syhth / piano degli Aerosmith).
Notiamo subito che, malgrado un suono regolato decisamente bene, sia gli strumenti che gli amplificatori sul palco non sono soliti di questo gruppo (mai visto Joe Perry con il minuscolo amplificatore EVH 5150 lbx!). Scopriamo allora tramite lo stesso Alice Cooper che la band è stata costretta ad affittare all’ultimo tutti gli strumenti perchè il loro camion era stato bloccato in Slovenia.
Ciononostante, la band ha proposto come al solito un grande show con classici inni rock “Baba O’Riley” (The Who), “Heroes” (David Bowie) “I’m Eighteen » (Alice Copper), “The Train Kept A-Rollin’” (Tiny Bradshow / Yardbirds) ma sopratutto ci ricorderemo per sempre di aver visto Alice Cooper cantare “Walk This Way” degli Aerosmith, ed è stato fantastico!
Architects (Giorno 1, Giovedi 21h50, Mainstage 2):
E giovedì alle 21h50, quando il sole sta finalmente calando, che si svolge quella che ricorderemo come la performance con il suono più impressionante di questo Hellfest 2023. Contro tutti i nostri pronostici, sono gli Architects ad avere proposto uno spettacolo mostruosamente heavy.
Con i loro giochi di luce, un suono fortissimo ma ben regolato e dei pezzi metalcore sostenuti da basi elettoniche, il gruppo di Brighton (Regno Unito) avrà lasciato il segno su tutto il pubblico in delirio del festival. Persino coloro, come il sottoscritto, che non apprezzano le basi elettroniche, rimangono senza voce.
KISS (Giorno 1, Giovedi 22h55, Mainstage 1):
Per alcuni saranno pure dei dinosauri che avrebbero dovuto smettere di suonare dall’annuncio del loro primo tour d’addio nel 2000… Ma sarebbe stato decisamente un peccato mortale perché i KISS hanno ancora tantissime cose da farci vivere.
Infatti, ancora una volta i colossi del classic rock hanno proposto uno show all’altezza della loro reputazione: canzoni conosciute e cantate da tutti suonate molto bene, spettacoli di luci ipnotizzanti, costumi storici e sputate di sangue da Gene Simmons immancabili… Lo show dei KISS sarà stato come nel 2019 (carrucola in meno) un grandissimo concerto. Chi lo sa, magari sarà veramente l’ultimo che avremo visto! L’unico peccato, è stato un Tommy Thayer (chitarrista solista) un po’ fuori forma (che strano per il membro piu “giovane” della band!).
Parkway Drive (Giorno 1, Venerdi 01H00, Mainstage 2).
Si chiude il primo giorno dell’Hellfest 2023 con i surfisti australiani Parkway Drive. Tanto attesi, questo gruppo di metalcore si è fatto strada negli ultimi anni come uno dei più importanti gruppi del metal moderno.
I Parkway Drive sono stati decisamente all’altezza delle aspettative, salvo per una leggera critica da parte nostra: il suono era un po’ basso in confronto ad Architects o Code Orange… Un grande peccato perché, con un suono a pari volume, avrebbe potuto essere uno dei piu bei concerti metal di sempre.
Un suono pulitissimo, riff di chitarra catchy, un Winson McCall (al canto) in formissima ed un palco con spuntoni, luci, fuoco e fiamme in abbondanza, sono la ricetta di questo spettacolo maestoso. Ad alimentarlo, ci sono ovviamente le potentissime “Dedicated” e “Crushed” assieme ad una bellissima prestazione introduttiva di “Shadow Boxing” con un trio di corde (violino, alto e violoncello) seguita dalla bellissima ballad “Darker Still” la quale, con il trio di corde, si è rivelata un pezzo da pelle d’oca.
Il tutto è stato coronato da un felicissimo Winston che sin dall’inizio non ha smesso di precisare quanto la folla dell’Hellfest fosse impressionante spingendolo persino a cantare “Idols and Achors” in mezzo ad un circle pitt spiegando “Ho detto che questa era la più grande festa del mondo; quindi, ho deciso di venire a godermela anch’io con voi!”.
Un finale per questo primo giorno che ci manda tutti a letto molto felici e impazienti di scoprire i gruppi dei prossimi tre giorni.
Acod (Giorno 2, Venerdi, 12h50 Temple):
Incomiciamo il secondo giorno dell’Hellfest con il gruppo di thrash / black metal francese originario di Marsiglia, gli Acod. Ascoltiamo qualche pezzo di questo gruppo che propone black metal convincente anche se manca quella spinta in più che ci permetterebbe di apprezzare di pù questo gruppo e di rimanere più allungo.
Helm’s Alee (Giorno 2, Venerdi, 12h50 Valley):
Dopo un po di black metal, ci spostiamo nello stesso slot del programma per ascoltare qualche pezzo degli Helm’s Alee, un gruppo di sludge metal che propone esattamente cosa promette il genere, pezzi lunghi con suoni distorti e psichedelici. Ma questo gruppo si distingue per alcune sonorità epiche dei pezzi, il che è poco comune nei gruppi rivali.
Mod Sun (Giorno 2, Venerdi, 12h50 Mainstage 2):
Concludiamo questo slot del programma con il pop-punk del fenomeno americano Mod Sun. Quest’ultimo, che ha fondato il suo progetto solista nel 2011, è riuscito ad approfittare del recente interesse, che suscita di nuovo questo genere con comeback di icone passate, come Avril Lavigne, e recenti artisti come Machine Gun Kelly.
Mod Sun propone una musica ed uno show molto energico e di grande qualità che si rivela molto piacevole in questo festival soleggiato, come una grande festa. È stata una piacevole scoperta.
British Lion (Giorno 2, Venerdi, 13h35 Mainstage 2):
Assistiamo quindi ad un concerto molto poco comune in questi festival con i British Lion. Per chi non lo sapesse, questo gruppo è il sideproject del mitico fondatore degli Iron maiden, Steve Harris (bassista degli Iron Maiden). Dato il programma molto pieno degli Iron Maiden negli ultimi anni, era sempre molto raro incontrare i British Lion al di fuori dell’Inghilterra. Infatti, probabilmente in pochi hanno capito l’importanza di questa band, vista la poca gente presente all’inizio del set.
Per quanto riguarda il progetto, quest’ultimo propone un hard rock di altissima qualità molto più grezzo di quello che sono i Maiden. Certo, dato il ruolo attivo per non dire essenziale di Steve Harris nella scrittura dei pezzi di tutte e due le band, le similitudini si notano.
Per tanto, è stato un bellissimo set e poter vedere il mitico Harris all’opera da così vicino con la sua mano destra a velocità impressionante sul suo basso è stata una cosa magica.
Akiavel (Giorno 2, Venerdi, 12h20 Temple):
Ci spostiamo di nuovo sotto il tendone del Temple. Come sempre, l’annullazione di un gruppo rappresenta una grande opportunità per alcuni gruppi locali di suonare all’Hellfest ad orari molto interessanti. Così è stato per gli Akiavel, un gruppo francese di death metal annunciato fine maggio come rimpiazzo dei 1914.
Gli Akiavel hanno proposto una bellissima performance di death metal aggressivo ma molto melodico. Sono soprattutto le capacità vocali e il carisama della cantante Auré Jäger ad essere fuori dal comune. Quest’ultima è capace sia di scream agghiaccianti che growl profondi gestiti benissimo e sempre perfettamente dosati per i pezzi. Una bellissima scoperta.
Elegant Weapons (Giorno 2, Venerdi 15h05, Mainstage 1):
In pieno pomeriggio, sul Mainstage 1, è ora di sentire un supergroup molto recente.
Si esibiscono gli Elegant Weapons composti da Richie Faulkner alla chitarra (Judas Priest), Dave Rimmer al basso (Uriah Heep), Ronnie Romero al canto (Rainbow/Michael Schenker Band) e Chris Williams alla batteria (Accept).
Per tutti e quattro, non è la prima volta sul palco dell’Hellfest et soprattutto per i grandi Faulkner et Ronnie Romero, presenti tutti e due l’anno prima.
Dall’annuncio recente di questa formazione, il gruppo è rimasto un po’ al di sotto dei radar dei media per una ragione che ci sfugge… Ci stupiamo che il primo album della band Horn for an Halo uscito qualche settimana prima del festival non abbia fatto tanto rumore, pure essendo un capo lavoro per il sottoscritto!
Quest’assenza di attesa per il gruppo si nota dal fatto che il pubblico non è così numeroso davanti allo stage, e riusciamo senza alcuna difficoltà ad arrivare in prima fila.
Ma la quiete sarà breve … dai primi riff precisi annegati in effetto chorus di Faulkner, con la sua magnifica Gibson Flying V pelham blu (ed i suoi costosissimi amplificatori Wizard) e le prime note graffianti di Romero, il pubblico capisce subito che questi musicisti non sono dei dilettanti!
Con una performance perfetta di puro heavy metal tinto di hard rock (un po’ simile ai Judas Preist… che strano vero?!), gli Elegant Weapons hanno risvegliato il pubblico dell’Hellfest dando un’assaggio di quello che sarà il programma del resto della giornata.
Bongripper (Giorno 2, Venerdi 15h50 Valley):
Nel sole cuocente della Valley in pieno pomeriggio infuocato, ci senbra di essere veramente in un ambiente dedicato al desert rock ed allo stoner mentre assistiamo al concerto dei Bongripper.
Pezzi lentissimi, suoni degni di motoseghe giganti e riff di chitarra ripetuti per venti minuti, il tutto accompagnato da una batteria picchiata violentemente su ogni nota dei riff. Insomma, il sottofondo perfetto per fare una passeggiata prima di ritornare alle cose serie…
Skid Row (Giorno 2, Venerdi 16h40 Mainstage 1):
Il gruppo leggendario Skid Row varca il palco del Mainstage 1 con un suono heavy metal pazzesco che ci travolge immediatamente su “Slave to the Grind”. Tutti vestiti con giacche di jeans chiare con backpatch ai colori della band, il gruppo trasmette immediatamente quest’atteggiamento di banda di cattivi ragazzi che sta benissimo con inni tali “The Youth Gone Wild” e “The Gang’s all Here”.
Ci resterà sicuramente impressa la performance della ballad “18 and a life” eseguita benissimo dal cantante Erik Grönwall, che non si dimostra debole nell’ombra di Sebastian Bach.
Motionless in White (Giorno 2, Venerdi 17h30 Mainstage 2):
Tornano sul Mainstage 2, dopo la loro prima presenza nel 2017, i Motionless In White. Il gruppo di metalcore al look gotico di Scranton (Pensylvania, USA) dimostra di essere una band che ha da offrire spettacolo e bei brani accattivanti eseguiti in modo egregio. La performance vocal di Chris Motionless è come sempre molto impressionante ed essenziale a questa band giovane e sottovalutata. Notiamo però che il loro set ci è sembrato meno impressionante del 2017.
Alter Bridge (Giorno 2, Venerdi 18h25 Mainstage 1):
In questo fine pomeriggio al sole, varca il Mainstage 2 un colosso della nuova generazione anni 2000 delle band metal, abituata del festival, parliamo dei mitici Alter Bridge. Da ormai qualche anno, il festival a sempre ospitato almeno una parte di questo gruppo (se non ci fossero stati gli Alter Bridge, avremmo trovato Tremonti, Myles Kennedy o Slash con quest’ultimo).
Quest’anno il set degli Alter Bridge non fa eccezione. Malgrado qualche problema tecnico che impedisce di sentire la chitarra di Mark Tremonti (risolto dopo il primo pezzo mentre lui facevo prova di grande classe senza incavolarsi e facendo finta di suonare lasciando lavorare il suo guitar tech) il concerto non ha smesso di intensificarsi in emozioni e qualità.
Ci ricorderemo probabilmente per sempre quanto è stata bella questa versione live di “Blackbird” che ci ha dato la pelle d’oca fino a farcela quasi staccare durante il doppio assolo di chitarra che, ci piace ricordarlo, si trova al settimo posto dei più bei assoli del XXI secolo secondo la classifica di Total Guitar pubblicata quest’anno.
Papa Roach (Giorno 2, Venerdi 19h20 Mainstage 2):
Mentre fatichiamo a riprendere fiato dopo il set degli Alter Bridge, bastano le prime note di “Getting Away With Murder” par farci trasportare nell’adolescenza dai Papa Roach. La band non ha lasciato nessun indifferente, incitando una folla in delirio davanti all Mainstage 2 mentre suona i suoi più grandi inni “Blood Brothers”, “Dead Cell”, “…To Be Loved” e finendo sull’immancabile “Last Resort”.
Bellissimo il discorso del cantante Jacoby Shaddix sulla depressione e la necessità di chiedere aiuto ed aiutarci a vicenda prima di intonare “Scars”. Insomma, ci sembra impossibile di non amare le perfomance live di questa band ormai leggendaria.
Def Leppard (Giorno 2, Venerdi 20h25 Mainstage 1):
Se ci avessero detto che ci sarebbero piaciuti un casino i Def Leppard, non ci avremmo mai creduto! Siamo andati a questo concerto con il bruttissimo ricordo della loro performance all’Hellfest del 2019. Durante quest’ultima, le difficoltà di voce di Joe Eliott ci avevano lasciato una grande amarezza.
Ma questo giorno… whaou che voce!! Joe sembra rinato e la band ha seguito questo grande slancio dato dal cantante. Suonano benissimo pezzi indimenticabili come “Pour Some Sugar On Me” o “Animals” ma anche nuovi pezzi come “Take What You Want”.
Certo, se non si è fan della band, da un punto di vista oggettivo un concerto dei Def Leppard potrebbe sembrare un po’ lungo e monotono. Ma questo giro c’erano al 100% e bisogna riconoscere la grandezza di questa band.
Triggerfinger (Giorno 2, Venerdi 21h30 Valley):
Scappiamo velocemente dai Mainstage per assistere a qualche pezzo dei Triggerfinger. Questo gruppo belga di blues / stoner è abbastanza unico nel suo genere. Con un cantante chitarrista carismatico che propone riff di chitarra molto sporchi e una sezione ritmica molto pesante e groovy, il gruppo ci invoglia sicuramente a ballare e fare headbanging. Il gruppo propone una miscela musicale che ispira una grande festa non tralasciando breakdown pesanti con suoni fuzz stridenti. Il poco che abbiamo visto ci è piaciuto molto.
Gorgoroth (Giorno 2, Venerdi 21h30 Temple):
Cambiamo molto velocemente ambiente penetrando nella grotta del demone con i Gorgoroth. Il gruppo ha già incominciato a suonare e non si vede niente. C’è nebbia (fumo artificiale) ovunque illuminata da luci rosse e bianche e si sente in lontananza una voce stridente agghiacciante supportata da chitarre velocissime (troppo) distorte.
Avvicinandosi riusciamo a vedere i membri del gruppo con corpspaint, pelle nera e spuntoni ovunque… Se non si ha mai visto un concerto di black metal, questo ne rappresenta sicuramente tutti gli stereotipi (anche se mancavano le teste di maiali impalate…).
Mötley Crüe (Giorno 2, Venerdi 23h15 Mainstage 1):
La critica che segue ci fa tanto male a scriverla perché il sottoscritto adora questa band. Ma la performance dei Crüe se non fosse per lo spettacolo e stata molto triste da vedere…
Quello che si è visto e letto su internet è vero: Vince Neil farebbe meglio di smettere invece di cantare come un gatto ferito, Tommy Lee si dimostra abbastanza stanco alla batteria (e farebbe meglio di smettere di sparare ca**ate) e la band in generale non sembra avere tanta sintonia tra di loro. Salva sicuramente il concerto il grandissimo John 5 che ha saputo riprendere alla grande le parti di chitarra di Mick Mars, buttato fuori dalla band in pieno tour quest’anno.
Sono state sicuramente di cattivo gusto le lamentele di Lee che “non vedeva tette nel pubblico” e la presenza su quasi ogni pezzo di spogliarelliste molto poco vestite, cosa che non ci sembra più adatta dopo gli scandali che hanno investito la scena rock e metal negli ultimi anni e mesi.
Abbiamo di sicuro cantato volentieri i pezzi leggendari come “Dr Feelgood” e “Kickstart My Heart” ma avevamo il cuore in lacrime davanti alla mediocrità della performance di questo colosso della storia del rock.
Sum 41 (Giorno 2, Sabato 00h50 Mainstage 2):
Se siamo rimasti un po depressi dalla performance dei Crue, non c’è da temere, arrivano i Sum 41 a tirarci su!
Inizia la festa ed il viaggio nel tempo con 3 pezzoni, “Motivation”, “The Hell Song” e “Over My Head”. Ci siamo, pronti a saltare, ballare, cantare e gridare come se avessimo 16 anni con questa band che dimostra di meritare tutta la sua fama: grande interazione con il pubblico, grande umiltà, qualità musicale d’eccezione dei musicisti ed energia da fare impallidire tutti i gruppi del festival.
Ci sembra impossibile che dopo il 2024, questa band non suonerà più…
King Buffalo (Giorno 3, Sabato 12h50, Valley):
Apriamo questa giornata del sabato accompagnati da note pesanti ed un lento risveglio alla Valley con lo stoner/psychedelic rock/ desert rock dei King Buffalo, il tutto sorseggiando un bicchiere del freschissimo vino bianco muscadet di produzione propria dell’Hellfest.
Il trio americano ha proposto una performance a suon di riff lenti che alternano tra suoni clean per poi finire generosamente distorti e annegati in effetti, accompagnati da batteria pesante ed il tutto appoggiato da un basso molto presente nel mix.
Come sovente in questo genere, il canto è monotono e piatto… ma si presta bene all’atmosfera dello stile che offre un risveglio non troppo violento per un terzo giorno di festival dove la stanchezza comincia già a farsi sentire.
Grandma’s Ashes (Giorno 3, Sabato 16h00, Valley):
Novità annunciata solo due settimane prima dell’Hellfest, il giovanissimo trio femminile parigino fondato nel 2017 e formato da Eva Hägen (basso / canto), Myriam El Moumni (chitarra) et Edith Séguier (batteria), rimpiazza gli Stoned Jesus nel pomeriggio sul palco della Valley.
Oltre ad una performance di rock progressivo tinto di stoner di grande livello (anche se a volte un po lento e ripetitivo), il gruppo ha colto l’occasione per diffondere un messaggio importante.
Con in messaggi “No abusers on stage / back stage” inscritti dietro agli strumenti e la maglietta della batterista, il gruppo ha voluto sicuramente reagire alle recenti critiche dirette contro il festival per la presenza di musicisti come Johnny Depp, Motley Crue e (l’anno passato i Guerilla Poubelle) e magari anche alle ultime accuse contro Till Lindam (i Rammstein avendo già suonato al festival e essendo forse potenziali headliner per l’anno prossimo).
Il coraggio di queste ragazze merita senza alcun dubbio di essere elogiato oltre alla loro performance.
Arch Enemy (Giorno 3, Sabato 17h45, Mainstage 2):
In questa giornata che per noi si rivela essere finora una delle meno interessanti, gli Arch Enemy sono senza dubbio una delle band che volevamo vedere assolutamente! E come sempre si rivelano all’altezza del loro motto “Pure Fucking Metal”.
Alissa (cantante) non fa compromessi con le sue capacità vocali e anche, per la prima volta per noi, con il suo clean vocals. I musicisti sono dei veri virtuosi e ci compiacciamo del fatto che Jeff Loomis (chitarrista) ha donato al pubblico qualche assolo in più del solito.
Pezzi mostruosi come “War Eternal”, “The Eagle Flies Alone” o “Nemesis” ci ricordano quanto il sound di questa band sia potentissimo! Una cosa ce la chiediamo però, perché una band del genere che è stata persino headline al Wacken, suoni alle 17h45 all Hellfest!? Il potenziale di questa band di sera sarebbe strepitoso. Speriamo che la prossima volta la programmazione preveda la band in uno slot alla sua altezza!
Earthless (Giorno 3, Sabato 19h35, Valley):
Sempre sul palco della Valley, il trio di San Diego di rock psichedelico offre una performance decisamente “psichedelica”…
Con dei pezzi al 90 – 100% strumentali, una batteria impazzita ed una chitarra con assoli di 20 min annegati in echo, riverbero e phaser, ci facciamo indubbiamente trasportare altrove (finche la noia non si fa rivedere!).
Powerwolf (Giorno 3, Sabato 19h55, Mainstage 2):
Di ritorno dalla Valley, riusciamo ad assistere a mezzo set dei Powerwolf. La band tedesca ha decisamente una grande spinta in più in confronto ad altri gruppi di powermetal recenti: pezzi facilmente cantabili, riff di chitarre pesanti e un iconografia molto riconoscibile e ben riuscita.
Lupi mannari, fiamme, zombie e chiese, questo ispirano i Powerwolf che associano universo fantasy a powermetal puro! Pezzi come “Demons Are Girl Best Friends” e “Werewolfs Of Armenia” ci spingono a cantare anche se sentiamo questi pezzi per la prima volta.
Iron Maiden (Giorno 3, Sabato 21h00, Mainstage 1):
Giunge quello che è stato, secondo noi, il più bel concerto del festival… Sembra facile affermare una cosa del genere trattandosi degli Iron Maiden. Ma qualche cosa di magico è successo a questo concerto.
Innanzitutto, in questa turnèe dei Maiden, la setlist prevedeva di suonare molti pezzi degli ultimi album Senjutsu e The Book of Souls. Quindi abbiamo iniziato il concerto quasi delusi da questa cosa. Ma la verità è che anche questi nuovi pezzi sono maestosamente belli dal vivo.
Anche se non li consociamo a memoria, non distogliamo l’attenzione neanche un’attimo dal concerto che non smette, pezzo dopo pezzo, di meravigliarci. Sentire nuovi assoli di chitarra dal magico Dave Murray (Adrian Smith era poco in forma ed ha fatto alcuni errori) è stato meraviglioso.
Che dire inoltre del grandissimo Bruce Dickinson che sembrava così felice di essere all’Hellfest, come un bambino a Disneyland.
Questa bellissima sorpresa dei Maiden arriva ovviamente al suo zenith con “The Trooper” e “Wasted Years”. Ancora una volta, i Maiden non solo non ci hanno deluso, ma ci hanno stupito!
Clutch (Giorno 3, Sabato 23h55, Valley):
Che dire, I Clutch non sono sicuramente headliner del palco dedicato allo stoner per caso!
Il quartetto originario del Maryland (USA) ha saputo come sempre offrire una performance più che convincente, divertente e assolutamente groovy.
Certo, l’energia coinvolgente di Neil Fallon (voce) è sempre in contrasto con l’attitudine molto passiva di Tim Sult (chitarra) e degli altri membri e l’assenza totale di sforzi sull’aspetto scenico della performance (abbiamo sentito dire che sembravano “quattro barboni sul palco”).
Ciò nonostante, la qualità dei pezzi alle note blues e suoni distorti e l’esecuzione sempre impeccabile, lascia solo spazio al sentimento di esserci decisamente divertiti!
L’unico peccato rimane il fatto che la chitarra di Tim Sult era un po’ debole e nascosta dal mix. Da riconoscere invece la performance del bassista Brad Davis (dei Fu Manchu) che ha rimpiazzato Dan Maines un po’ all’ultimo, assente dal tour estivo per motivi famigliari.
Meshuggah (Giorno 3, Domenica 01h00, Altar)
Chiudiamo questo sabato sera in uno dei modi meno pacifici possibili, assistendo sotto il tendone strapieno dell’Altar alla potentissima performance progressive/djent dei Messhugah.
Questo gruppo a nostra conoscenza è l’unico capace di creare un suono così complesso e violento, frutto dello scream profondo di Jens Kidman, le chitarre estreme di Fredrik Thordendal e Mårten Hagström, il basso preciso di Dick Lövgren e la tecnicità unica della batteria impressionante di Tomas Haake. Il tutto si fonde per creare questo sound unico molto “elettronico”, moderno e preciso.
Ogni elemento nella performance dei Messhugah è orientato attorno al ritmo dei pezzi (ritmo decisamente poliritmico!); luci, riff di chitarre, headbang timido dei musicisti immobili; il tutto pare sincronizzato. L’effetto è quasi quello di assistere a mille tamburi che suonano una marcia di guerra con al suo commando Kidman come generale.
Per chi non hai mai visto questo gruppo, l’esperienza vale sicuramente la pena per quanto sia unica e coinvolgente. Certo, un’ora di “marcia di guerra” dei Messhugah può sembrare ripetitiva (specialmente dopo aver cantato per più di due ore i ritornelli dei Maiden).
Ma l’ebrezza di vedere “Demiurge” suonata dal vivo non ha eguali!
Siamo comunque sorpresi dalla scelta del festival di aver programmato questo gruppo svedese alla fama immensa, che ha già suonato sul mainstage, in questo piccolo palco… La scelta è sicuramente discutibile dato la poca gente presente alla mainstage per vedere Carpenter Brut e in compenso la folla ammassata per la performance Messhugah.
Florence Black (Giorno 4, Domenica 11h40, Mainstage 1):
Arriviamo in questo ultimo giorno di festival giusto in tempo per assistere alla fine della performance dei Florence Black.
Il gruppo di hard rock gallese (Regno Unito) ha una grande energia per un gruppo che ha la sfortuna di suonare molto presto l’ultimo giorno di un festival e dopo una notte di pioggia che ha scoraggiato in tanti dall’alzarsi per venire a vedere il gruppo.
Un hard rock moderno molto piacevole con pezzi efficaci, che rimangono in mente come “Zulu” e ” Bird On Chain” (che purtroppo abbiamo sentito in lontananza).
Probabilmente azzardata l’idea di finire con “Sun And Moon”. Un bellissimo pezzo, ma un po’ “debole” per finire una performance secondo noi.
Thundermother (Giorno 4, Domenica 12h15, Mainstage 2):
Sta iniziando a diluviare, e il temporale è vicino. Tra i tuoni finti dell’intro che annuncia le Thundermother, è un vero fulmine seguito da un tuono vero fortissimo che precede le prime note del gruppo 100% femminile. Ci propone un vero hard rock old school tinto da influenze tratte da Motorhead e AC/DC di grande qualità!
Purtroppo, non è abbastanza per spingerci a stare sotto il diluvio e siamo costretti dopo soli due pezzi a rifugiarci all’asciutto!
Evil Invaders (Giorno 4, Domenica 13h35, Altar):
Dopo esserci più o meno asciugati, torniamo sul campo di battaglia ormai infangato per vedere il gruppo di old school thrash metal belga Evil Invaders. Siamo capitati al loro concerto per caso perché fuori diluviava ancora ed il loro palco era all’asciutto (Altar). E il caso ha fatto benissimo le cose! Il gruppo giovane propone un thrash metal che ricorda i primi anni dei Metallica e Slayer dal primo all’ultimo pezzo con canzoni a bpm altissimi, riff di chitarra tecnici, batteria velocissima a falsetto dopo ogni ritornello! Una bellissima scoperta.
Halestorm (Giorno 4, Domenica 15h10, Mainstage 2):
Ci è voluta la metal queen, Lzzy Hale per riportare il sole all’Hellfest e ricaricare 65.000 spettatori, stanchi, infreddoliti e forse un po giù di morale. Per questo, sono bastate le prime urla di questa cantante a cappella, che non ha eguali, introducendo “I Miss the Misery”. Si continua con la vincitrice di Grammy Awards “Love Bites” per poi continuare su pezzi più recenti, ma non meno belli, come “Wicked Ways”, passando per “Back From the Dead” e per finire “The Steeple”.
La performance degli Halestorm è stata fenomenale e invitiamo i lettori a revisionarla sul sito di Arte, perché anche registrata, si può percepire almeno una parte della magia di questo set da manuale.
Dopo gli incredibili Halestorm, tocca agli Hatebreed. Il gruppo del Connecticut (USA) propone un hardcore potente e decisamente di alta qualità in confronto ad altri gruppi che abbiamo potuto sentire.
Per una volta le chitarre (pour sempre con frequenze mezze) si sentono, ed il carisma e la potenza della voce di Jamey Jasta ci porta inevitabilmente a fare headbanging e apprezzare puro hardcore svolto con eccellenza.
Anche per il pubblico che non è grande fan del genere sarà stato molto difficile non apprezzare “Destroy Everything” e “I Will Be Heard”.
Sicuramente Ben Barbaud, fondatore del festival, e grande fan di hardcore, avrà apprezzato molto la performance.
Amon Amarth (Giorno 4, Domenica, 17h45, Mainstage 1):
Cosa c’è di più metal di un gruppo di death metal svedese sul Mainstage1 dell’Hellfest? Sicuramente se il gruppo in questione rappresenta vikinghi, parla della loro cultura e dispone sul palco enormi drakkar gonfiabili e duaelli medievali!
Uno show dei mitici amon Amrth è tutto questo oltre alla musica di altissimo livello, accattivante e che ci invoglia ad urlare “skoll” ad ogni pezzo alzando il nostro bicchiere (o corno) pieno di birra, sopratutto quando la canzone si intitola “Raise your Horns”.
Impossibile non volersi sedere e fare finta di remare du “Put Your Back Into The Oar” o catare a squarciagola “Twilight Of The Thunder God”.
Crisix (Giorno 4, Domecnica 18h40, Mainstage 2):
Ecco una sorpresa dell’ultiissimo minuto. Gli Incubus, per motivi di salute non possono esibirsi. Sembra allora che gli spagnoli dei Crisix siano tra il pubblico per vivere il festival e fare una piccola performance sul mini-palco esclusivo della zona Hellfest Cult (il fanclub ufficiale dell’Hellfest molto esclusivo). Sara la loro fortuna perché Ben Barbaud, il direttore del festival, gli propone di suonare sul Mainstage 2 al posto degli Incubus.
Questa e un’occasione unica per questo giovanissimo gruppo che si è trovato al posto giusto al momento giusto. E sono stati decisamente all’altezza! Thrash metal a profusione tra cover e pezzi originali che hanno spinto la folla del festival in delirio che ha, salvo fan sfegatati, dimenticato che dovevano suobare gli Incubus.
Tenacious D (Giorno 4, Domenica 19h45, Mainstage 1):
La presenza dei Tenacious D è sicuramente vissuta un po’ come una parentesi in questo festival perché oltre alla musica è quasi come vedere uno spettacolo comico con il grande Jack Black (attore e musicista). Burle a palate e messe in scena per introdurre i pezzi comme la finta bisticcia tra Jack e Kyle prime di suonare “Kyle Quit The Band”.
È stato bellissimo il momento in cui tutti il festival ha cantanto “Tribute” assieme al gruppo e dimostra quanto oltre alla musica la comunità metal si ritrovi attorno a film, simboli e icone comuni.
Pantera (Giorno 4, Domenica 21h00, Mainstage 2):
Giunge quello che per molti è sicuramente il momento più atteso, il ritorno (in parte) di una band mitica dopo la morte dei suoi membri più emblematici in quella che sarà una festa del metal.
Sto parlando dei grandissimi Pantera con i membri originali Phil Anselmo (Canto) e Rex Brawn (Basso) ed i rinforzi Charlie Benante degli Anthrax (Batteria) ed il solo ed unico Zakk Wylde alla chitarra (Black Label Society).
Il suono di questi Pantera è pesante, anzi pesantissimo, forse il più pesante del festival che travolge il tutto come un rullo compressore. La voce di Phill non sembra invecchiata di un giorno da Cowboys from Hell, il basso di Rex fa tremare tutte le strutture del festival, la batteria di Benante rende più che omaggio a Vinnie Paul ed il grande Zakk suona ogni nota come se la stessa dedicando all’amico scomparso Dimebag.
Sono i Pantera o non sono i Pantera? Questo dibattito non ha importanza tanto questa formazione è si avvicina il più possibile a quello che potranno mai essere i Pantera senza Vinnie e Dimebag e che si impegna ad ogni pezzo a rendere omaggio ai due fratelli.
Mettiamola così, è un pretesto, sia per il pubblico che per i musicisti, per rendere omaggio a quello che, avrebbe potuto diventare, dopo i Metallica, la più grande metal band mai esistita. E questo pretesto, e stato all’Hellfest più che all’altezza delle aspettative lasciadoci sbalorditi e senza parole.
Slipknot (Giorno 4, Domenica 23h00, Mainstage 2):
Chiudiamo questa edizione dell’Hellfest in bellezza con le ormai icone Slipknot. Come sempre, son stati a dir poco spettacolari con uno spettacolo di luci strabigliante, un Corey Taylor (canto) impeccabile ed una performance di altissimo livello.
Le uniche critiche che potremmo fare riguardano magari la qualità del suono perché le chitarre erano un po’ nascoste nel mix e l’assenza dalla setlist di “Before I Forget” il che ci ha lasciato un po perplessi.
Insomma, ancora una volta l’Hellfest è stato una festa metal senza rivali. Ogni volta si misura quanto sia il pubblico che gli artisti siano affezionati a questo festival. Sarà per la programmazione, sarà per l’organizzazione, ma ogni anno il festival ci da l’impressione di essere un festival creato per essere il festival perfetto! Anche quest’anno lo è stato, e speriamo di tutto cuore di esserci anche l’anno prossimo.
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