È finalmente estate! Stagione di gran caldo, gran sole, gran voglia di ferie ma soprattutto di grandi festival metal! Già dai primi mesi dell’anno si inizia a pensare a quali andare in base alle line up, al luogo e ai servizi che vengono offerti, e si passa la primavera ad organizzarsi tra amici per rendere tutto indimenticabile. Quest’anno, come anche gli anni addietro, la nostra scelta è ricaduta nuovamente sul Metaldays, considerato da sempre una garanzia per qualità musicale e per luogo in cui si svolge. Scegliendo di proseguire la “tradizione” abbiamo in realtà scelto anche di compiere un enorme salto nel vuoto: infatti, successivamente alla costruzione di una superstrada esattamente al centro della valle dove si svolgeva l’evento, il festival è stato costretto a migrare a est di Lubiana, spostandosi nell’entroterra sloveno fino alla cittadina industriale di Velenje, con tutto ciò che uno spostamento tale può comportare in termini di riorganizzazione di un festival nato e cresciuto in un luogo al quale tutti erano molto affezionati e dove l’organizzazione ha sempre funzionato giocando molto sulla stabilità e conoscenza del posto, raggiunta nel tempo e sfruttata al meglio possibile… Dopo 18 anni passati nel cuore delle Alpi Giulie, tra boschi, gole rocciose e le acque splendide del fiume Soca, il Metaldays ha quindi dovuto dire addio a Tolmin, nella tristezza generale…
Nonostante il timore di sentirci un po’ meno a “casa”, abbiamo comunque scelto di dare una possibilità alla nuova location, che dalle foto non pare niente male: un campeggio sul lago con un ampio parco per piantare le tende ed una bella e moderna area destinata ai palchi.
Siamo pronti. Finito (finalmente) di lavorare e caricata l’auto partiamo per questa nuova avventura nel cuore della Slovenia.

La location
Arriviamo a Velenje sabato sera, sfruttando la possibilità dell’“early arrival” al camping per ambientarci un paio di giorni prima dell’inizio dei concerti. La strada per arrivare al lago costeggia un’enorme fabbrica, il quale impatto visivo è a tratti abbastanza inquietante… Ci avvolge quasi subito uno strano e denso odore proveniente da essa che ricorda le verdure cotte, battezzato da subito “il cavolo”. Un po’ straniti seguiamo i cartelli del festival posti lungo la via e finalmente giungiamo al parcheggio del campeggio. Lo staff all’ingresso è molto cordiale e disponibile e addirittura ci permettono di portare l’auto dentro al campeggio senza pagare, per raggiungere gli amici, scaricare i bagagli e montare la tenda, con la promessa di riportarla fuori il giorno dopo. Montata la tenda e aperta una birra facciamo subito un giro per vedere il posto e la prima reazione è unanimemente “WOW”.

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Un campeggio in riva al lago, con una vista splendida sulle montagne, una spiaggetta di sassi alla base di un prato curato e verdissimo, sul quale sono posti tendoni per fare ombra ai bagnanti; il campeggio ha bungalow in legno, tende pre-montate, bagni e docce calde in muratura perfettamente tenuti. Il bar in riva al lago è perfetto per rilassarsi e hanno allestito il “Beach stage” proprio sotto al tendone del locale, dove si esibiranno gruppi dal primo pomeriggio fino all’inizio dei concerti nella main area e dalla fine di essi fino alle due di notte. È stato anche predisposto un minimarket interno al festival con beni di prima necessità e prodotti vari. Insomma, molto diverso dal precedente sito! Tutto è confortevole ed estremamente comodo.
Se proprio devo trovare una “pecca” sul posto, l’unica cosa che si può dire è che l’area camping per i gruppi è quasi completamente al sole, con pochi alberi e punti d’ombra che chi ha sfruttato l’early arrival si è accaparrato in fretta!

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GIORNO 1 –
Dopo la domenica passata a goderci le meritate ferie, tra relax e feste improvvisate nel campeggio, e in cui il cielo velato ci ha regalato una temperatura davvero perfetta per tutto il giorno, finalmente è arrivato lunedì! Giorno uno, siamo pronti.
Il cielo oggi è più nuvoloso ma per tutto il mattino regge abbastanza bene; nel primo pomeriggio qualche goccia scende, ma per fortuna smette quasi subito e rinfresca l’aria. L’area concerti non è ancora aperta al pubblico ma intanto ci si può godere i concerti che si tengono al Beach Stage, dove suonano gruppi emergenti. Purtroppo sono concerti abbastanza brevi e molto rapidi, durano infatti neanche una ventina di minuti l’uno… E dico purtroppo in quanto, a mio modesto parere, un tempo così breve riduce la possibilità di apprezzare a pieno il lavoro di chi si esibisce: sempre a mio modestissimo parere, si poteva optare per chiamare meno gruppi e dare la possibilità a quelli convocati di farsi conoscere per bene, con una performance di durata maggiore e con repertorio più ampio.
Dopo aver ascoltato al Beach il graffiato e piacevolissimo death melodico degli svizzeri Peace Is Just a Break, ci avviciniamo al Main Stage B dove stanno iniziando a suonare le Nervosa, grintosissime trash metaller capitanate dalla potentissima Prika Amaral, che conquista subito la scena e tutto il pubblico con un growl graffiante e corrosivo, che si lega in maniera decisa ai riff e agli assoli della seconda chitarra. Appassionate, potenti, sono fuoco sul palco! Un ottimo inizio!

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Ci spostiamo rapidamente al Main Stage A per proseguire su una linea tutta al femminile con le Venus 5. Progetto molto intrigante che unisce cinque vocalist provenienti da paesi e da generi musicali tutti diversi; ciò si riflette molto nella loro musica e dona ad ogni traccia un carattere proprio, fondendo insieme vari generi (dal metal più classico, al melodico, al rock con influenze pop) in maniera molto interessante e molto apprezzabile.

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Si corre nuovamente al Main B (non c’è pausa!) per assistere agli spagnoli Noctem. Si cambia scena e si cambia genere… Con blast beat alla velocità della luce, scream che gela il sangue e chitarre sporche e adrenaliniche, con questa band si percepisce tutta l’aggressività e la rabbia che intendono trasmettere. Un black metal fatto davvero molto bene, che riesce a coinvolge pienamente il pubblico nella sua grezza e malsana furia.
Ci prendiamo una breve pausa ristoro e successivamente ci dirigiamo al Fusion stage, piccolo palco allestito sotto ad un tendone nella stessa area dei Main Stages. E qui notiamo una cosa abbastanza spiacevole… Sui palchi A e B le band suonano alternate e tra loro non vi è mai disturbo, è anzi molto comodo spostarsi da uno stage all’altro essendo praticamente paralleli e nello stesso luogo. Nel tendone del Fusion invece i gruppi suonano a breve distanza l’uno dall’altro, sovrapponendosi alle band dei Main A e B. Nulla di strano direte, se non fosse che appena varcate le transenne dell’area concerti si è investiti da una cacofonia di suoni indistinti: la musica dei palchi principali e quella proveniente dal Fusion si sovrappongono, rendendo l’ascolto dei concerti dentro il tendone e dalle retrovie sia di uno che degli altri palchi molto fastidioso… Ne è un esempio il concerto al Fusion dei nostrani Messa, gruppo doom di incredibile bravura, con la voce estremamente evocativa di Sara che letteralmente rapisce e incanta, accompagnata e sostenuta da suoni pesanti, oscuri e da musiche sperimentali ed a tratti ambient.

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Al di là dei volumi inizialmente errati dove la voce risultava quasi inesistente, dopo aver regolato meglio il tutto sarebbe stato un concerto davvero molto coinvolgente e con un’atmosfera particolarmente e volutamente greve e pesante, se non fosse stato abbastanza difficile godersi appieno questa performance a “causa” dei Biohazard che si esibivano al Main A… Tutte le parti con suoni bassi e melodie pesanti ed anche i solo di voce vengono brutalmente sovrastati dalla musica esterna, rendendo impossibile un ascolto completo e un apprezzamento completo anche a livello più emotivo e riflessivo.

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Molto bravi, al contempo, i Biohazard, aggressivi e coinvolgenti, si confermano ancora validissimi ambasciatori dell’hardcore metal. La rabbia c’è, si sente e quasi si tocca! La batteria è cattivissima, le chitarre violentissime e tra pezzi vecchi e nuovi il pubblico poga, si scatena e si spintona mentre canta insieme a Billy Graziadei ed Evan Seinfeld, che sul palco si dimenticano dell’età che avanza e non si fermano un attimo! Per nulla il mio genere, ma li ho apprezzati veramente tanto.

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Sono già le 20:25, ma non possiamo allontanarci, non adesso che stanno iniziando al Main B gli Equilibrium. Band tedesca nata come buon esponente del folk metal, ha sempre combinato elementi di musica folk e pagan a sprazzi di power e melodic, ed ultimamente ha aggiunto agli ultimi lavori anche influenze attinte dall’industrial, sempre però mantenendo un classico elemento portante del gruppo: le tastiere. Chitarre e batteria viaggiano veloci, il basso sostiene bene le tastiere e l’impatto strumentale con la voce ha un buon effetto. Un buon concerto, ben fatto e molto apprezzato da tutto il pubblico.

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È ora il turno, molto atteso, dei tedeschi Kreator, primi esponenti del trash metal alla tedesca che con un allestimento del palco abbastanza tamarro tra diavoli giganteschi e figure impalate ai lati della batteria prendono possesso della scena in maniera prorompente e da subito coinvolgente! Piacevolissime le ritmiche frenetiche e incalzanti e gli assoli lanciati a velocità assurde. La voce grezza e tagliente è inconfondibile e mette carica, Miland “Mille” Petrozza incita più volte a gran voce il pubblico al circle pit e la gente inizia a correre vorticosa! Sulle note della tagliente Pleasure to Kill ho visto gente quasi piangere; con Satan Is Real ho visto molti storcere il naso, forse per il carattere troppo catchy e ruffiano, secondo alcuni pareri proveniente da un album (Gods of Violence – 2017) creato con l’obbiettivo di ampliare e ringiovanire un po’ il pubblico… Lo show ha un impatto visivo notevole, tra giochi di luci stroboscopiche e lingue di fuoco sul palco, scoppi e lanci di lunghi coriandoli; tutti si divertono, e un’ora passa purtroppo alla svelta. Il tempo è terminato, e i Kreator si congedano regalando al pubblico una perfetta esecuzione di Violent Revolution, sulle quali note tutti si scatenano, cantano, pogano, applaudono!

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Pausa, breve ma necessaria, per riprendersi un attimo e prepararsi agli headliner della prima serata del Metaldays. Protagonisti di oggi sono i Carcass, britannici precursori del melodic death metal capitanati dall’inossidabile Jeff Walker, che nonostante siano passati trentasei anni dal primo album della band, sembra non subire affatto lo scorrere del tempo e si presenta sul palco con una voce impressionante ed una presenza che non ha bisogno di fronzoli o allestimenti; il palco è infatti molto semplice, solo loro e un telo sullo sfondo con una cassa toracica a forma di cuore per metà composta di ossa e per metà di utensili di vario genere. Non serve altro, la qualità parla da sola. Si comincia con Walker al centro del palco, il basso levato in aria, prima nota di attacco… ed è subito un boato del pubblico su Incarnated Solvent Abuse! E da lì il delirio: nonostante un pessimo suono iniziale corretto in corso d’opera, sono inarrestabili e divorano la scena una nota dopo l’altra. Grandi classici vengono portati sul palco, come Buried Dreams, Corporal Jigsore Quandary e passando dall’eterno, intramontabile capolavoro quale è Heartwork. Senza perdere nemmeno un secondo il pubblico si scatena in un pogo frenetico e senza sosta durante tutta la loro esibizione. Chitarre aggressive e rapide nei riff; batteria veloce, incessante e martellante, Daniel Wilding è una macchina da guerra; il basso di Jeff è un’arma affilata di precisione quasi chirurgica. Dei veri professionisti, visibilmente appassionati e perfettamente formati, ormai talmente esperti del genere che è impossibile trovare pecche nelle loro performance, rendendo ogni concerto una vera e propria garanzia di qualità musicale ed esecutiva. Suonano senza sosta per un’ora, ma il tempo volge purtroppo al termine… Sul finale il pubblico richiede a gran voce un altro pezzo, l’ultimo, perché un’ora non è sufficiente e vorremmo sentirli ancora e ancora suonare… Jeff sorride e si rivolge al tecnico alla sinistra del palco presumibilmente chiedendo se ci fosse lo spazio per l’acclamata ultima canzone, ma all’improvviso il chitarrista Steer, visibilmente infuriato, si dirige verso il tecnico sfilandosi la tracolla, lascia lo strumento e scende dal palco senza proferire parola, smorzando tutto l’entusiasmo nonostante il probabile via libera ricevuto… Anche Jeff è confuso, si scusa al microfono e la band lascia il palco tra lo stupore dei presenti. Nessuno sa cosa sia accaduto…
La prima giornata volge così al termine, ma prima di ritirarci nelle tende usiamo le ultime forze rimaste per assistere all’ultima band emergente che suona al Beach Stage, concedendoci anche un ultimo drink. Conosciamo così gli Element, band vicentina che delizia il nostro fine serata con del buon trash metal con influenze groove: suoni grezzi e riff accattivanti che fanno muovere e divertire una buona parte di pubblico che ancora non ha sonno! Peccato suonino anche loro solo una ventina di minuti, e che siano costretti a lasciare il posto ad un dj set abbastanza deludente…

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