SILENCE IS SPOKEN è una band toscana di indubbio valore. Ho il piacere di fare una chiacchierata con Samuele Camiciottoli, voce e Alessandro Curradi, basso, piano synth etc con i quali cerco di approfondire tutto ciò che sta dietro al loro nuovo album ‘11‘. Si denota una profilo prodilo personale, culturale e artistico di profondo spessore…

 

Ragazzi benvenuti su longliverocknroll.it, è un piacere poter chiacchierare con voi…

Grazie a voi per l’invito, è un grande piacere poter rispondere alle vostre domande.

Prima di introdurre ai nostri lettori il vostro terzo e nuovo album vorrei subito chiedere di voi. I SILENCE IS SPOKEN sono nati nel Regno Unito e di base a Firenze… mi spiegate un po’? Dopo che la band si è formata siete rientrati in Italia? È così? E visto che tutti da giovani sognavamo di trasferirci nel Regno Unito, terra di rock voi ci siete stati e siete rientrati? (sono superficiale lo so)

Alessandro – La storia dei Silence è piuttosto variegata. Posso dirti che il fatto che il nostro primo cantante fosse inglese e che Lorenzo, il nostro batterista, abbia passato più di dieci anni nel Regno Unito ha fatto sì che la prima line-up dei Silence fosse un mix tra residenti in Italia e londinesi più o meno “acquisiti”. Questo ci ha portato a lavorare al progetto sia nel nostro paese che, appunto, in Inghilterra dove per diversi anni abbiamo, di fatto, fissato la nostra seconda sede. Molti di noi membri della band abbiamo passato un bel po’ di tempo nel Regno Unito: Lorenzo, come già detto, ci ha vissuto per circa diversi anni ed io stesso, in particolare negli anni ’90, ovvero nel periodo in cui abbiamo vissuto l’esplosione del cross-over e del grunge, ho avuto la possibilità di vivere Londra a più riprese.

Sono stati anni pazzeschi, essere nel cuore del Regno Unito significava trovarsi in pieno epicentro di quel terremoto che avrebbe cambiato la storia della musica. Sono stati giorni bellissimi, sia a livello personale che a livello di band, quasi difficili da descrivere se non si è almeno un po’ assorbito quell’energia esplosiva degli anni 90. Abbiamo avuto la fortuna di tenere anche numerosi live, soprattutto a Londra, nel periodo 2006-2010. Dal 2011 le cose sono un po’ cambiate e, con la dipartita del nostro primo cantante, abbiamo riportato la base a Firenze da dove continuiamo a portare avanti, con sempre più entusiasmo, il progetto Silence.

…e che differenze trovate tra la nostra penisola e al di là del canale?

Alessandro – Cercherò di essere sintetico e chiaro: è la stessa differenza che c’è tra la musica dei Sabbath e quella dei Maneskin!

Ma veniamo a “11”. È un album profondo concettualizzato su un filo comune che riguarda una serie di aspetti molto intimi quali umanità, coscienza e crescita spirituale. Non male. Da dove nasce l’idea di questa tipologia di sviluppo?

Samuele – Diciamo che l’idea non è stata premeditata, ma si è formata in modo naturale durante la scrittura dei testi. Abbiamo notato che, nonostante le canzoni potessero trattare di argomenti diversi, si era comunque creato un filo conduttore che teneva tutto insieme. È stato a quel punto che abbiamo sviluppato il concetto della dualità della narrazione che si ritrova in ogni brano, esistono sempre due voci narranti, una rappresenta la nostra parte cosciente ed una la parte inconscia.

…ma mi chiedo perché 11?

Samuele – L’11 ha molteplici significati sia sul piano matematico che sul piano esoterico. Quello che più rappresenta l’album secondo noi è il significato dell’11 in quanto “primo numero maestro” e rappresenta il concetto di “una grande forza applicata per un grande cambiamento”.

In questo senso, riprendendo le risposte precedente, uno degli sforzi più grandi che possiamo fare come esseri umani è quello di concederci la possibilità di esplorare la nostra intimità mettendosi in dubbio, ascoltare le varie voci dentro di noi e cercare di capirle.

…non prendetevela, non sono fissato su numeri e date, ma 1984?

Samuele – Tranquillo con noi sfondi una porta più che aperta con i numeri.
Partirei parlando di 1984 che, come avrai notato, durante il testo riporta delle chiare citazioni dell’omonimo capolavoro di Orwell scritto quasi 80 anni fa. Il brano parla di quello strano meccanismo secondo il quale gli esseri umani, intesi all’interno di una società più o meno organizzata, ad un certo punto della propria storia tendono a darsi un nome di gruppo, un’etichetta, un simbolo ecc. Da qual punto in poi ogni cosa provenga dall’esterno di quel contesto viene automaticamente vista prima con sospetto poi come minaccia. Molte volte “la creazione di un nemico” sembra rendersi necessaria per mantenere unito il gruppo di partenza, per rafforzarne l’appartenenza o per non disperdere il consenso di un Elite. Questa cosa la si può notare nella vita di tutti i giorni e la si ritrova costantemente nella storia. La cosa più singolare è che attualmente, vivendo in una società dinamica e sottoposta ad una sovrainformazione, questo meccanismo sta diventando cangiante tanto che si fa fatica a riconoscerlo per cercare di evitarlo, si rischia che ti si insinui sottopelle e che tu lo riconosca solo dopo averlo assecondato per molto tempo. Qui due parti della personalità si scontrano durante il processo di accettazione dell’essere stato una parte inconsapevole dell’ingranaggio ed abbiamo cercato di far emergere il sentimento di rabbia nell’ammissione ed il grande sforzo nell’accettazione.

Per quanto riguarda invece la figura di Dio, ci fa piacere che tu abbia notato il dualismo presente nel disco in fase di apertura ed in fase di chiusura. Come dici anche tu, i due brani sembrano in antitesi, il Dio buono ed il Dio vendicativo. In realtà il significato che attribuiamo ai due brani risiede nella “necessità” dell’essere umano di crearsi questa figura, un dio, un qualcosa verso il quale indirizzare la propria venerazione e verso il quale puntare il dito per le proprie sciagure, che sia Dio, il lavoro, il denaro, il successo ecc. Questo viene espresso in “A good God”, la venerazione di un “Dio buono” che ti porta a spargere sangue, perdere amici, sprecare preghiere mentre una parte di te cerca di farti comprendere che sei stato manipolato da te stesso per una lotta che ti sei autoimposto. Si apre il disco quindi puntando la luce sulla determinazione umana nel crearsi disagio in modi fantasiosi attribuendone allo stesso tempo la colpa ad una figura indefinita.

La chiusura dell’album con Genesis 19_24 invece vuole essere un chiaro rimando al racconto biblico della distruzione di Sodoma e Gomorra, come se quell’intuizione riguardante quel “Dio buono” citato in apertura noi come esseri umani l’avessimo già vissuta, capita ed elaborata ma dimenticata a causa del tempo ritrovandoci a viverla ancora ed ancora in un loop dal quale si può uscire soltanto attraverso il significato dell’11, applicando una grande forza per un grande cambiamento.

Ho ben presente Orwell avendo letto il romanzo e visto il film nell’84 appunto e ricordavo il verso della Genesi. Quindi la profondità è presente anche nelle linee musicali e sonore che di pari passo si adattano al senso delle liriche e anche viceversa. Com’è nato quest’album in studio, insieme, uno sviluppo in comune…

Alessandro – Questo ultimo album ha avuto un processo di lavorazione estremamente lungo. Infatti, il precedente è datato 2012, siamo stati quasi più lenti dei Tool! I brani nascono, come sempre, dalla parte musicale, in particolare da quella ritmica con riff di basso e pattern di batteria su cui poi si appoggia tutta la struttura delle chitarre, dei synth e infine delle voci. È incredibile, per certi aspetti, come sia stato possibile arrivare in fondo: nel mezzo ci sono stati vari cambi di line-up, lockdown, situazioni personali che hanno reso il lavoro piuttosto contorto. Credo che la profondità del cantato e quella sorta di disperazione che emerge dalla voce di Samuele sia stata sicuramente innescata da sonorità molto notturne e introspettive che di fatto fanno vibrare le corde della nostra parte scura. Ma in questo disco c’è tanto spazio anche per la parte luminosa dell’essere umano e mi riferisco sia alle lyrics che alla parte sonora.

Il disco si chiude infatti, e non a caso, con una melodia malinconica ma colma di speranza se vuoi, e quei suoni finali, così rarefatti, ci accompagnano verso l’uscita da un tunnel necessario dove ciascuno di noi incontra la propria parte più intima e nascosta. Da questo punto di vista sento di poter affermare che il cantato e la parte musicale siano un tutt’uno di cui si deve assolutamente tenere conto per comprendere appieno l’essenza dell’album. La cosa buona è che ci sentiamo
particolarmente soddisfatti di quello che è venuto fuori e che è riuscito totalmente a rappresentare la band sia sotto l’aspetto dei contenuti (in particolare quindi le lyrics di Samuele) che sotto quello musicale. Il sound, infatti, è 100% Silence!

La parte musicale molto sofferenza ha una netta e forte influenza da sonorità e passaggi tipici del grunge, so che non è solo questo sia chiaro, ma la sua forte presenza è facilmente identificabile e poi è uno stile molto adatto ad esprimere inquietudine e disagio, ma anche crescita interiore. siete d’accordo?

Alessandro – Sono assolutamente d’accordo con la tua analisi. Se ci pensi bene, la crescita interiore, se autentica, non può prescindere da una fase di grande sofferenza e dolore che poi, secondo ciò che scegliamo di fare, può diventare accettazione e forza. Il grunge ci ha insegnato anche questo, non solo nelle canzoni che sono state prodotte ma anche nelle vite, viste da fuori anche tragiche, di coloro che le hanno create.

Ma quanto il grunge può considerarsi attuale al giorno d’oggi, parlo di sonorità non della parte lirica. Non credete che questo fenomeno artistico sia già stato spremuto fino all’ultimo goccio?

Alessandro – Sì, può darsi. Ma vedi, la buona musica non ha mai una fine, rivive sempre in qualcosa di nuovo che nasce. In fondo in ogni band e in ogni lavoro, rivivono in qualche modo frammenti di tutti i grandi musicisti che sono venuti prima. E, nel nostro caso, ciò che esce dai nostri cervelli e dalla nostra anima musicale ha tanto a che vedere con quello che abbiamo assorbito negli anni, anche in modo inconscio. Il grunge è stato uno dei generi che più ci ha accompagnato nelle nostre vite e questo, naturalmente, si riflette nei nostri brani.

Concordo decisamente… e rilancio dicendo che il vostro non è solo un album grunge, ma ci sono dentro un po’ le vostre passioni musicali che hanno caratterizzato la vostra crescita personale. vorreste parlarcene please…

Alessandro – Credo che il nostro sound sia davvero un mix di più generi. Dei rimandi al grunge abbiamo già detto. Per il resto, che dire? Siamo persone curiose e ascoltatori a 360 gradi. Molti di noi sono polistrumentisti con formazioni molto diverse tra loro, che spaziano dalla musica classica al death metal. Esploriamo con la stessa curiosità territori molto diversi tra loro, da Chopin ai Meshuggah, dai Massive Attack ai Tool e questo fa sì che non si abbia mai in mente di proporre qualcosa di preciso, piuttosto ci lasciamo guidare e sorprendere noi per primi da ciò che emerge quando suoniamo insieme.

…e poi parlatemi voi quale brano dell’album sentite più vicino, più vostro… so che non è semplice rispondere ad una domanda del genere… consideriamo che l’album è stato registrato nel 2020, sono passati 3 anni, quanto lo sentite adatto a SILENCE IS SPOKEN del 2023?

Samuele – Stranamente lo sentiamo nostro più che mai considerando gli eventi che si stanno verificando dal 2020 ad oggi. Parliamo di manipolazione, auto condizionamento, distorsione della realtà e ricerca di se stessi per emergere dal contesto, direi che sono temi che sentiamo ancora piuttosto attuali. Diremmo le stesse identiche cose oggi se ci dovessimo ritrovare a fare il percorso inverso e fare un riassunto delle sensazioni vissute da noi, i nostri cari, gli amici in questi 3 anni.

Per quanto riguarda il brano che mi sento più vicino, sono sempre combattuto fra 1000 Petaled Lotus e Game Over. Il primo segna per me (Samuele) il punto di svolta del disco, la mia personale chiave di lettura per gli altri temi trattati dal punto di vista del mentale partendo dalla rabbia del “don’t try to fix me you’re sick” fino al consiglio difficilissimo da seguire “throw the dice, rundomize”. Game Over invece la adoro perché guarda al futuro, ai nostri figli, nella speranza che possano avere la consapevolezza di avere il mondo in mano, potersi realizzare e muoversi insieme per una causa comune.

Ma il cervello in copertina? Mi sembra in un “cubetto di ghiaccio”, o poichè io troppo anziano non riesco a mettere a fuoco l’immagine? poi un codice a barre… siamo tutti pronti ad una sorta microchip che ci priverà di un ultimo alito di umanità?

Samuele – Dai che ancora hai la vista buona allora! Si è un cervello dentro un blocco di ghiaccio. Il codice a barre sta a significare che quello che c’è nel cervello, quella magia che si nasconde dentro le nostre menti, le nostre emozioni, paure intuizioni, sono spesso viste come un item all’interno di un mercato diventando oggetto di vendita di altri prodotti provenienti anch’essi dal nostro cervello.

Quello che ci piace dell’immagine è che viene vista come un “cervello congelato” ma in realtà non possiamo dire quale sia la fase del congelamento, cioè non possiamo sapere se il cervello si stia congelando oppure se sia stia per scongelare. La condizione del congelamento è uno stato transitorio quindi quella che sembra un’immagine pessimista ha un forte significato ottimistico… dipende solo da che punto la vogliamo guardare e legandolo al simbolo del codice a barre con l’11 possiamo dire che siamo noi sia la causa che l’effetto di tutto il processo… che però richiede un grande sforzo.

E come va con la promozione di questo lavoro guardando alla divulgazione dell’album in sede live?

Alessandro – Il lavoro che stiamo facendo con Wormholedeath è davvero soddisfacente. È un’etichetta che ama coinvolgere le band e con la quale ci stiamo trovando benissimo. I live stanno arrivando, anche quelli di un certo rilievo. Al riguardo invito tutti a venire sabato 15 aprile al Viper Theatre di Firenze dove saremo live per il Firenze Metal. E nei prossimi mesi ci saranno altre belle sorprese, non solo in Italia.

Bene ragazzi, vi ringrazio per il tempo che ci avete dedicato… cosa vorreste aggiungere su SILENCE IS SPOKEN e su “11” che non abbiamo messo in evidenza?

Alessandro – Siamo noi a ringraziarvi per lo spazio che ci avete dedicato. Quello che vorrei aggiungere dei Silence is Spoken è che siamo una band da palco che esprime al meglio la propria energia proprio nei live! Quindi vi invitiamo tutti a venirci a vedere in uno dei prossimi show. Amiamo il contatto con il pubblico.

Concludete voi con un saluto ai nostri lettori e ai vostri amici e fan?

Alessandro – Un saluto a tutti i lettori e un invito a sostenere la musica “Underground”. Usciamo di casa, sosteniamo le band, andiamo ai concerti… la musica, quella vera, si fa sui palchi non su youtube!

The revolution will not be televised! Alla prossima

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Born to Lose, Live to Win | Rock'n'Roll is my life, so... long live rock'n'roll !!!

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